il diavolo probabilmente regia di Robert Bresson Francia 1977
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il diavolo probabilmente (1977)

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locandina del film IL DIAVOLO PROBABILMENTE

Titolo Originale: LE DIABLE PROBABLEMENT

RegiaRobert Bresson

InterpretiAntoine Monnier, Tina Irissari, Henri de Maublanc

Durata: h 1.38
NazionalitàFrancia 1977
Generedrammatico
Al cinema nel Maggio 1977

•  Altri film di Robert Bresson

Trama del film Il diavolo probabilmente

Charles è uno studente parigino che vive per contro proprio. È anticonformista, pacifista ed ecologista. Mentre altri giovani si riuniscono per discutere di politica, manifestare o sensibilizzare l'opinione pubblica, lui capisce che tutto questo è inutile perché il male del mondo è inestirpabile e gli uomini viaggiano su una nave di folli. Comprata una pistola, chiede a un amico drogato di ucciderlo, di notte, nel cimitero del "Père Lachaise" a Parigi.

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Voto Visitatori:   7,09 / 10 (17 voti)7,09Grafico
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Voti e commenti su Il diavolo probabilmente, 17 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

stratoZ  @  18/10/2024 12:40:33
   8 / 10
ATTENZIONE POSSIBILI SPOILER

Altro splendido film di Bresson che qui si avviava verso la fine della carriera, era già bello attempato e in questo, più che nelle sue opere del passato, emerge prepotentemente il nichilismo che lo contraddistingue, realizza un film nerissimo, senza speranza, se qualche anno prima in "Quattro notti di un sognatore" gli argini della Senna dove passeggiavano i protagonisti rappresentavano un contesto un minimo speranzoso, con Jacques che pendeva dalla bocca dell'amata, qui invece la stessa ambientazione prende una valenza estremamente pessimista, diventando il luogo dove passeggia il protagonista meditando il suicidio, viene più volte mostrato il fiume, torbido, come i mali dell'umanità, al quale il protagonista spara più volte, senza scalfirli minimamente, splendida e disperata metafora che l'autore applica in larga scala ai problemi globali, ad una società che va sempre di più a rotoli, mangiata dal capitalismo e dall'estremo consumismo, verso il quale questo gruppo di studenti e attivisti non può fare più nulla, è un film sulla disillusione, sulla caduta di tutti gli ideali in voga al tempo, dalle rivolte studentesche alla rivoluzione ecologica, ancora oggi attualissimo.

Crudissimo nella rappresentazione, freddo e spietato, Bresson non risparmia allo spettatore le immagini documentaristiche di un mondo che va a rotoli, in cui le multinazionali inquinano per un po' di profitto e i cuccioli di foca vengono ammazzati crudelmente, nessuna forma di rispetto verso la natura né gli esseri viventi, ma l'aspetto più amaro è l'impotenza del singolo, inerme perché circondato da persone che pensano solo ai propri interessi, anche chi dovrebbe aiutarlo, guardare la figura dello psicologo che sta lì a fare quattro domande e si prende i suoi duecento franchi, o gli stessi compagni militanti, causando anche ribellioni esagerate, non solo l'atto finale di disperazione, anche il depredare i salvadanai delle offerte in chiesa, come attacco contro un'istituzione che ormai fa solamente i suoi interessi e che sembra ormai inclusa nel pacchetto di disillusione proposto dal regista.

Bresson dirige col suo solito rigore, freddo e criptico con una recitazione quasi neutrale, evitando l'azione, sottraendo totalmente il pathos, riuscendo a creare anche un certo senso di apatia che quasi lascia indifferente lo spettatore riguardo la morte del protagonista, come probabilmente lo è il mondo nel suo insieme, una notizia sul giornale oggi, domani non fregherà più nulla a nessuno.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento emans  @  22/01/2024 15:33:16
   7 / 10
Bresson al limite del pessimismo tratteggia una societa' post rivoluzione del '68 dove vivono due correnti di pensiero. Chi si ribella al sistema politico o religioso e chi invece si lascia andare perche' non crede alla salvezza di questa generazione.

E' facile credere che il punto di vista del regista segue proprio questa seconda corrente. Come dargli torto.

Non è il Bresson che ho preferito, ma chiaramente il suo cinema è comunque riconoscibile, non lascia niente allo spettacolo, appare dismesso e poco empatico. Cosi come gli attori tutti non professionisti, una scelta che stavolta paga piu' di altre volte a mio avviso.

Gruppo COLLABORATORI Compagneros  @  04/02/2023 14:55:59
   7 / 10
Fine anni '70, Robert Bresson mette su pellicola la disperazione giovanile, la morte dell'illusione sessantottina. Film gelido e disturbante.

Goldust  @  17/02/2014 18:12:13
   3 / 10
Quoto il commento precedente, probabilmente ho scelto il film sbagliato per avvicinarmi ai lavori di Bresson. Il male di vivere giovanile, qui ambientato in un'epoca inquieta come quella post-sessantotto, è certamente spinoso, eppure non sono nè i contenuti e nè il pessimismo di cui è pregno che non mi hanno convinto, bensì lo stile. Cinepresa che indugia su mani e piedi di studenti e ragazzi, tralasciandone spesso i volti; attori di infimo livello che si muovono come zombie lobotomizzati; atrocità naturali in bella mostra; ritmo letargico; dialoghi (ormai ) fuori dal mondo. Una grossa delusione.

Tom24  @  25/04/2011 22:47:34
   3 / 10
quoto benzo, retorico e vuoto tanto da risultare ridicolo. bocciato in pieno, schifo.

TheLegend  @  17/12/2010 17:36:07
   8 / 10
Un film non per tutti che ho apprezzato molto.
é il primo film di Bresson che vedo,attirato dalla trama in cui un pò mi riconoscevo.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Ciumi  @  18/10/2010 11:16:22
   9 / 10
L'inaridimento della vita non può essere rappresentato se non con l'inaridimento dell'arte. Nell'ultimo Bresson, il contegno diviene apatia, forse pigrizia. Non merita azione la vita come non la merita la morte. Neppure il proprio talento, la propria intelligenza, quelli del regista. Resta come ultimo appiglio un pudore ostinato, una rigidezza dignitosa, l'assoluta coerenza.
Rifiuto di Dìo, le sedie della chiesa come ossa accatastate. Rifiuto della passione amorosa. Rifiuto di tutte le politiche, di tutti i sondaggi, d'ogni forma di aggregazione.

Le immagini di un proiettore mostrano un mondo corrotto, avvelenato. E' ciò che il film nega anche di denunciare. Ce lo rende così, in un documentario. Ciò che Charles avverte ma non può e non vuole cambiare. I corpi vanno, inanimi, diritti, senza testa, marionette grigie prive di gioia. Cosa li muove? Il diavolo, probabilmente. Gli attori fuggono le inquadrature, le lasciano agli oggetti. Non recitano. Non sono vivi. Cosa ti interessa? Nulla. La stessa cosa che a tutti interessa.

Il patto tra i due amici è stipulato dal momento in cui Charles aiuta il compagno a drogarsi, e lo avvia verso la morte. Lui dovrà ricambiare. La fedeltà di questo accordo, la garantisce il denaro: già l'argent si affaccia in 'Le diable probablement', da protagonista.

Charles, Bresson, passa davanti a un'abitazione, là una musica che sembra provenire da un suo vecchio film, esce da una finestra semichiusa, s'intravede un istante di quella grazia nella cui luce il suo cinema un tempo terminava. Pensiamo per un momento che gli occhi gli si riaccenderanno. Pensiamo al ladro, all'asinello, a Mouchette. Charles scavalca il muro come lo scavalcava il condannato verso la libertà. Di là un cimitero. Nulla, ci viene negato anche l'ultimo pensiero, seppure non fosse niente di sublime. Il corpo cade, l'altro scappa. Noi non lo sapremo mai.

3 risposte al commento
Ultima risposta 20/10/2010 19.25.08
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bulldog  @  25/09/2010 15:32:56
   9 / 10
Recitazione catatoniche in pieno stile Brechtiano con attori non professionisti e cinematograficamente scarnissimo, essenziale ed antispettacolare.

Bresson invecchiando diventava sempre più lucido e sputava catarro verde sulla psicanalisi.

La morte di D i o.

6 risposte al commento
Ultima risposta 18/10/2010 14.52.33
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Guy Picciotto  @  06/05/2010 19:16:33
   9½ / 10
più invecchiava il grande maestro francese più il suo pensiero sulla società perveniva a quella che è a tutti gli effetti la realtà sostanziale, la realtà ultima, senza scomodare il nichilismo gnoseologico, perchè molto semplicemente Bresson era giustamente disgustato da ogni esistenza commerciale.
Non c'è da dire molto davvero, la scena del ragazzo protagonista che parla con suo psicologo riassume tutto sul film, si tratta di momenti estremamente gelidi, per me l'ultimo Bresson è un continuo crescendo kharmico fino all'apoteosi di l'argent, benchè alcuni dei suoi vecchi capolavori tipo mouchette e au hazar restino per tante ragioni immacolati ed insuperati.
Il ragazzo protagonista qua è immerso sempre più in uno stato nirvanico che lo immunizza da ogni tipo di contatto con le varie esistenze commerciali che gli si parano davanti (e quando parlo di esistenze commerciali intendo sempre più spesso uomini in carne ed ossa). forse perchè già percepisce che la logica della dittatura moderna sta nel fornire simulacri della libertà e della democrazia all'interno del sistema economico/politico che detiene il potere. Il ragazzo scopre anche la banalità che si cela dietro ogni idea-ideale-prodotto, in che modo? capisce nel pieno del fittizio periodo rivoluzionario, vabbè il 77, è più post ormai, che non sono i tossici o i ribelli i veri rischi per l'Occidente e le sue belle democrazie, il ribelle è ben inserito in società, anzi, e sovvenzionato dallo stato in certi casi, quotato in borsa, tutto ciò offre la cifra di ogni società stratificata: il potere è irraggiungibile, i cittadini invece sono raggiungibili. E chi esercita il potere non ha nessuna intenzione che questo venga messo in discussione, qualunque sia la sua appartenenza alle caste alte (elites del mercato, della finanza, della politica, della propaganda o della repressione). Succede così che uno che ha la mente davvero aperta, oserei dire aperta al nirvana e alle sue nobili 4 verità, scopra la banalità del male. Tutto il sistema è banale mentre offre guardacaso stimoli potenti e brillanti. Si parla ottusamente di democrazia ovvero di partecipazione ma chi ha la sventura di cadere nelle reti della giustizia scoprirà forse che la vittoria o la sconfitta sono solo un terno al lotto, quindi non di certo partecipazione attiva e ragionata e questi meccanismi gelidi nulla hanno a che spartire con quei valori di facciata della nostra bella società consumista capitalista e relativista che ci sta franando addosso.

USELESS  @  03/03/2010 00:13:11
   9 / 10
Tutto il film percorre/scorre nei problemi pseudo adolescienziali di ragazzetti borghesi annoiati e alternativi.
In fondo il fondo è nel finale, è paradossalmente il tossico è l' unico personaggio reale e concreto.

Gruppo COLLABORATORI ULTRAVIOLENCE78  @  09/08/2009 22:35:38
   8½ / 10
Assieme a "L'argent", "Il diavolo, probabilmente" è il film più estremo di Robert Bresson. Entrambe le opere formano un dittico apocalittico, col quale il regista francese chiude la sua produzione, rinnegando così qualsiasi possibilità di riscatto, sia terreno ("Pickpocket") che ultraterreno ("Diario di un curato di campagna"). Anche stilisticamente i due film combaciano: dialoghi succinti e icastici, con un'intonazione piatta e dimessa (bisognerebbe sentirli in lingua originale per avere un'idea più completa); inquadrature che si soffermano molto sui corpi –gli arti inferiori soprattutto, destinando ai volti e alle espressioni uno spazio marginale, come a voler dare una rappresentazione dei soggetti quali automi mossi in virtù di una maligna volontà superiore ("il diavolo, probabilmente"): gli individui salgono e scendono dal tram, spiati da un "occhio invisibile" che li scruta dall'alto, attraverso un specchietto retrovisore, o dal basso cogliendone (o dirigendone) il moto "dissennato".
Il protagonista è Charles: un ragazzo inchiodato da una disperata aprassia, dettata dall'atroce coscienza del male quale unico motore delle umane vicissitudini: quello stesso male simboleggiato ne "L'argent" dal denaro, ma che già nel film in questione è proposto in tale chiave metaforica, conchiudendo il cerchio di una narrazione improntata alla rappresentazione della negatività quale condizione indefettibile dell'essere (l'omicida non agisce per amicizia o spirito di solidarietà, ma solo per mera cupidigia). Di qui l'inazione come conseguenza dell'inutilità di qualsiasi forma di ribellione allo "status quo", al degrado e alle atrocità commesse dalla "civiltà", la quale però è ingiudicabile: non v'è colpevolezza, infatti, nel perpetramento di misfatti, indotto da forze esterne imperscrutabili e incontrollabili che, invero, escludono qualsiasi incidenza del libero arbitrio. In questo senso, il fulcro di tutta l'opera risiede nel confronto tra lo psicanalista e il protagonista: la propensione del primo a razionalizzare i problemi esistenziali del paziente, cercando una soluzione positiva al suo disagio, è annullata dalla lucida disamina della realtà da parte di quest'ultimo, il cui "vedere chiaro" appare come una ridicolizzazione delle velleità della scienza, che anzi sortisce effetti opposti a quelli prefissati: l'ultima affermazione del medico (un borghese come tanti altri, incasellato in quella rete di vacue esigenze e abitudini elencate nel foglio di giornale, e, come tanti altri, "rispettabile" in virtù della sua capacità di produrre reddito) si rivelerà, di fatto, non come un aiuto diretto alla "guarigione", bensì come il consiglio determinante per il compimento del suicidio-omicidio.
Dio è ormai estromesso: anche l'ultimo tentativo da parte di Charles (ispirato dalle parole di Victor Hugò: "una cattedrale, una chiesa, è divino, c'è Dio; ma basta che appaia un prete e Dio non c'è più") di cogliere il divino in una Chiesa vuota, nell'incontro tra la spiritualità del luogo e il sublime dell'arte (la musica di Monteverdi) risulterà vano. Non esiste Bontà né Provvidenza, e i buoni sentimenti lasciano il posto soltanto a pulsioni basse e amorali (l'amicizia è sostituita dall'opportunismo) o a fredde emozioni (all'amore subentra una flebile tensione consolatoria).
Passano le generazioni e le epoche, ma la barbarie, la violenza e la distruzione ingiustificate (come manifestano le efferatezze dei documentari presentati all'interno del film) permangono. E' la metafisica del male, messa in scena con estremo rigore da Bresson: un cineasta che, la termine della sua carriera artistica, ha abdicato alla ricerca della Grazia, per dedicarsi al suo esatto opposto.

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Ultima risposta 17/08/2009 13.33.53
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eizenstein  @  12/03/2009 11:29:53
   10 / 10
Mi é molto difficile cimentarmi nel commento di questo film, tale è la sua potenza sovrumana, ma tenterò di dire qualcosa.
Su tutto bisogna dire che Bresson in questo film vede la vita come un breve viaggio entro questo mondo, in cui ognuno tenta di darvi un senso. C'è chi cerca il denaro, chi il divertimento, chi vuole lottare contro l'inquinamento, chi studia... ma c'è anche chi non trova un senso in questa vita e, cosciente che l'esistenza non è neanche un infinitesimo della storia dell'universo, decide di farla finita.
L'inespressività e la non recitazione degli attori ci portano in mente la marcia inevitabile verso la morte, che è il senso del film. Tutti in giro passivamente a testa in giù.
Troppo superiore ai filmettini hollywoodiani di bene contro male, qui siamo a livelli molto alti, la ricerca del senso della vita, tipo 2001 Odissea nello spazio per intenderci. Anzi ancora più in alto in quanto qui la spettacolarità è nella futilità di una e forse tutte le esistenze.
Si parla, si marcia, si ama e si muore, e non esistono buoni o cattivi ma solo viaggiatori con percorsi diversi. Sul fondo il mistero dell'infinito che schiaccia chi non ha nessun interesse od occupazione e che non affligge chi ha problemi concreti ed è immune dalla rêverie di hughiana memoria.

Invia una mail all'autore del commento wega  @  24/07/2008 15:56:57
   8 / 10
"Il diavolo probabilmente..", oltre che essere il titolo, è anche l'unica risposta concreta, tangibile che Bresson riesce a dare in questo importantissimo film. Tra l'altro è un film difficile, ma, già andava visto nel 1977, figuriamoci ai giorni nostri. Documentaristico nella denuncia ad una catastrofe ambientale prossima(pochissimi anni prima di Chernobil uno dei tanti esempi), cinematografico nel dramma di un ragazzo per raccontare tutto ciò, con un lungo flashback, lungo quanto il film. Difficile dunque proprio perchè Bresson è un regista che "crede nella metafisicità del Male", un film asciutto, in perfetto stile di questo autore, ma che nasconde una fertilità palpabile, tanto che credo sia indispensabile, per fare un'analisi accurata, la visione di tutte le opere di questo regista, per cercare almeno di capire la parte drammatica della storia, che ha qualcosa in comune con "Pickpocket" e "Il processo di Giovanna d'Arco", le sole che ho visto finora. Non so che altro dire, da vedere.

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Ultima risposta 10/08/2009 18.10.57
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Gruppo REDAZIONE amterme63  @  05/02/2008 23:19:24
   7 / 10
E’ un film molto difficile, sia come forma che come significato. Prima di tutto non concede quasi niente all’occhio e al divertimento. E’ una riflessione molto astratta, dai risvolti filosofici, che fa un po’ il punto della situazione di alcuni atteggiamenti mentali comuni fra gli “intellettuali” della fine degli anni ’70. Lo sguardo è sempre quello disincantato e pessimistico di Bresson, che concede poca fiducia nella forza dell’individuo e della società di evitare la propria autodistruzione. I suoi “eroi” sono quasi sempre preda di idee fisse, le quali qualche volta possono salvare l’individuo (“Un condannato a morte è fuggito”), ma che il più delle volte portano il personaggio alla rovina o all’autodistruzione, anche se le occasioni per salvarsi non mancano (“Pickpocket”). Il bello è che i personaggi di Bresson non subiscono il fato, anzi conservano intatto il loro libero arbitrio e anche se hanno la possibilità di redimersi e salvarsi, tuttavia preferiscono sprofondare nelle proprie manie e perversioni (Il Curato di Campagna e Marie in “Au hasard Balthasar”). Sembra che queste persone non vogliano assolutamente fare violenza a se stesse anche se a fin di bene.
Anche in questo film si propone questo modello, andando però oltre, adombrando che anche a livello collettivo ci troviamo nella stessa situazione. Ci stiamo dirigendo come mondo verso l’autodistruzione e non vogliamo fare niente per evitarla. Questo film è uno dei primi a lanciare il grido di allarme sulla distruzione ambientale sul pianeta e bisogna dire che ci ha azzeccato, visto che è diventata la prima emergenza (dopo la distruzione nucleare). Eppure quasi nessuno muove un dito.
Il film si concentra però sulle ragioni mentali di alcuni personaggi “portavoce”. Charles il protagonista è un ragazzo intelligentissimo; vede con lucidità il vicolo cieco nichilistico in cui si sono andate a chiudere le idee rivoluzionarie del ’68, ma dentro di sé non vede alcuna ragione per continuare la propria esistenza. Lui stesso in fondo si è cacciato in un vicolo cieco. Rappresenta lo sviluppo estremo del pensiero esistenzialista così diffuso in Francia. E’ un pensiero ormai vuoto, fine a sé stesso, così abituato a giocare con il sentimento e la riflessione etica che ha finito per ucciderli entrambi. Bresson nelle scene finali toglie qualsiasi “eroicità” e dignità a questo atteggiamento, come Dostojeskij fece con Raskolnikov in Delitto e Castigo. Bresson non nutre però molta fiducia nella “fede”, uccisa anche lei dal formalismo chiesastico. Qualche flebile speranza c’è però anche in questo film così cupo e pessimista. C’è Michel, il quale s’impegna per sensibilizzare la gente sui pericoli ambientali, c’è poi Alberte la quale ama con vero sentimento Charles. Entrambi cercano di aiutarlo e gli offrono un’ancora di salvezza, senza però usare la “forza”. Lui no, preferisce le sue elucubrazioni mentali e la sua voglia di autodistruzione.
A complicare le cose c’è la forma del film, complessa e anticonvenzionale. Prima di tutto non c’è trama o storia, ma semplicemente una serie di situazioni illustrative della psiche dei personaggi, con scarso legame fra di loro. Tempo e luogo sfumano in qualcosa di indefinito. E’ chiaro l’intento di estraniare lo spettatore dalla storia e dalle persone. L’effetto straniamento è amplificato dalla recitazione dei personaggi che non ci mettono assolutamente pathos o partecipazione, ma si limitano a far parlare la persona che interpretano. Tutto diventa perciò astratto e esclusiva materia per riflessione e critica.
Che dire: è molto profondo e interessante, ma ostico e difficile, molto sbilanciato sul lato del ragionamento mentale. Bresson chiede forse troppo allo spettatore, anche se bisogna dare atto del suo “coraggio”.

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Ultima risposta 24/07/2008 21.09.42
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ds1hm  @  26/10/2007 12:17:32
   5½ / 10
forse la maggiore delusione di Bresson...irritante ogni elemento del film, credo vada in ogni caso visto per apprezzare le altre opere di questo grande autore...una parentesi infelice, un momento di buio.

benzo24  @  07/10/2007 19:56:59
   1 / 10
un film che visto oggi fa ridere per quanto è retorico. noioso fino alla morte, il film è vuoto, inutile recitato e girato male. la quasi totale mancanza di umorismo ( a parte quella della scena in chiesa, anche se non è certo un umorismo molto intelligente) lo rende pesante e antipatico.

19 risposte al commento
Ultima risposta 01/10/2011 01.48.53
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Gruppo COLLABORATORI Marco Iafrate  @  23/05/2007 22:23:31
   8 / 10
Film cupo, triste, pessimista, un Bresson che scava dentro il vuoto di una società ( post-sessantotto ) attraverso gli occhi di un ragazzo profondamente nichilista e ribelle, che rifiuta qualsiasi stimolo alla vita arroccandosi in una sorta di super io che lo porterà fino ad un tragico epilogo.
Il film, molto ben diretto, può risultare pesante anche per la scelta del regista di far "recitare" gli attori con una totale inespressività, monocorde, senza pathos.
Questa indifferenza risulta un pò disturbante, ma inserita nel contesto del film si comprende ed alla fine si apprezza.
L'abiezione a cui porta la totale mancanza di ideali, il rifiuto della società, dell'etica, dell'amore è qui descritta in maniera spietata ma crudelmente reale, un tunnel senza uscita, il buio.

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