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Sono necessari 15 minuti quasi metafisici di silenzio, di rumori e grugniti, materia lurida e arti che si spezzano, per conferire al protagonista la misura tragica della sua orgogliosa solitudine, che si tramuterà in destino e in condanna. Tra gli incipit più clamorosi del cinema di questo secolo, quei minuti iniziali sono necessari anche per dare atto delle fondamenta del superomismo, della misantropia, del cinismo e infine della paranoia.
Quindi, a fare da filo conduttore a una parabola "rise and fall" che culmina in un'insolita chiave tragico-grottesca, c'è soprattutto lo scontro fra due poteri che non accetterebbero subordinazioni: quello che deriva dalla promessa, data alla comunità, del benessere materiale, e quello che deriva dalla promessa spirituale. Due poteri a vocazione totalitaria, che però hanno bisogno l'uno dell'altro. Perché non di solo pane, ma neanche di solo spirito, il popolo ha bisogno.
Poi, c'è la scomodità di una fratellanza ingombrante, di cui si libera appena scopre una mistificazione. E fatalmente lo scontro edipico: con un figlio che ha subordinato, che non accetta il suo modello, e che non può accettare come competitore. Fondamentalmente, vorrebbe esistere solo lui. La sola esistenza di un prossimo è divenuta motivo di paranoia. Il titano è imprigionato in cima alla torre in fiamme del suo ego: da lì, può solo precipitare.
Autentica pietra miliare della cinematografia statunitense.