Recensione les amants reguliers regia di Philippe Garrel Francia, Italia 2005
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Recensione les amants reguliers (2005)

Voto Visitatori:   6,67 / 10 (3 voti)6,67Grafico
Miglior attore debuttante (Louis Garrel)
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Miglior attore debuttante (Louis Garrel)
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locandina del film LES AMANTS REGULIERS

Immagine tratta dal film LES AMANTS REGULIERS

Immagine tratta dal film LES AMANTS REGULIERS

Immagine tratta dal film LES AMANTS REGULIERS

Immagine tratta dal film LES AMANTS REGULIERS

Immagine tratta dal film LES AMANTS REGULIERS
 

Maggio '68 è il nome con cui si indicano i fatti accaduti nella primavera del 1968, più o meno in tutto il mondo.
Tutto ebbe inizio nel '64 negli Stati Uniti, quando gli studenti occuparono l'Università di Berkley, in California - vedi la recensione di Fragole e sangue - per protestare contro la guerra in Vietnam e la segregazione razziale, ma l'esplosione del fenomeno si ebbe in Francia - Maggio Francese- quando si susseguirono una serie di manifestazioni studentesche (che spesso agivano di concerto con gli operai) di contestazione alla riforma scolastica (riforma Fouchet) che prevedeva una forte riduzione degli studenti universitari, con apposite, durissime selezioni, in modo da indirizzare la "rimanenza" verso lavori manuali e strettamente subordinati. Le manifestazioni (che trovarono inermi il PCF e il sindacato), che intanto si erano estese in tutta la Francia e poi un po' in tutto il mondo, sfociarono in violenti disordini e scontri con le forze dell'ordine.
A questo punto Charles De Gaulle, "il padre della patria", sciolse il parlamento, andò in TV, lanciò un appello alla nazione e indisse nuove elezioni che furono fatali per la "gauche", segnando la fine del "Maggio Francese" e il trionfo della reazione istituzionale.

Il regista francese Philippe Garrel, in questa struggente, disincantata e fascinosa opera, in cui si rincorrono lo slancio, l'ingenuità, la dolce follia dell'epoca, fa il ritratto di una generazione di ventenni che credettero di fare la rivoluzione e invece sbagliarono tutto, ma che, nonostante tutto, impararono ad amare i piccoli e grandi rivolgimenti che si svolgevano fuori e dentro di loro.
Sono ricordi dell'anima quelli che Garrel ci descrive del periodo della contestazione, colmi di considerazioni, comportamenti, dialoghi, atteggiamenti non storicizzati, affermazioni di principio.
I complotti, le utopie, i discorsi politici, ci restituiscono l'atmosfera di quel tempo e sono colti nella loro immediatezza, senza essere ancora forzati dall'utopia dell'assemblearismo.

Scorre davanti ai nostri occhi il film della nostalgia di quel tempo leggendario, in cui spirava il vento di cambiamento, anche se "Les amants reguliers non è un film sul '68, ma un film del '68, perchè di quegli anni restituisce l'ingenuità, lo slancio, la dolce follia, la voglia di pace, di libertà e di verità (sulla storia francese recente e passata, sul collaborazionismo, il Vietnam, il colonialismo).
Perchè di quegli anni ci restituisce la freschezza, l'entusiasmo, la vitalità, l'immagine pudica e tenera di un periodo leggendario che ha cambiato tutto senza cambiare niente.
Il che, in un periodo che ha ormai perso (forse definitivamente) l'innocenza, può forse infastidire alcuni, ma da cui non si può, assolutamente, prescindere, perchè il Sessantotto - va scritto così, in lettere e con la S maiuscola - fu un movimento giovanile che attraversò mezzo mondo, segnando, nel bene e nel male, un'intera generazione, il cui fallimento gettò l'uomo nella pesantezza della disillusione.

"Les amants reguliers esce dalle nebbie della memoria del regista e trasuda una malinconia che si nutre di ricordi mai sopiti.
"The time they are a changin", cantava Bob Dylan, mentre a Parigi si spegnevano le utopie di tanti ragazzi, famelici di verità, che sognavano di trasformare il mondo e poi pagarono sulla loro pelle la colpa di aver chiesto l'impossibile. Per molti rappresentò l'epoca della libertà, per altri, invece, fu il tempo della rivoluzione.
Tornano così le barricate nel Boulevard Saint Michel, le cariche della polizia nel Quartiere Latino, i tricolori bruciati alla Sorbona, le auto incendiate dai lanci delle bottiglie molotov, le fughe per le stradine e i vicoli della rive gauche alla disperata ricerca di una via di scampo, la paura nei nascondigli sopra i tetti o dietro i portoni di anonimi palazzi. Ragazzi che vorrebbero trasformare il mondo, ma non solo con i fumogeni, ma anche con la libertà di fumare, di fare l'amore, con la poesia, la pittura, la musica, la filosofia, la politica, la storia, e soprattutto con il disprezzo per le regole imposte dalla società.
Stanno vivendo come vogliono loro, veramente liberi, forse per questo sono destinati a fallire, perchè sono ad un passo dalla realizzazione di un ideale di vita.

François è uno di quei ragazzi: ventenne, aspirante poeta, renitente alla leva e affascinato dagli ideali anarchici, partecipa ad uno scontro con la polizia, poi riesce a fuggire sul tetto di un palazzo, dove trascorre la notte. Il mattino dopo si rifugia nello splendido appartamento di un amico, Antoine, giovane e ricco mecenate della Parigi bene, accanito fumatore di oppio, la cui casa è un porto di mare dove, in una sorta di comune, trovano ospitalità alcuni giovani artisti bohémien che, tra i fumi dell'oppio e la sensualità dell'amore libero, sognano la gloria e preparano la rivoluzione. Nel corso di un'insurrezione notturna, François conosce una bella ragazza, Lilie (che fa la rivoluzionaria in attesa di diventare scultrice), della quale si innamora subito.
Ne nasce un amore tenero, folle, totale, "regolare", ("sto bene con lui sia sotto l'aspetto della comprensione sia sotto quello della sessualità", confessa la ragazza ad un'amica), che li porta a isolarsi in casa nella disperata, profonda ricerca esistenziale, che quei giorni imponevano. François, tra una fumata e l'altra e interminabili discussioni filosofiche, nelle lunghe ore solitarie in attesa del suo ritorno dal lavoro, comincia a scrivere per lei poesie d'amore.
Poi però tutto precipita: la rivoluzione è fallita, il movimento è sconfitto, gli operai interrompono gli scioperi, mentre gli studenti si chiedono "se è possibile una rivoluzione del proletariato senza i proletari".

Antoine, nella cui casa non si parla più di rivoluzione, ma ci si limita solo a fumare oppio, sospettato dalla polizia di essere uno spacciatore, si trasferisce in Marocco, dove dice di possedere una lussuosa villa, seguito da molti dei frequentatori del suo appartamento.
Lilie, dopo giorni grami insieme a François, trascorsi nella camera di un alberghetto, accetta la proposta di uno scultore affermato, che le prospetta una luminosa carriera e parte per gli Stati Uniti, lasciando nella costernazione il suo giovane amante.
Rimasto solo, François sprofonda nella malinconia della solitudine e, disperato, medita un gesto drastico ed estremo.
Viene da chiedersi perchè? Perchè tra l'amore e l'arte Garrel fa scegliere a Lilie l'arte?
Forse perchè, sembra voler dire il regista, in un momento di amara rinuncia l'unica possibilità di salvezza resta la preservazione dell'arte. E allora, c'è da pensare che, forse, non era la forza della rivoluzione il senso di quei giorni, ma l'illusione che attraverso la bellezza, vale a dire l'arte, si potesse sovvertire il mondo.

Il film, diviso in quattro capitoli (il che rende lampante la sua matrice letteraria ed evidente il riferimento ai giovani eroi stendhaliani), inizia con una lunga introduzione quasi documentaristica, che ci immerge totalmente nel vivo di quel mondo sospeso e di quella gioventù che ebbe il coraggio di urlare contro il sistema e contro quella società che da sempre stava cercando (e cerca) di omologarci.
Gli scontri di maggio sono ricostruiti con pochissimo, ma basta quel poco per restituirci tutto il significato di quei giorni e la drammaticità di quel momento: un fumogeno lanciato contro i blindati delle forze dell'ordine; qualche auto rovesciata e incendiata; qualche carica dei gendarmi; il colpo di una p38 sparato per aria; la corsa nel buio per sfuggire agli inseguimenti degli sbirri.
Sono scene lunghissime, dilatate, buie, illuminate a stento dai fuochi dei bivacchi, silenziose nonostante i rumori sordi delle cariche e i bisbigli incomprensibili che rimbalzano sul pavè disselciato del quartiere latino. Bellissime.
Poi il film si fa più intimo, più sofferto nella rievocazione, entra nel profondo non solo di quell'amore, ma anche di tutto quello che gli gira attorno. È una sorta di amore maledetto, l'amore di questi "amants réguliers", un amore che lava le ferite della sconfitta degli ideali velleitari di una generazione di "dreamers", in cui ognuno è chiamato a riempire i vuoti dell'altro. Ma mentre lei, pur nell'accecamento d'amore, conserva un barlume di lucidità che le fa capire che la scelta tra la vita e l'arte è pur sempre una scelta dolorosa, il giovane poeta resta prigioniero delle sue utopie amorose, che lo porteranno ad identificare la poesia con la realtà quotidiana.

Nessuno dei due sembra cedere la propria sincerità verso l'altro e allora l'arte da veicolo di vita diventa motivo di separazione e messaggero di morte.
François è si sconvolto per il fatto che Lilie per entrare in America abbia dovuto abiurare alla sue fede comunista, non si toglierà la vita per questo, ma per il fatto che lei se ne sia andata. Il loro amore regolare non ha saputo sopravvivere alla "normalizzazione" delle regole imposte dalla società.

Il film è come un lungo e coinvolgente flashback in bianco e nero, con dialoghi scarni e allusivi da cinema muto, il che dà allo spettatore quel gusto un po' retrò che fa tanto "cinefilo duro e puro".
Garrel non giudica, non sentenzia, non giustifica e non spiega, non cerca fatti, nè verità. Mostra.
L'energia vitale e la bellezza di un film dipendono anche da queste scelte, importanti quanto squisitamente indipendenti. Non ci sono eccessi, nè dimenticanze, c'è tutto ciò che serve per capire il senso, e forse anche la nostalgia, di quella breve stagione, in cui si arrivò vicino a realizzare il sogno di frenare il mondo dal suo regresso odierno.

Molti, e per molteplici motivi, hanno notato un ideale continuità tra questo film e "The Dreamers" di Bertolucci, a cominciare dall'interprete maschile, quel Louis Garrel (figlio dello stesso regista) protagonista di entrambe le pellicole. Inoltre, pare, che molti costumi di scena e l'appartamento dove si svolgono le due storie siano comuni ai due film. Ma sono soprattutto l'argomento e il contesto ad aver richiamato alla mente il film di Bertolucci, anche se i due film percorrono strade diverse e hanno tematiche solo apparentemente simili.

Entrambe le pellicole narrano storie di amori perduti sullo sfondo degli avvenimenti che caratterizzarono il turbolento maggio parigino. Ma mentre i dormienti di Bertolucci celebravano la perdita dell'innocenza e la ricerca di una sessualità fin lì negata, gli amati regolari di Garrel celebrano la perdita dei propri ideali.
C'è poi nel film del regista francese un richiamo (o un omaggio?) diretto a Bertolucci, quando la protagonista femminile ha uno scambio di battute con un componente del gruppo, durante il quale pronuncia il nome del regista parmense, mentre gli chiede se ha visto il suo film cult," Prima della rivoluzione".

"Les amants réguliers" è impreziosito dalla raffinata fotografia in b/n di William Lubtchansky, di magico effetto visivo, e dalle interpretazioni degli attori (oltre al già citato Louis Garrel nel ruolo del poeta maledetto è da ricordare Clotilde Hesme nel ruolo della bella Lilie), molto bravi nel reggere le lunghe inquadrature fisse della macchina da presa, in cui, a volte, un gesto o un movimento degli occhi vale più di tante parole. Spesso queste scene sono accompagnate da brevi accordi di pianoforte, che conferiscono al film una forte carica di suggestioni emotive e poetiche, che ci riportano all'immaginario della Nouvelle Vague francese, i cui padri putativi, a partire da Goddard e Truffaut, ritenevano prioritaria la macchina da presa rispetto alla sceneggiatura, in grado cioè di ricercare il bello nell'immagine piuttosto che nelle parole.
"Les amants reguliers" esalta il cinema e ci restituisce la pudica e nostalgica atmosfera di un periodo che il regista ha vissuto e, forse, mitizzato. Una favola autobiografica dunque, ma anche qualcosa di più. Straordinario.
Leone d'argento a Venezia 2005.

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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 07/12/2012 16.09.00

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