I progetti faciloni di ascesa sociale di un immobiliarista, il sogno di una vita diversa di una donna ricca e infelice, il desiderio di un amore vero di una ragazza oppressa dalle ambizioni del padre. E poi un misterioso incidente, in una notte gelida alla vigilia delle feste di Natale, a complicare le cose e a infittire la trama corale di un film dall’umorismo nero che si compone come un mosaico. Paolo Virzì stavolta racconta splendore e miseria di una provincia del Nord Italia, per offrirci un affresco acuto e beffardo di questo nostro tempo.
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Virzì firma il suo film più maturo con un libero adattamento di un romanzo dello statunitense S. Amidon. Felice l'intuizione di affidare il progressivo disvelamento dell'intreccio all'approfondimento di alcuni diversi caratteri (più che dei rispettivi punti di vista): di capitolo in capitolo, passando da Dino a Carla a Serena, scopriamo diversi retroscena che fanno felicemente meglio luce sui personaggi e quindi sul contesto. Partendo, giustamente, in chiave grottesca e caricaturale - quindi affondando sempre più in un registro, quello del noir, che fra l'altro in Italia è piuttosto inusuale - Virzì si supera, grazie a una sceneggiatura magistrale soprattutto nel disegno dei personaggi e nella calibratura del meccanismo del racconto. Rimane un desolante affresco "in absentia" degli ideali (affettivi, culturali, politici) cui l'avidità ci ha fatto abdicare. Un barlume di pallida speranza senza più lacrime viene affidato ai due giovani che ancora non si rassegnano al contesto in cui si trovano invischiati. Con la loro residua ingenua purezza, come nell'ultimo Bertolucci, sembrano alla fine rappresentare l'ultima, utopica, Thule di una civiltà sprofondata nella propria ignorante e triste grettezza.