vivere - ikiru regia di Akira Kurosawa Giappone 1952
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vivere - ikiru (1952)

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locandina del film VIVERE - IKIRU

Titolo Originale: IKIRU

RegiaAkira Kurosawa

InterpretiMakoto Kobori, Nobuo Kaneko, Takashi Shimura, Kyoko Seki

Durata: h 2.23
NazionalitàGiappone 1952
Generedrammatico
Al cinema nel Novembre 1952

•  Altri film di Akira Kurosawa

Trama del film Vivere - ikiru

Malato di tumore, anziano funzionario giapponese si dedica interamente all'impresa di trasformare una zona palustre in un campo di giochi per bambini. Quando muore, soltanto le madri dei bambini si ricordano di lui.

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Voto Visitatori:   9,12 / 10 (41 voti)9,12Grafico
Voto Recensore:   9,00 / 10  9,00
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Voti e commenti su Vivere - ikiru, 41 opinioni inserite

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Gruppo COLLABORATORI ULTRAVIOLENCE78  @  25/03/2009 17:11:31
   8½ / 10
Akira Kurosawa mette in scena una parabola esemplare, permeata di lirismo e amarezza, che assurge, da un lato, ad accorato monito sulla caducità e precarietà della vita, troppo breve e importante per essere totalmente dilapidata in vane e vacue attività; e dall’altro ad emblema di una profonda rassegnazione, che però viene espressa con vivida rabbia e con mordace slancio contro un sistema –quello burocratico- che sembra presentarsi come il riflesso della natura umana, bieca e indifferente.
Kanji Watanabe, irreprensibile impiegato comunale, che da oltre trent’anni svolge diligentemente il suo lavoro senza aver fatto un solo giorno di assenza. Proprio l’appressarsi della morte lo desta dal torpore di una vita vissuta, dalla morte della moglie, trascinandosi meccanicamente in una quotidianità sempre uguale a se stessa; la coscienza dell’incombenza della fine gli consente di riflettere sulla sua esistenza, sull’“utilità dis-utile” in cui è giornalmente affaccendato. Comincia così ad assentarsi sul posto di lavoro, cercando dapprima di (ri)trovare le emozioni suscitate dal contatto umano, dalle relazioni con gli altri; e poi, una volta avvedutosi della freddezza altrui –fatti salvi quei fugaci e illusori momenti di empatia vissuti con una giovane ex-collega d’ufficio, impegnandosi strenuamente sul lavoro al fine di ottenere il nullaosta per la costruzione di un parco giochi in un’area paludosa abbandonata.
L’epilogo della vicenda lascia lo spazio a tutta l’amarezza e al senso di rassegnazione per il “deserto umano” che ha circondato il protagonista sia prima che dopo la sua morte (e che emerge in maniera estremamente efficace, in virtù del gioco di flashforward e flashback). Non c’è esempio e sacrificio che tengano: tutti tornano alla miseria e alla meschinità delle occupazioni e dei loro affari, rimovendo completamente l’insegnamento estremo lasciato dallo stesso Watanabe, che cadrà immancabilmente nel vuoto. Questi si è avveduto dell’insensatezza e dell’apatia della propria esistenza, una volta presa coscienza della sua finitezza: la sua battaglia non ha saputo illuminare le persone che gli stavano accanto, forse perché queste, contrariamente a lui, pur sapendo che la vita ha un limite, non ne erano veramente consapevoli.

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Ultima risposta 25/03/2009 19.20.31
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Invia una mail all'autore del commento domeXna79  @  29/03/2008 12:51:29
   9 / 10
Altro capolavoro del maestro giapponese Kurosawa.
Cosa significa vivere, riscoprire un’esistenza minata da un passato che, come le pile di incartamenti allocati sulla scrivania, si è fatto (o forse lo è sempre stato) polveroso, grigio, insignificante, tutto questo perché è svanita la meta da raggiungere, un tangibile obiettivo per cui adoperarsi ogni singolo giorno ..così l’animo tormentato del protagonista vaga alla ricerca di qualcosa che lo elevi dal quel torpore, un segno, una traccia che rimanga nel ricordo delle persone, ed infondo far si che si possa dare un senso alla propria “breve” esistenza ..così vediamo mischiarsi l’effimero tentativo di allontanare i pensieri con l’alcool (l’incontro con lo scrittore) ma anche uno sguardo verso il passato (la giovane impiegata) che riappare nella freschezza e nella gioia di chi vive un’età spensierata ..alla fine una strada si apre dinnanzi allo sguardo del vecchio capoufficio, ed è quella che gli è sempre stata vicina..
Accuratezza nel montaggio, alternanza di ironia e lirismo in alcune scene, profondità dell’analisi introspettiva ed un richiamo alla narrativa russa, sono ingredienti che il grande regista nipponico riesce mirabilmente a miscelare creando un’opera coerente e completa, malinconica ma anche ricca di speranza ..una vera poesia l’immagine del vecchio Watanabe che, nel freddo della notte e facendosi dolcemente cullare su un piccolo dondolo, canta un inno alla gioia..
Suddiviso sostanzialmente in due parti, il racconto scorre più fluido nella prima rispetto ad una seconda indubbiamente più pesante (in cui peraltro assistiamo ad una sottile critica politica resa perfetta dall’intervento sulla scena del sindaco durante la veglia funebre e non solo) ..da molti accostato a “Umberto D” di De Sica e “Il posto delle fragole” di Bergman per la tematica trattata (l’età senile), in realtà credo che l’opera di Kurosawa in parte si discosti dalle due precedentemente citate, questo per un respiro più ampio che il maestro giapponese da alla narrazione, tale da abbracciare passato-presente-futuro in un’ottica lontanamente individualistica.
Un vero classico del cinema d’autore ..imperdibile!

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Ultima risposta 30/03/2008 20.56.15
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Gruppo REDAZIONE amterme63  @  11/10/2007 23:34:15
   8½ / 10
Il film tratta soprattutto due tematiche: una esistenzialista in cui si riflette sul senso della vita, sull’atteggiamento umano nei confronti della morte e sul difficile rapporto fra anziani e giovani; l’altra più prettamente politica è un atto di accusa verso la classe degli amministratori pubblici. Dal punto di vista stilistico si distingue per un certo eclettismo. Infatti si mescolano diversi stili e modi di ripresa, che rendono l’opera un po’ strana e a volte spezzettata. All’inizio c’è una voce narrante che spiega tutto (come usava in Giappone al tempo del muto), poi si usa lo stile di Quarto Potere con flashback e molti piano sequenza, infine si utilizza la tecnica a testimonianza di Rashomon.
Il soggetto è quasi neorealista. Il protagonista è infatti una persona anziana umile e antieroica. Ci viene presentato come un impiegato comunale mediocre, senza attrattive, pieno di piccoli difetti, anche se con l’animo buono. La sua è la vita di un perdente, di uno che ha solo subito e pensato che bastasse solo seguire le norme sociali esteriori per condurre la propria vita. Tanti primi piani impietosi ci mostrano la sua faccia di cane battuto, amareggiato o disperato; spesso lo vediamo umiliato o deriso, piegato sotto il peso del dolore o della tristezza. Come il protagonista di Il posto delle fragole, il rivelarsi improvviso di un termine lo porta a riconsiderare se stesso, quello che ha fatto fino ad allora e il suo rapporto con chi gli sta intorno. Si accorge troppo tardi di non avere vissuto, di avere fatto scorrere il tempo per niente, di non aver realmente dimostrato il suo amore verso il figlio, pagando le conseguenze dell’incomunicabilità. La solitudine gli pesa come un macigno, come al povero Umberto D. Riesce comunque a trovare una via d’uscita alla disperazione estrema, cercando uno scopo per i pochi mesi che gli restano: lasciare una traccia indelebile della sua presenza terrena, realizzando un giardino di giochi per bambini. Finalmente in extremis ha trovato uno scopo per la sua vita.
Certamente non c’è nessun premio da aspettarsi dall’altruismo. Il suo lavoro non viene pubblicamente riconosciuto. Le autorità si appropriano dei suoi meriti, nonostante la loro inerzia e quasi disturbo nel vedersi scavalcate. Qui la critica alla burocrazia è molto netta: sono solo parassiti inutili e distruttori di ogni iniziativa individuale o democratica. Erano gli anni in cui in Italia e in Giappone si stava formando una classe politica pubblica fatta di clientele e interessi che avrebbe avvolto e immobilizzato i due paesi. Kurosawa aveva pessimisticamente previsto il parassitismo e i guasti di tale classe.

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Ultima risposta 20/06/2010 23.07.12
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Gruppo COLLABORATORI Terry Malloy  @  16/08/2007 19:29:20
   9 / 10
se non è il mio preferito del Maestro (ho preferito I Sette Samurai), rimane una delle massime opere cinematografiche del Cinema.
si possono dire milioni di cose su questo capolavoro, io mi soffermo solo su una: geniale più di ogni altra cosa è la struttura fisica di Watanabe, il suo piegarsi in continuazione è metaforico dello spirito giapponese e più in particolare dell'"impiegatuccio dostoevskijano e kafkiano" e kurosawa ha inserito la sua critica nel modo migliore, ovvero con i primi piani; laddove infatti la volontà cede, la dignità viene meno, il servilismo trionfa, il regista accusatorio e trasgressivo, coraggioso e sapiente osserva tutti i volti uno ad uno, li ritrae, li immortala nella loro mediocrità e l'unico che osserva da pari a pari è Watanabe in una delle immagini più belle della storia del cinema, ossia quella dell'altalena. una straordinaria opera sulla vecchiaia, un raro esempio di cinema sociale e morale, una testimonianza sul senso della vita davvero meravigliosa. grazie Maestro!

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Ultima risposta 06/09/2007 14.07.40
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Beefheart  @  08/07/2007 01:46:42
   8 / 10
Eccezionale dramma umano dai riflessi kafkiani. Fantastico come viene raccontata la non-vita di Watanabe, burocrate impiegato comunale, capo dell'ufficio richieste, rappresentato chino e spento, armato di timbro, davanti ad uno sfondo di pile infinite di scartoffie e pratiche irrisolte. Allucinante l'alienazione generale da lavoro insulso, ripetitivo ed ipnotico, che imbruttisce lui ed i suoi colleghi. Perfettamente riuscita la rappresentazione del gioco al rimbalzo tra gli uffici della pubblica amministrazione che con noncuranza si palleggiano le incombenze sino a renderle trascurabili. Ammirevoli, infine, la dignità e la sobrietà con le quali Watanabe apprende, accetta e addirittura valorizza, l'evoluzione del suo male incurabile, traendone la spinta emozionale necessaria ad aprire gli occhi ed iniziare a vivere come avrebbe dovuto fare da sempre. Altro buon film di Kurosawa, inaspettatamente distaccato, quasi cinico, che analizza lucidamente l'uomo, la morte e ciò che li lega, senza sfociare nel patetico o nella retorica. Molto bravo e convincente Takashi Shimura nella parte del protagonista. Da vedere.

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Ultima risposta 09/07/2007 19.52.15
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eizenstein  @  11/05/2007 22:24:23
   10 / 10
Che dire! Kurosawa riesce ad affrontare la miseria della condizione umana rendendo evidente lo spreco di tempo che la società impone ai suoi membri, un piaga molto più grave della corruzione (citazione del film). E lo fa con un'analisi psicologica statica e dinamica.
Un capolavoro assoluto di descrizione della degenerazione del genere umano, verso un pericoloso allontanamento dalla condizione naturale!
Negli uffici vediamo un sacco di carta ammassata, impiegati semi-immobili incapaci di qualsiasi slancio creativo e vitale; la morte si sta impossessando piano piano di loro e la staticità è raffigurata dal tempo che passa inutilmente.
Il protagonista è diventato una mummia a causa di questo ambiente, ma, con la terribile scoperta del male che lo affligge, piano piano riscopre la vita e la vita è movimento. Si rende conto che la vita è tutt'altro che far finta di lavorare in ufficio e risparmiare danaro per un figlio ingrato e ciò è scandito dai movimenti della folla in discoteca, dalle danze, dalle passeggiate con la collega. Assistiamo progressivamente alla evoluzione del suo pensiero fino a che scopre come dare un senso alla sua esistenza.
Vedendo "The departed" con Matt Damon finto ragazzo modello ma connivente con la malavita, con atteggiamento identico per tutto il film, mi chiedo come il cinema sia potuto regredire in tal modo: Kurosawa parlava del significato dell'esistenza e lo faceva sfruttando il mezzo cinematografico come meglio non si potrebbe.
Estremamente significativa è la scena in cui Watanabe (ormai condannato a morte) scende le scale del ristorante e subito dopo una ragazza (la vita) le sale festeggiata da tantissimi coetanei che le cantano "Happy Birtday". Ogni gesto e ogni scena sono finalizzati a descrivere la natura umana.
Eccezionale è l'ultima parte, in cui lo spettatore si rende progressivamente conto di ciò che ha fatto Watanabe e di chi veramente era; si hanno flash-back raccontati da molti personaggi e la sua figura da sfumata diviene nitdissima grazie al sommarsi dei vari racconti.
Insomma siamo di fronte ad un eccezionale documento di come si possa rappresentare la realtà con l'arte!

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Ultima risposta 15/11/2007 20.17.16
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giax-tommy  @  11/04/2006 14:48:48
   10 / 10
ilfilm per me vale 8 e mezzo ma lo alzo perchè crimson mi ha convinto.sono stato contento di vederlo perchè è un capolavoro accettato come tale in tutto il mondo,ma a me non è piaciuto esageratamente per come è stato fatto.soprattutto i colleghi del protagonista ubriachi al suo funerale,non mi sono piaciuti.è stato bellissimo vedere flashback per la prima volta in un film in bianco e nero e l'attore protagonista è stato magistrale.comunque un filmda vedere

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Ultima risposta 02/10/2007 11.53.15
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Crimson  @  10/01/2006 18:35:23
   10 / 10
"Cosa farebbe se le dicessero che le rimangono solo 6 mesi da vivere?"
Dei "Gendai geki" (i film contemporanei che compongono i 2/3 dei film di Kurosawa) "Vivere" per me è il più bello, intenso, completo. Un capolavoro, un film speciale.
Realizzato nel pieno della maturità artistica del regista, conclude al meglio la triade neorealista inaugurata con "l'angelo ubriaco" ('48) e proseguita con "cane randagio" ('49) - per entrambi rimando ai miei commenti -
Ciò che innanzitutto mi preme sottolineare è che non è un film che si propone di fornire il (o un) significato della vita, non ha presunzioni di alcun genere.
E' un film che induce a riflettere su alcuni aspetti della vita che talora mettiamo in disparte e sui quali ci soffermiamo spesso quando è troppo tardi. L'uomo non è una macchina perfetta, però può fare di più per vivere meglio il proprio rapporto con il trascorrere del tempo? (forse io ora non lo sto facendo visto che da 5 minuti mi sto impelagando in questo inutile commento ahah). Kenji Watanabe (incredibOL ho ricordato il nome stavolta..) è un impiegato di un ufficio del comune chiamato "ufficio richieste", e da trent'anni vive passivamente la propria vita. Più o meno da quando è morta sua moglie và al lavoro, si siede, non parla con nessuno e apporta timbri qua e là senza cambiare nulla, soffocato dalla propria routine.
Tutto cambia quando scopre di avere un cancro allo stomaco. In questa prima parte del film si rincorrono flashback molto molto belli: a ritmo frenetico egli ripercorre alcune tappe importanti del proprio passato col rancore di chi scopre che non ha fatto abbastanza, di chi ha perso troppo tempo.
Da qui parte la riscossa, forse parziale e tardiva, ma efficace e straordinaria da parte del protagonista (un Takashi Shimura superlativo, anche se a tratti un pò troppo patetico) che prima si chiede come vivere (ed è bellissima la scena in cui dialoga nel locale con l'impiegata che lo ha accompagnato) e, una volta trovato il proprio "senso", si batte come un dannato per mettere in atto ciò che gli è balenato in testa.
La parte finale, senza anticipare nulla, è basata su un flashforward geniale di cui il regista si serve per ricomporre il puzzle degli ultimi mesi di vita del protagonista.
Più in generale, la denuncia al sistema burocratico è evidentissima (verrà ripresa, in modo diversa, in "i cattivi dormono in pace"), e trova la sua sublimazione nel finale ironico in superficie ma tremendo in profondità.
E' un film che fà male ma al tempo stesso dà una grossa carica, sprizza energia positiva che può risvegliare in noi la voglia di essere attivi nella vita, di viverla momento per momento senza un briciolo di passività, come spesso ci capita purtroppo.
Per certi versi (non molti, ma quanto basta per fare un abbozzo di paragone) è riconducibile a "il posto delle fragole".

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Ultima risposta 04/02/2008 01.55.36
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