storia di fantasmi cinesi regia di Ching Siu-tung Hong Kong 1987
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storia di fantasmi cinesi (1987)

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locandina del film STORIA DI FANTASMI CINESI

Titolo Originale: SINNUI YAUMAN

RegiaChing Siu-tung

InterpretiLeslie Cheung, Wong Tsu-hsien, Lau Shi-ming, Wu Ma

Durata: h 1.41
NazionalitàHong Kong 1987
Generefantasy
Al cinema nel Gennaio 1987

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Trama del film Storia di fantasmi cinesi

Giunto in una cittadina per svolgere il proprio ingrato compito, l'esattore Ning Tsai-shen non trova nessuno disposto ad accoglierlo per la notte ed è costretto a rifugiarsi nel tempio di Lan Ro, infestato dagli spiriti: qui incontra Yen Che-hsia, monaco taoista e guerriero, e la bella Nieh Hsiao-tsing, della quale si innamora. La ragazza è però a sua volta un fantasma, legato per l'eternità a uno spaventoso albero capace di succhiare l'essenza vitale dalle malcapitate vittime: l'impresa è immane, ma Ning tenta ugualmente di spezzare l'incantesimo...

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 •  STORIA DI FANTASMI CINESI 2, 1990
 •  STORIA DI FANTASMI CINESI 3, 1991

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Voti e commenti su Storia di fantasmi cinesi, 22 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

kafka62  @  11/03/2018 12:15:35
   7½ / 10
La cosa che colpisce di più in "Storia di fantasmi cinesi" è la sua straordinaria ambiguità. Il film di Ching è infatti un prodotto dichiaratamente popolare, che si rivolge a una fascia vastissima di pubblico, e al tempo stesso è un sofisticato coacervo di riferimenti culturali. E' un film di genere e nel contempo un'opera che, per mezzo dell'umorismo e della smitizzazione parodistica, trascende e reinventa il genere. E' profondamente orientale e insieme pieno di influenze, se non addirittura di citazioni, del cinema occidentale. E' ambientato in un passato "fantastico" eppure possiede per molti versi connotazioni futuribili e post-moderne. Anche dal punto di vista stilistico "Storia di fantasmi cinesi" appare difficilmente definibile: a inquadrature armoniose, di un gusto quasi pittorico, si succedono spesso movimenti frenetici e convulsi della macchina da presa, così come le tonalità delicate e soffuse di molte scene trascolorano con subitanea facilità in violenti giochi cromatici. Da qualsiasi parte lo si guardi, "Storia di fantasmi cinesi" mostra la sua doppia natura di sbalorditivo giocattolo spettacolare e tecnologico e di raffinato capolavoro in cui è possibile ritrovare l'intero armamentario retorico del cinema contemporaneo. Forse solo lo spielberghiano "I predatori dell'Arca perduta" era riuscito, prima di lui, a coniugare altrettanto bene la storia del cinema con l'immaginario collettivo degli anni disimpegnati della fine del secolo scorso.
Come nella saga di Indiana Jones, anche in "Storia di fantasmi cinesi" il cinema dell'orrore si mescola con il cinema d'avventura, la favola, il melodramma sentimentale e le storie di spettri, il tutto con uno sguardo divertito e ironico che non risparmia niente e nessuno. A partire dallo stesso protagonista. Lin Choi Sin, il giovane esattore che attraversa l'immensa Cina portandosi appresso un librone nel quale sono annotate le tasse da riscuotere, è l'anti-eroe per eccellenza, debole, goffo, maldestro e fifone. Per riprendere il velo sfuggito a Li Siu Seen, ad esempio, finisce per ben due volte nelle acque del lago, è incapace di sollevare da terra, prendendolo tra le braccia, il corpo della ragazza svenuta, ad ogni rumore insolito che rompe il silenzio della notte il cuore gli balza in gola, e così via. Nella divertente sequenza iniziale, la natura sembra farsi beffe di lui, rivelando la sua patetica inadeguatezza ad affrontare la vita: il pane nella saccoccia si dimostra più duro delle pietre, l'ago della bussola gira vorticosamente, come impazzito, e quando, senza preavviso, scoppia un forte temporale, a far da riparo al giovane c'è solo un ombrello pieno di buchi. Lin Choi Sin ha la stessa scalcagnata trasandatezza di uno Charlot e la stralunata inettitudine di un Buster Keaton, eppure nonostante questo (o forse proprio grazie a ciò) è capace di muoversi in un ambiente pericoloso e tremendo, dominato da forze soverchianti, senza mai soccombere, con quella grazia speciale e quella magica invulnerabilità che solo gli ingenui e i puri di spirito hanno. Al suo fianco Ching Siu Tung ha messo un personaggio che partecipa in tutto e per tutto dell'ambiguità di cui si è detto dinanzi. Yin Chek Hsia, un guerriero forte e invincibile che, scambiato inizialmente da Lin Choi per un feroce assassino (con tutte le conseguenze in termini di gag ed equivoci che si possono immaginare), si rivela alla fine l'alleato più fedele del ragazzo. Quello del guerriero taoista è il personaggio più bello del film, irresistibilmente esuberante e sanguigno ma con un fondo nascosto di insopprimibile tristezza.
A far scattare la molla del film è però l'amore di Lin Choi per la fanciulla-spirito. Anche nei suoi confronti il nostro eroe passa attraverso alterne fasi, dall'infatuazione al sospetto e al ripudio, prima di rendersi definitivamente conto che la ragazza è schiava delle forze del male e che da sola non riesce a trovare la forza per affrancarsi. E' il vecchissimo, eppure sempre avvincente, tema che sta al centro della favolistica popolare e della letteratura cavalleresca e romantica: quello dell'amore per la bella principessa che, per poter essere coronato da successo, deve obbligatoriamente passare attraverso prove e tribolazioni di ogni genere, aventi una funzione catartica e di iniziazione. Qui però Ching trasforma questo tema in una storia che cela in sé un profondo e invincibile senso di tristezza. Restituire la ragazza al mondo degli umani significa infatti per il protagonista perderla per sempre, e questa consapevolezza vena fin dall'inizio di nostalgia il rapporto tra i due amanti. La storia d'amore tra Lin Choi Sin e Li Siu Seen è così vissuta in maniera precaria e fugace, tra falsi addii e illusori ricongiungimenti; e quando il regista, durante la prima notte d'amore, alterna le scene del presente con quelle delle avventure vissute insieme nei giorni precedenti, sembra con questo stratagemma formale sancire l'irripetibilità degli istanti di felicità, in una sorta di singolare esaltazione del carpe diem oraziano. L'estatico autocompiacimento che Ching lascia qui intravedere per le stupende immagini realizzate, ciascuna delle quali, presa a sé stante, è in grado di assurgere a un'autonoma perfezione (come si può vedere anche nel suggestivo collage finale), mi ricorda lontanamente il modo in cui Peter Weir in "Picnic ad Hanging Rock" usa le inquadrature (un viso, un gesto al ralenti, un particolare), fino a farle diventare dei veri e propri leit-motiv, e persino dei simboli capaci, con la loro bellezza, di trascendere il film stesso.
La mancanza dell'happy end sperato ribalta inaspettatamente in elegia quel che inizialmente si presentava come una goliardica parodia delle goticheggianti ghost stories. Si considerino ad esempio le significative scene degli zombi che infestano il tempio maledetto: queste creature squittenti e inoffensive che il protagonista, senza neanche accorgersene, sbatacchia di qua e di là, calpesta e infine annienta, rappresentano una divertente (e divertita) presa di distanza dai seriosi luoghi comuni del genere, vale a dire dagli innumerevoli morti viventi dalla forza terribile e dal volto decomposto che hanno riempito tante pellicole da Romero in avanti. I topoi dell'horror film sono presenti in abbondanza, a partire dagli elementi più triviali e scontati del gore: schizzi di sangue, teste tagliate, teschi e tombe (una lapide cimiteriale è non a caso la prima immagine del film) si susseguono in un tripudio grandguignolesco, da manuale dell'orrore in celluloide, sempre però descritto con quella distanziazione che, lo si è ormai capito, costituisce la vera costante di "Storia di fantasmi cinesi". E' sufficiente pensare all'abbraccio che, dopo la lunga ed estenuante battaglia con la lingua gigantesca, il ragazzo e il taoista si scambiano, entrambi con il viso orribilmente sporco di schifosi liquami, per comprendere l'anticlimax che si respira in continuazione nel film.
Altrove il gioco finemente ironico dei rimandi e delle citazioni è ancor più compenetrato nella struttura narrativa, la quale segue con una fedeltà volutamente esagerata (e quindi dissacratoria e grottesca) tutti gli stereotipi del genere. Anzitutto, l'arrivo dell'eroe ignaro in una comunità a lui estranea e rinserrata a protezione del "mistero" della zona è il luogo comune per eccellenza del cinema horror, presente fin nei primi film di Dracula (il villaggio dei gitani che accoglie il protagonista) e ripreso, con intenzioni più o meno parodistiche, dai film di Polanski, Landis e Dante. In secondo luogo, il bosco notturno, irto di pericoli e popolato di animali feroci, il cui attraversamento equivale (Cappuccetto Rosso insegna) a un'esperienza iniziatica. In terzo luogo, il tempio infestato dagli spiriti, che nel cinema orientale (vedi ad esempio "I racconti della luna pallida di agosto") ha la stessa funzione della casa maledetta della tradizione orrorifica occidentale. All'interno dell'edificio in apparenza rassicurante, gli ambienti deputati al pericolo e alla paura sono, ovviamente, la soffitta e la cantina: è lì, dove l'oscurità e l'assenza di una facile via di fuga lasciano il protagonista ancor più in balia dell'imprevedibile, che si annidano le misteriose presenze notturne. La dimensione "notturna" del terrore è un altro topos classico, comune a quasi tutta la letteratura e la cinematografia del genere: è di notte che normalmente si scatenano le forze del male e l'arrivo dell'alba interviene quasi sempre in funzione di alleggerimento della tensione, quando essa ha raggiunto livelli spasmodici e insopportabili. In "Storia di fantasmi cinesi" le scene diurne sono in netta minoranza rispetto a quelle notturne, e a volte sono dei semplici intermezzi utili per accumulare nuovo materiale narrativo o per scandire il trascorrere del tempo. Un altro degli incubi contemporanei più comuni (basta pensare al sogno di "Sweetie" o, in chiave goliardica, a "La piccola bottega degli orrori") è rappresentato dalla demoniaca vitalità della natura inanimata: rami e radici degli alberi diventano mostruosi tentacoli, nugoli di braccia spuntano inopinatamente dalle rocce, le lingue si allungano a dismisura, e così via. Infine, l'incredibile facilità con cui le due dimensioni (l'aldiqua e l'aldilà) vengono perforate in entrambe le direzioni ricorda la letteratura bretone di Chrétien de Troyes, dove il regno dei morti era magari situato appena al di là di un fiume.
In "Storia di fantasmi cinesi" c'è ancora un elemento che ricorre con frequenza nel film dell'orrore (anche se in forme sempre diverse, a seconda del paese, dell'epoca e della cultura): è il sutra contenente le formule magiche per respingere gli spiriti maligni, non molto dissimile dai crocifissi e dall'aglio per tenere lontani i vampiri o dall'acqua santa e dalle frasi esorcistiche per combattere il demonio. Ching Siu Tung gli attrribuisce ovviamente un'intenzione ironica: essendosi il protagonista appoggiato a una parete dove sono esposti alcuni sutra, sul suo vestito rimangono accidentalmente impresse le fatidiche scritte, e con esse, più tardi, egli terrorizza senza rendersene conto la fanciulla-fantasma. Ma nel tema del sutra si adombra un discorso assai più profondo, anche se a malapena accennato, il quale percorre sotterraneamente l'intero film: l'importanza della parola scritta e della sua riproducibilità. Non è un caso che Lin Choi Sin sia un esattore il quale, dopo un lunghissimo viaggio a piedi, scopre che il libro in cui sono annotate le somme da riscuotere è stato irrimediabilmente rovinato dall'acqua; ma egli non si perde d'animo e il giorno dopo riscrive tutto quanto, riuscendo così a presentarsi con aria trionfante davanti all'esterrefatto debitore che poco prima lo aveva cacciato in malo modo. Per quanto riguarda più propriamente il sutra, esso viene trasmesso di mano in mano per mezzo della stampa (sia pur involontaria, come testimonia la buffa sequenza descritta più sopra), diventando così un prezioso testimone per far trionfare le forze del bene: è proprio grazie alle pagine del libro che Yin Chek Hsia ha affidato al ragazzo, che i due riescono a sconfiggere il temibilissimo Signore Nero. E' una morale assai simile a quella che emerge da un vecchio film di King Hu (un altro regista della scuderia del produttore Tsui Hark), "Pioggia opportuna sulla montagna vuota", laddove si antepone l'esigenza della diffusione più ampia possibile delle copie del manoscritto a quella, opposta, dello sterile e geloso possesso dell'originale, il quale viene simbolicamente bruciato dal nuovo abate del monastero buddista.
Quella del libro magico non è l'unica provocazione intellettuale che si può scoprire tra le pieghe di questo film fintamente semplice. Basti pensare alla sua complessa dialettica temporale. "Storia di fantasmi cinesi" si svolge in una dimensione apparentemente fuori di ogni dinamica cronologica, in virtù di una straordinaria concentrazione temporale. Sono talmente tanti gli avvenimenti che si accavallano in un breve lasso di tempo che quasi non ci si rende conto del suo trascorrere. Eppure i riferimenti al passare del tempo sono insolitamente precisi: cronologicamente la vicenda è contenuta nello spazio di sei giornate e di cinque notti; più volte i personaggi ci ricordano quanti giorni mancano alle nozze di Liu Siu Seen con il Signore Nero. E', questo, uno dei molti segni dello straordinario rispetto che il regista dimostra per ogni particolare della storia, al fine di non intaccare in alcun modo (anche se ciò può apparire ben strano a prima vista) la sua verosimiglianza. A fronte di una trama decisamente fantastica e surreale, c'è infatti in "Storia di fantasmi cinesi" una cura minuziosa per ogni elemento della sceneggiatura: per fare un solo esempio, gli oggetti (il vaso contenente le ceneri di Li Siu Seen, il ritratto della ragazza, il fazzoletto con il messaggio ricamato, lo zaino del protagonista), pur avendo a volte un ruolo del tutto marginale nella storia, non vengono mai trascurati ma assumono un posto ben preciso all'interno di essa, cosicché, nonostante il caotico svolgersi degli accadimenti, tutto l'intreccio risulta ben registrato, senza alcun vuoto né dimenticanza o arbitrario accantonamento.
Come fa notare il sinologo Giorgio Mantici (in Cineforum, n° 312), "Storia di fantasmi cinesi" è anche un film girato con un grande scrupolo storicistico ed un rispetto addirittura filologico per una tradizione popolare molto sentita in Oriente. La storia di fantasmi e di demoni raccontata da Ching non è quindi solo un pretesto spettacolare, ma anche un'occasione per rendere omaggio a tradizioni plurisecolari, risalenti addirittura al III-IV secolo dopo Cristo. E' possibile rintracciare molti elementi tipicamente cinesi nel film: il sutra e il taoismo del monaco-guerriero, naturalmente, ma anche la duplice natura (maschile e femminile allo stesso tempo) dello spirito maligno, riproducente la dualità tra Yin e Yang; e poi "il simbolo dell'albero di canfora, sotto il quale vengono sepolte le urne con le ceneri dei morti; il motivo ricorrente degli odori (il protagonista viene nascosto nella tinozza profumata perché la strega non possa sentire il suo odore di uomo); la valenza demoniaca della musica, che risale addirittura a Confucio (e la ragazza, che attira i viandanti con la musica, è una vera e propria apsara, le divinità buddiste musicanti che appaiono negli affreschi delle grotte di Tonghuang); e infine la potenza magica del suo fiato (quando lui è nascosto sott'acqua, lei lo bacia donandogli il Qi, il soffio vitale, e consentendogli di rimanere nascosto)" (Mantici). Anche l'uso simbolico di oggetti e parti del corpo è tipicamente orientale: il velo della ragazza-fantasma, ad esempio, rappresenta l'infinita carica di amore e di distruzione che, contemporaneamente, la donna è in grado di esercitare sull'uomo, diventando ora strumento di perdizione (quando ella attira a sé le sue vittime) ora strumento di salvezza (il velo che indica al protagonista la strada da seguire nella notte o che lo strappa provvidenzialmente dalle grinfie degli spiriti maligni); la lingua smisurata che cerca di entrare nella bocca dei personaggi è, per contro, una evidente metafora sessuale, in quanto si può veder simboleggiato in essa il sesso sporco e impuro contrapposto agli insegnamenti buddisti di astinenza e di ritenzione del seme. Vi sono poi in "Storia di fantasmi cinesi" influenze orientali più prettamente cinematografiche. L'esempio più indicativo è probabilmente l'acrobatico duello tra i due guerrieri, che rimanda ai tanti combattimenti dei film di King Hu ("A touch of zen" su tutti), fatti di corse, salti e voli, assai più vicini all'Opera di Pechino che non alle arti marziali.
"Storia di fantasmi cinesi" è un film, come si è visto, profondamente cinese, eppure rivela al tempo stesso una approfondita conoscenza del cinema occidentale da parte del regista. Il suo modo di trattare l'horror è ad esempio simile a quello demenzial-surrealistico di Sam Raimi, tanto che tra "La casa 2" e "Storia di fantasmi cinesi" si possono individuare non poche analogie tematiche e formali. Non mancano esplicite citazioni, come il grappolo di braccia durante il combattimento, che ricorda "Repulsion" di Polanski, ma assai più interessanti mi sembrano i punti di contatto con alcune delle espressioni più recenti della nostra cultura figurativa. La canzone del guerriero taoista è infatti un perfetto videoclip musicale, mentre l'iperrealistica violenza della seconda parte del film sembra attinta direttamente dai manga giapponesi (ma non si può negare un più generale rapporto di filiazione tra "Storia di fantasmi cinesi" e l'intero universo dei fumetti, come dimostra la natura caricaturale di molti personaggi e lo stravolgimento grottesco del materiale narrativo).
Dal punto di vista stilistico, le influenze del cinema occidentale sono ancora più marcate: dal frequente uso del ralenti in funzione emotiva o simbolica (la prima morte, nel prologo, è preceduta dalla caduta al rallentatore di una lampada accesa) alle inquadrature insolite (soprattutto oblique e dal basso verso l'alto), dalla musica estremamente melodica e orecchiabile agli effetti speciali quasi "hollywoodiani". Ciò non impedisce a Ching di essere ugualmente molto personale e di creare delle sequenze originalissime, come quella di Lin Choi Sin che vola sopra l'armata degli spiriti che corrono sotto di lui in direzione contraria. E' il ritmo a dare però la misura del senso del cinema posseduto da Ching. La vicenda ha infatti un andamento a dir poco frenetico e debordante. In un'ora e mezza accade letteralmente di tutto, con una successione incalzante che non lascia tregua, senza però che venga mai avvertita la sensazione che la misura sia colma. Gran parte del merito va sicuramente all'ellittica agilità del montaggio: quando il ragazzo lascia per la prima volta il villaggio con la raccomandazione di stare attento ai lupi, subito egli si ritrova nel buio della foresta, e allo stesso modo, quando in un manifesto vede, in mezzo ai volti dei delinquenti ricercati dalla polizia, quello del guerriero barbuto, e decide perciò di correre in aiuto della ragazza, di colpo viene trasportato davanti all'abitazione sul lago. Ching evita con accuratezza il fastidio dei tempi morti, eliminandoli radicalmente dal tessuto narrativo; ciononostante "Storia di fantasmi cinesi" possiede anche momenti di rarefatta sospensione, atmosfere di sogno cui la bellissima musica di Romeo Diaz e James Wong conferisce un sovrappiù di pathos, come l'indimenticabile scena nella vasca da bagno (romanticissima, e nel medesimo tempo gestita con una sapienza hitchcockiana) o quella della scomparsa finale della fanciulla (trovo geniale il fatto che, in questo istante fatidico, il protagonista sia costretto a voltarsi e a darle le spalle, per evitare che la prima luce del giorno possa distruggerla).
Come si vede, "Storia di fantasmi cinesi" è un film caleidoscopicamente ricchissimo, non solo dal punto di vista visivo ma anche da quello tematico. In fondo, tra rutilanti duelli e inseguimenti mozzafiato, a rimanere impresse nella memoria sono proprio la malinconica scoperta che l'amore porta sempre fatalmente con sé la sua perdita e, soprattutto, l'imprevista, dolorosa umanità di un personaggio, quello del guerriero taoista, il quale preferisce combattere contro gli spiriti piuttosto che aver a che fare con l'umanità meschina ("Ecco perché mi nascondo e voglio sembrare uno spirito agli uomini e un uomo agli spiriti") e si smarrisce, lui che si è asserragliato al riparo della propria misantropica fierezza, di fronte al disperato desiderio di reincarnarsi di Li Siu Seen, espressione finanche troppo ingenua di una morale secondo cui la vita è degna di essere vissuta comunque, pur con tutti i suoi dolori e i suoi patimenti.

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