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Si tratta del secondo lungometraggio di Kurosawa, avendoli visti quasi tutti presumo sia l'unico a trattare tematiche politiche, in più, la sceneggiatura non è stata approvata totalmente dal regista ed in un certo senso è una pellicola disinteressata in parte, dall'autore, e si vede, disinteressante dal mio punto di vista, ma indubbiamente costruita in maniera notevole. Il fatto storico realmente accaduto è lo sfondo su cui costruire questa storia di una scelta di vita, che si incrocia con una storia d'amore. Notevole, come detto, registicamente, possiamo trovare il preludio di tanti polizieschi degli anni successivi, dello stesso regista, con una fotografia ad alto contrasto in certi punti, che sfiora l'espressionismo, dei bellissimi controluce, specificamente per quanto riguarda le inquadrature in carcere, delineando in maniera netta la figura del personaggio protagonista rispetto l'ambiente che la circonda, dando un perfetto senso di isolamento. In questo suo forse primo vero film inoltre, c'è già tutta la capacità di questo regista nella scelta di un linguaggio cinematografico assolutamente poco-convenzionale, o atipico, con una specifica scelta di montaggio per alcune sequenze che esula da una classica drammaturgia se si parla appunto dell'immediato dopoguerra. Peccato il regista fosse partito prevenuto già dagli inizi, come testualmente ha dichiarato, "era un regista dell'io, non del noi", poteva uscirne un film eccellente.