In una baraccopoli romana vive una famiglia di immigrati pugliesi composta dal vecchio e tirannico padre, Giacinto, dalla moglie, dieci figli e uno stuolo di parenti. Scopo principale di questi è impadronirsi del milione che Giacinto ha ottenuto per la perdita di un occhio.
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Scola e la satira. Sì, questo è un pezzo di satira: nudo, crudo, che vuole disgustarti, e quando ci riesce, rincara la dose. Cerca di farti dire: "Vabbè, carino, ma forse non c'era tutto questo bisogno di continuare a far vedere la scena tale o a ripetere tal altra". Prova a farti obiettare che sì, ci sia tanta realtà, per carità, ma che alcuni aspetti siano troppo rimarcati o ingigantiti. E invece no, o meglio, il grottesco è lampante, ma non per questo si distacca dalla realtà, ne è bensì un concentrato potentissimo in tutta la sua bassezza, squallore, abominevole degrado...col cupolone sullo sfondo, da cui ogni tanto arriva la televisione di turno spinta dallo spettatore medio, mediocre che non vede l'ora di assistere allo spettacolo ipocrita (che viviamo quotidianamente anche oggi, ovviamente), oppure la rivista pornografica, che preleva, e poi rigetta nella fogna, l'altro spettacolo da far vedere ai padri di famiglia ben educati. La rudezza, la violenza, l'ignoranza sono sacchi di spazzatura depositati dal centro per far sì che non si vedano, perché si sa, sta male, e ovviamente così si moltiplicano e si ingigantiscono come le malattie e i topi che scorrono a destra e a manca per tutta la durata della pellicola. In tutto questo c'è Manfredi che domina la scena con sapienza, servendo purulenza e grottesca tragicomicità nelle giuste dosi, come ogni grande commedia all'italiana che si rispetti.