Ludovico Massa detto Lulu, metalmeccanico rozzo e crumiro, è il perfetto archetipo del lavoratore senza coscienza di classe. Abile sul lavoro, si ammazza di fatica solo per riempire la casa di inutili aggeggi consumistici. Il suo comportamento gli aliena le simpatie dei compagni...
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Forse il fatto che io lo abbia visto nel 2020 incide tanto sulla mia valutazione. Ma "La classe operaia va in paradiso" mi ha un tantino deluso. E vado a ricercare nell'eccessiva verbosità urlata, nella lunghezza di alcune scene, nella fluidità del racconto la mia critica. E' il film di un marxista convinto che vuole denunciare sì i padroni, gli arricchiti ecc., ma non si fa problemi nel far vedere i limiti dei sindacati, degli scioperi, degli studenti interessati. Il capitalismo è una macchina ben oliata che funziona benissimo con gli stakanovisti, ma se ci si mette un dito dentro rischia di incepparsi e di far saltare tutte le certezze che si avevano. Le scene che ho preferito sono quelle in cui si racconta bene l'operaio una volta tornato a casa e quelle relative alla vita di fabbrica nella parte iniziale. Lulù è un personaggio meraviglioso, interpretato da un maestoso GianMaria Volonté, che cambierà forma più volte nel corso del film. Dirà che l'uomo è sostanzialmente la fabbrica in cui lavora, e lui stesso avvalora questa triste tesi. Lulù annulla tutto sè stesso, anche sessualmente, per via della vita che fa in fabbrica. La regia di Petri è asfissiante, riempie sempre tutto lo schermo e ogni inquadratura punta a rappresentare lo stato d'animo dello spettatore. Ottimo il solito Morricone con una colonna sonora angosciante, che dà il tono drammatico alla vicenda. Alla fine della battaglia saranno tutti sconfitti, chi più chi meno. E 50 anni dopo siamo punto e a capo.