Un sassofonista, dopo aver ricevuto da uno strano individuo cassette in cui viene ripreso in casa sua durante la sua vita quotidiana, viene accusato dell'omicidio della propria moglie. Ma, una volta in carcere, si trasforma in un'altra persona, che viene scarcerata e inizia una vita in qualche modo parallela a quella precedente...
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Potrebbe non essere un caso, ma lo script di "lost highway" ha qualche affinità non solo con "Vertigo" di Hitchcock ma con almeno tre film del 1944: "la fiamma del peccato", "la donna del ritratto" - "vertigine". A questo punto la giostra onirica di Lynch puo' arrestarsi e inaugurare una trilogia ideale (con "mullholland drive" e "Inland empire" che è una sorta di irriverente bignami lynchiano) che non c'è. Come in molti film di Lynch è opportuno seguire attentamente non tanto o solo la storia, ma anche i dialoghi, i gesti, le azioni, e le espressioni nel volto dei protagonisti. Per fare un esempio, solo in un secondo momento l'inconscio stabilirà e libererà quello che ci era sembrato evidente, ma non abbiamo voluto immediatamente trasferire nel nostro intuito immaginario: emblema di tutto cio' è indubbiamente la figura di Fred Madison e i suoi comportamenti paranoici che nascondono una forte e percettiva gelosia nei riguardi della bellissima moglie. Così è facile ravvedere nel giovane Pete una summa liberatoria dell'impotenza di Fred, e magari ancora credere che il presunto boss della malavita sia in realtà un rivale edipico in amore, o la raffigurazione mentale dello stesso Fred vs. Pete. Possiamo pero' anche evitare di seguire la stessa linea e lasciarci abbandonare alla storia, inseguendo un psico-noir torbido e affascinante, che sembra inesorabile e breve allo stesso tempo, con un finale degno di Wes Craven. O i magnifici flashback di Fred in prigione, e la sua successiva (immaginaria?) reincarnazione nel giovane Pete. O rincorrere i simboli, e dominarli come Lynch riesce a fare, pur perdendosi talvolta per strada. "lost highway" è un grande film di Lynch ma non è il suo capolavoro. Quando affonda nel retaggio hardcore, corre il rischio di fare brutte figure (e le sequenze pseudo-porno sono abbondantemente grottesche e mal girate)
Ma, come spesso accade, l'autore colma i suoi limiti (forse comprensibili nel "vortice" malato della sua virtuosità) con scelte formali di altissimo livello: le dimore ridotte all'essenziale, puro design futurista a supporto dell'esistenza minata della coppia di protagonisti e, soprattutto, l'incantevole presenza-assenza di Patricia Arquette, ora moglie da infarto, ora pupa del gangster, ora fatalona peccaminosa che - come nei migliori fumetti e romanzi hard-boiled - è splendida (in tutti i sensi) nel raffigurare la seduzione femminile con la sua (finta) vocazione al vittimismo, e al doppiogiochismo corporale... peccato ripeto, peccato davvero per quel brutto efford dei pornocinefilè che - strano a dirsi - è una caduta libera in cui incappano molti (anche il sottovalutato "la dalia nera" di De Palma non ha certo i suoi momenti migliori quando sfiora il voyeurismo...). Da segnalare la colonna sonora assai suggestiva e inquietante - musiche del fedele Badalamenti e ancora Bowie, Rammstein, Lou Reed, This Mortal Coil e - dulcis in fondo - Marilyn Manson, che compare in una fugace apparizione hard e stravolge splendidamente "I put a spell on you" di Screamin' Jay Hawkins: scelta fin troppo ovvia (uomo/donna/doppio/canzone maledetta) per avere "il Diavolo in casa".