Preda dell'alcol per consolarsi degli scarsi successi letterari, scrittore in crisi allontana da sé il fratello e la donna che lo ama. Tenta il suicidio, ma la donna non si rassegna...
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Billy Wilder fu un genio. Un genio poiché seppe realmente trasformare in oro tutto ciò che ebbe tra le mani. Ci si chiede, per esempio, come avrebbe potuto la limpidezza del suo stile adattarsi ad una sceneggiatura che vertesse sui temi di “Giorni perduti”, o la sobrietà alla regia versarsi a fondo in un bicchiere tanto torbido come quello dell’alcolismo. Guardare per credere. Wilder realizza un film angosciante la cui narrazione possiede l’assiduità del vizio che racconta. Riesce a sdoppiarsi tra realtà e sogno. Tra fermezza e convulsione. Tra speranza e disperazione. Inventa sequenze per lui inaudite - quella della visione del topo e il pipistrello, in preda a delirium tremens, è a dir poco strepitosa - racconta come al solito benissimo senza tralasciare niente.
Ray Milland è semplicemente eccezionale. Le sue smorfie, deliranti e nervose, anticipano a mio avviso quelle di Jack Nicholson.