il cerchio regia di Jafar Panahi Italia, Iran 2000
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il cerchio (2000)

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locandina del film IL CERCHIO

Titolo Originale: DAYEREH

RegiaJafar Panahi

InterpretiFereshteh Sadr Orafai, Nargess Mamizadeh, Elham Saboktakin

Durata: h 1.30
NazionalitàItalia, Iran 2000
Generedrammatico
Al cinema nel Gennaio 2000

•  Altri film di Jafar Panahi

Trama del film Il cerchio

Una donna ha appena partorito una bambina e non sa che sia lei che sua figlia sono delle indesiderate nella società iraniana. Tre donne escono di prigione con un permesso temporaneo. La necessità di avere del denaro le conduce a misure estreme. Un'altra donna, senza documenti d'identità e di un compagno di viaggio deve mentire per riuscire a comprare il biglietto di un autobus. Una donna non sposata scappa di prigione per abortire.

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Voto Visitatori:   6,63 / 10 (8 voti)6,63Grafico
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Voti e commenti su Il cerchio, 8 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  25/11/2023 19:05:24
   7½ / 10
Il mondo va avanti ma le donne sono sempre indietro nell'Iran del Cerchio, film del 2000, ma presuno ancora tragicamente attuale. Panahi non sceglie una narrazione standard, bensì mostra la condizione femminile in un contesto perfettamente normale e quotidiano. che siano madri, studentesse, mogli o addirittura carcerate, essere donne ha dei limiti a livello giuridico fin troppo evidenti e la scelta di mostrarli in una giornata qualsiasi acquisisce un valore positivo aggiunto. La storie che si intrecciano sono come tanti McGuffin che non portano a soluzioni. Ciò che importa non è il cosa, ma il come e nella sua rappresentazione semplice ed efficace che la denuncia è fin troppo forte per rimanere inascoltata.

kafka62  @  25/03/2018 17:20:33
   6½ / 10
Con lunghissimi piani sequenza e con la camera a spalla, Panahi realizza quel pedinamento della realtà che era così caro a Zavattini e al neorealismo italiano in genere. Le immagini sono tirate fino al limite dell'indifferenziazione e persino della noia, e nella colonna sonora entrano solo i rumori e i suoni dell'ambiente. Stupisce in questo contesto scoprire che la costruzione narrativa è invece basata su un sofisticato meccanismo circolare (da cui il titolo del film, in pratica una sorta di ronde asiatica), che segue, per poi successivamente abbandonarle, le storie di sei giovani donne e che si chiude irrealisticamente nell'esatta situazione da cui il film era partito. Con questo stratagemma, Panahi enfatizza simbolicamente la condizione della donna iraniana, rappresentata come una sorta di destino tragico senza via d'uscita, senza per questo dover rinunciare al suo sguardo distaccato ed oggettivo. Oscillando tra naïvété e intellettualismo, "Il cerchio" assolve egregiamente alla sua funzione pedagogica, anche se la sensazione di approssimazione stilistica e la lentezza narrativa pesano a volte come un handicap difficile da sostenere.

horror83  @  22/03/2014 19:40:09
   6½ / 10
Questo film parla della condizione della donna in Iran, ma non racconta proprio tutto. Penso che il commento che mi precede spieghi molto bene questo film. Il tema mi interessa, ed è importante parlarne tramite un film, ma mi aspettavo di meglio. A tratti è un po' lento e non mi ha entusiasmata come altri film del genere. Cmq le storie di queste donne fanno molto riflettere e ne consiglio la visione.

Crimson  @  20/03/2011 23:04:11
   8 / 10
Il Cerchio è un film che richiede allo spettatore di mettersi in gioco.
La sua grandezza non risiede solo nella descrizione della condizione quotidiana di molte donne in Iran, ma nell'uso che il mezzo cinematografico opera per veicolare le sensazioni che esse provano.
La descrizione meticolosa della loro impotenza e del potere circoscritto di esercitare una propria opinione, un comportamento o anche semplicemente di muoversi (si! Di muoversi!) passa attraverso una sorta di affiancamento "fisico", come in presa diretta, alle loro azioni. Dividendo idealmente il film in otto parti ogni protagonista viene così accompagnata dalla macchina da presa per circa dieci minuti (di media). Risultano minuti di agonia e soffocamento per uno spettatore che attraverso questo taglio documentaristico è costretto ad essere catapultato in prima persona in una vita reale allucinante.
Bisogna a volta soffermarsi sulla differenza tra "taglio documentaristico", espressione fin troppo abusata, e il valore realmente funzionale che i grandissimi cineasti riescono a trarne.
L'incipit e il finale fanno da collante a tutte le vicende personali che si intrecciano.
Si fa fatica a vivere se quando fin dalla nascita la propria famiglia ha fatto fatica ad accettare la notizia che il nascituro fosse di sesso femminile.
Con le prime due donne protagoniste cominciamo ad addentrarci nella differenza tra essere donna ed essere considerata tale nel contesto di riferimento: due ragazze evase di carcere in circostanze più o meno fortuite ma non del tutto chiarite; scopriamo che non possono viaggiare da sole se non con un certo tipo di documentazione; non possono rientrare in casa perché hanno disonorato la famiglia; sono malviste o addirittura viene loro impedito di fumare in pubblico, e il gesto di accendersi la sigaretta è l'espediente apparentemente più banale ma allo stesso tempo sconvolgente che ricorrendo in una seconda circostanza, in una delle scene che preferisco all'interno della pellicola, denota un forte senso di smarrimento e alienazione nello spettatore.
E' dalla terza storia che il film lievita e si fa profondamente e definitivamente coinvolgente: due donne, che si incrociano più o meno casualmente, sono legate dallo stesso drammatico dilemma: l'essere madre in un determinato contesto sociale. La prima appare come una donna forte: scopriamo sul suo conto che il marito è stato fucilato e che è incinta di quattro mesi. Vorrebbe abortire ma per avviare tale procedura le sono stati richiesti il consenso del padre e del suocero. Chiede aiuto ad una vecchia amica ora infermiera e moglie di un medico. Il suo viaggio nell'ospedale si rivela un vero e proprio inferno di frustrazione: non solo nei movimenti (e questo, da Oro rosso passando perfino nell'apparenza dell'innocenza de Il palloncino bianco, è un elemento cardine nel cinema del regista iraniano. Permanendo squisitamente sull'impatto visivo, ritengo che ciò che realmente congiunga i film di Panahi non siano tanto i protagonisti - gli esclusi: donne, bambini, abitanti della "bassa Teheran" - quanto le dinamiche che intercorrono tra di essi e chi gestisce la loro libertà) ma anche per la risposta che si vede costretta a sorbire al termine di una lunga e faticosa trafila.
La scena in cui c'è una panchina che separa le due donne è splendida: la spalliera non le divide solo fisicamente, è una distanza incolmabile tra una ricerca disperata d'aiuto e un "non posso", a cui corrisponde un deciso senso di amarezza nella nostra protagonista (più che giustificato!), e una degnissima assenza di rancore. La compostezza di questa donna scuote la nostra sensibilità: quando trova una bambina per strada individua subito la madre nascosta dietro un'auto. Il dialogo che ne consegue, breve ma esplicativo, racchiude un fugace senso di impotenza da parte di tutti: il nostro è totale, nella constatazione che una donna che vorrebbe abortire lascia l'altra con un "stia vicina a sua figlia" dopo aver raccolto e accolto lo sfogo della sua interlocutrice, che senza dare spiegazioni sulla natura che l'ha spinta a compiere per la terza volta tale gesto esprime la sua dispersione, unita ad una rabbia mal repressa e sconvolgente.
Ancora una volta è la presenza della polizia a spaventare le donne e a separarle: i tutori della legge in questo film incombono costantemente come dei veri e propri spauracchi. Non assistiamo a scene di violenza fisica, se il film venisse visto sotto quest'ottica ci stupiremmo di quanta "normalità" viene mostrata. E' esattamente questo il solco profondo che il mezzo cinematografico riesce a tracciare, ovvero di sbigottirci con quella che da qualcuno viene vissuta come normalità. Se siamo vivi, pensanti, tutto ciò a cui assistiamo in questo film di denuncia è assolutamente inaudito, psicologicamente efferato. Un'esercitazione sistematica di una serie di preconcetti che ormai coincidono con la cultura stessa alla base di un certo modo di pensare.
Prima dell'ultima, simbolica sequenza, assistiamo così all'ennesimo e conclusivo esempio di come qualcosa di così "leggero", come il permesso di accendersi una sigaretta, possa rivelare un sistema aberrante e patologico.
‘Il cerchio', da molti considerato il capolavoro del regista anche per via del riconoscimento riscosso a Venezia nel 2000, è un film che arricchisce la nostra visione sul mondo e che al tempo stesso ci interroga sull'assuefazione verso un certo modo di pensare e il rischio da cui noi stessi dobbiamo costantemente tutelarci, ossia che esso diventi cronico.
Lo stile di Panahi è rigoroso ma non oserei pensare a qualcosa di diverso quando i temi sono di questo tipo. C'è un sottile filo che unisce il Cinema dei Dardenne a quello del regista iraniano, e sarebbe interessante sapere cosa ne pensano loro a riguardo.

Beefheart  @  03/06/2007 16:35:56
   6½ / 10
Commedia drammatica che documenta realisticamente l'insopportabile disagio sociale in cui versano le donne iraniane. Attraverso otto storie diverse, narrate in sequenza, il film denuncia chiaramente l'anacronistico stato di totale subalternità ed impotenza della donna iraniana del 21esimo secolo. Ciò che va in scena è la rappresentazione circolare (come ogni percosrso senza via d'uscita) di una sistematica privazione di diritti e libertà di agire che riduce la donna a passiva "identità ombra" dell'uomo, nella quale, dopo un sofferto percorso narrativo, tutto torna, desolantemente, al punto di partenza. Esplicito, asciutto, essenzialmente cupo e scuro, come gli abiti ed i volti delle protagoniste, ben interpretato. Non è un filmone ma raggiunge il suo scopo.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  15/02/2007 01:32:58
   7½ / 10
Mi dispiace non condividere per niente i giudizi precedenti, ma sul "cerchio2 bisogna dire qualcosa senza tirare in ballo i soliti lamenti dello spettatore pigro (noia, lentezza, etc.).
E' in effetti un film che tenta (emblematica la sequenza iniziale dove la nascita di unA bambinA è segno di dolore e pianto anzichè di gioia) di colpire lo spettatore occidentale attraverso quei parametri assurdi (per non dire ignobili) che spingono l'islamismo radicale a considerare la donna come un'elemento da coercizzare socialmente.
Parecchie donne dovrebbero rispecchiarsi nella sorte delle protagoniste, ed è intollerabile analizzare un film come questo senza comprendere fino in fondo le intenzioni sincere dell'autore.
Se c'è un limite in questo film premiato a Venezia, è che forse per prima cosa non è così radicale e coraggioso come ci sembra (la storia è strumento anche passivo di contemplazione del dramma da parte del regista) e in secondo luogo che è girato con un certo refetente ai modelli occidentali.
Cio' che colpisce è davanti a quei pochi dialoghi, quelle voci represse, quei diritti negati che portano per nulla dentro le sbarre di un carcere.
Il voto è indicativo: se qualche spettatore tende ad annoiarsi e non coglie l'emozione che sprigiona in un mondo contemporaneo la follia di donne trattate come schiave, allora il cinema non ha piu' alcuna ragione di esistere.
Anche se non è un capolavoro, "il cerchio" è un esordio da non perdere, per le tematiche che affronta e perchè l'autore in fondo (con i suoi limiti certo) ci dice di non avere la forza e i mezzi per fare qualcosa.

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Ultima risposta 15/02/2007 22.29.43
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viagem  @  14/02/2007 12:12:26
   5½ / 10
Concordo col giudizio precedente. Non mi ha coinvolto granchè o forse non l'ho compreso sino in fondo. E la stessa cosa successe con Il sapore della ciliegia: che abbia problemi col cinema iraniano?

ds1hm  @  25/01/2007 14:48:20
   5 / 10
niente da fare, il cerchio non riesco proprio ad apprezzarlo.
furbo.
inconcludente. premiato per di più a Venezia ma non so prorpio capire per cosa, quale innovazione cinematografica adottata per parlarci delle difficoltà femminili.
a peggiorare il tutto la scelta di rappresentare il tema con episodi, forse per la difficoltà di sviluppare sui 100' tipici un tema decente in maniera approfondita, esauriente, logica.

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