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Voto Recensore: | 7,50 / 10 | ||
Cinque amici per festeggiare la fine del college decidono di passare una settimana in un cottage di campagna. Durante la loro prima notte riceveranno la visita di un uomo interamente coperto da piaghe che chiederà il loro aiuto e dal quale si prenderanno un terribile virus.
Eli Roth ci prende in giro, e lo fa davvero alla grande. Gioca con noi spettatori amanti dell'horror e ci ripropone passo dopo passo, rendendoli se possibile ancora più banali e ridicoli, tutti i topos di ogni film del genere che si rispetti. I protagonisti sono giovani e stupidissimi. Tra di loro ci sono relazioni sessuali e non amicizie di lungo corso. Man mano cominciano a morire e le loro morti sono efferate e crudeli proporzionalmente al loro grado di antipatia. Le citazioni si sprecano, si passa da "La casa" a "Non aprite quella porta", senza contare numerosissimi altri omaggi ai registi che hanno reso grande l'horror e anche lo splatter. Eh sì, perché Roth non ci risparmia nemmeno la visione di fiotti e fiotti di sangue che vanno ad inondare letteralmente i volti e i corpi degli sfortunati protagonisti, nonché una serie di arti mozzati, di volti scheletrici, di corpi squartati e via dicendo.
Cosa rende allora "Cabin fever" diverso da tutti gli altri horror di infimo livello? L'originalità e se vogliamo l'unicità di questa pellicola stanno nel fatto che in fondo Roth gioca col genere, si diverte a farne un'intelligente e divertente parodia che sicuramente ha dei momenti di stanca (come nell'incipit che risulta essere quasi insopportabile proprio perché non si riescono ancora a comprendere i reali intenti del regista), ma che ci accompagna fino al finale con una serie di sequenze davvero ben girate e di personaggi al limite dell'assurdo (anche senza leggere che dietro la produzione c'è il nome di Lynch, il genio verrà in mente a più di uno spettatore smaliziato, anche perché la colonna sonora è firmata niente poco di meno che da Badalamenti).
Di particolare fattura è la sequenza del racconto attorno al fuoco, uno dei ragazzi (il più biondo, il più bullo, il più stupido e il più antipatico) si diletta nel racconto di una storia dell'orrore per spaventare e al contempo intrattenere i suoi amici. Suddetta storia, evocata anche per immagini, è assolutamente slegata dal contesto della pellicola e ci mostra una serie di freak (ecco che Lynch non può non venirci in mente) tra i quali anche l'uomo sempre sorridente, interpretato dal fratello del regista. Lo stesso Roth compare nelle vesti di uno di questi strambi personaggi che popolano la pellicola e che nulla hanno a che vedere con il contesto generale, ma che contribuiscono a rendere il film più interessante e soprattutto diverso dagli altri suoi simili. Il personaggio in questione è un ragazzo che vuole unirsi al gruppo per fumare un po' di erba in compagnia, ma che poi ci viene mostrato gettato in una grotta col corpo spezzato letteralmente in due parti. Esilarante anche la figura dello sceriffo che non pensa ad altro se non "a fare baldoria" e che causerà non pochi problemi ai ragazzi bisognosi di aiuto. Ma molto probabilmente le figure più emblematiche sono quelle dei gestori di un negozio nel quale si recano i ragazzi all'inizio, figure che incarnano il terrore e la paura, nonché la diffidenza per tutto ciò che è diverso da noi e a noi estraneo, come dimostra la sequenza nella quale insieme decidono di andare nel bosco e di far fuori i ragazzi ormai colpiti dal virus con il loro ridicolissimo kit.
Indimenticabile, oltre che completamente folle e priva di senso, la figura del bambino asessuato con tanto di parruccone biondo che morde tutti gli avventori del negozio che gli si siedono accanto e che ad un certo punto si esibisce in un'incomprensibile danza a suon di mosse di karate.
Il nonsense permea gran parte della pellicola, trasportando lo spettatore verso altre dimensioni e mescolando l'orrido e lo splatter ad una giusta e buona dose di ironia e di autoironia, oltre che a numerose sequenze girate davvero con abilità, prima su tutte quella in soggettiva del cane impazzito e famelico che insegue i ragazzi. Pur essendo un semplice divertissement con il quale il regista ha voluto al tempo stesso omaggiare e ridicolizzare un determinato tipo di cinema, Cabin fever non è privo di una morale di fondo, di un cosiddetto sottotesto. Al di là del virus che è portatore di lampanti verità, come la suddetta paura per il diverso, nel film possiamo notare una sorta di critica all'umanità intera permeata dall'ipocrisia, dal più becero egoismo e da un estremo individualismo, basti notare il comportamento di ciascuno dei cinque ragazzi man mano colpiti dal virus.
Il finale, che ci regala più di una risata riprendendo una battuta recitata dal vecchio gestore del negozio, ci restituisce anche il concetto del male che si trova proprio dove meno ce lo aspettiamo, nelle cose, nei luoghi, nelle persone da noi ritenute più innocue.
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Recensione a cura di A. Cavisi - aggiornata al 20/03/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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