Un sassofonista, dopo aver ricevuto da uno strano individuo cassette in cui viene ripreso in casa sua durante la sua vita quotidiana, viene accusato dell'omicidio della propria moglie. Ma, una volta in carcere, si trasforma in un'altra persona, che viene scarcerata e inizia una vita in qualche modo parallela a quella precedente...
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Come in "Inland Empire", anche in questo film bisogna lasciarsi trasportare dalla bellezza e dalla forza delle immagini e dalle emozioni che esse suscitano (la scena dell'amplesso sulle note di "song to the siren" è da brividi). Come nel sopra citato "inland Empire" e nel prodigioso "Mulholland Drive", anche in "Strade perdute" la linea di demarcazione tra conscio e inconscio, tra realtà e immaginazione è estremamente labile. La dimensione interiore del protagonista si mescola con quella esterna generando un forte senso di spaesamento in chi guarda. Come nel successivo "Mulholland Drive", i pezzi del mosaico si ricompongono alla fine del film (anche se qui è obiettivamente più arduo ricollegare tutti gli eventi): la potenza di questa pellicola risiede, tuttavia, non tanto nella dinamica in cui si dipana la storia, quanto nella straordinaria capacità di Lynch di dischiudere e mostrarci i lati più oscuri e i recessi più profondi della psiche dell'uomo: la scissione che si verifica a un certo punto e i dialoghi con un soggetto misterioso non sono altro che proiezioni del cervello materializzate. Lynch, dunque, si sofferma a scandagliare l'interiorità dell'esistenza umana, mettendola sullo stesso piano della dimensione esteriore, perchè la prima, come la seconda, fa parte della realtà: entrambi questi elementi costituiscono 2 aspetti inscindibili dell'essere , e pertanto l'uno non può escludere l'altro. Questa tematica si svilupperà e raggiungerà il suo apice nei 2 successivi film.