les amants reguliers regia di Philippe Garrel Francia, Italia 2005
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les amants reguliers (2005)

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locandina del film LES AMANTS REGULIERS

Titolo Originale: LES AMANTS REGULIERS

RegiaPhilippe Garrel

InterpretiLouis Garrel, Clotilde Hesme, Julien Lucas, François Toumarkine

Durata: h 2.58
NazionalitàFrancia, Italia 2005
Generedrammatico
Al cinema nel Settembre 2005

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Trama del film Les amants reguliers

Parigi, 1969: reduci dalla bruciante esperienza del "joli mai" dell'anno precedente, alcuni giovani si danno all'oppio. Fra due di loro, un ventenne e una coetanea, nasce un amore intenso e senza limiti...

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Voto Visitatori:   6,67 / 10 (3 voti)6,67Grafico
Miglior attore debuttante (Louis Garrel)
VINCITORE DI 1 PREMIO CÉSAR:
Miglior attore debuttante (Louis Garrel)
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Voti e commenti su Les amants reguliers, 3 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

Gruppo REDAZIONE maremare  @  26/10/2006 05:55:12
   7 / 10
film di un grande autore rimasto vittima delle ideoligie del passato.
film lungo e faticoso, alterna momenti irritanti ad altri da antologia.

Invia una mail all'autore del commento logical  @  23/10/2005 02:46:18
   7 / 10
"I film liberano la testa", dice Fassbinder ma bisogna aggiungere anche che i film creano un metabolismo a cui si può cedere o resistere. Se si resiste, ogni scena è lunga, indigesta, è la coda di una coda; se si cede, ci si sente a Parigi, tra i cuscini, l'oppio, i rumori, le ragazze ancora belle, gli amici idealisti, i lunghissimi pomeriggi dove comunque non c'è nulla da fare, nemmeno la rivoluzione. La faccia di Louis Garrel, il prezioso figlio del regista, ha ormai le stigmate della Nouvelle Vague sessantottina; prima con The Dreamers di Bertolucci (a cui spiegabilmente viene dedicata l'unica occhiata in camera del film) in cui è un viziato e inconcludente figlio di papà indeciso tra lo scendere o no in strada con le molotov tratte dalla cantina di famiglia, ed ora pure, sempre poco fortunato in amore e controllato con affetto dalla Polizia. Il suo naso, i suoi capelli, le sue camicie con la giacchina di velluto vengono direttamente dal guardaroba di Antoine Doinel ma trent'anni dopo la fotografia è cambiata e l'ombra e la luce dell'eroe romantico e poeta hanno un'intensità diversa. Le lunghe, lunghissime scene iniziali della guerriglia urbana hanno l'immobilità e la preziosità di un'illustrazione in rotocalco dove i neri sono illuminati da una fortissima luce radente che elimina i grigi segnando le figure o dissolvendosi nelle nuvole di polvere dei lacrimogeni o dei mortai. La carica della polizia ha l'intensità di un'incisione per come racconta la lucentezza degli scudi tondi e neri attorno alle nere divise opache. Ma cosa racconta, mi sono chiesto mentre i sottotitoli bianchi venivano inghiottiti dalle luci o dai camicioni rivoluzionari; direi del tempo che non passa nemmeno per chi lo ha già vissuto; pensare alla rivoluzione proprio come al trapasso da uno stato a un altro e nello stesso tempo sapere e vedere che non avviene, che ci si è vicini, "mai più così vicini" e consapevolmente vinti, anche se niente sarà più lo stesso, tutto avrà un altro nome e lentamente si cambierà in qualcos'altro. Che il tempo non passi è incredibile come "è incredibile la solitudine che è dentro un'uomo", come incredibile che lei, l'amata che promette amore eterno, se ne vada in America a seguire uno sculture "così bello fuori e dentro" che la voleva come modella. Ma l'amore mio non muore, e nel finale torna l'Ottocento, l'assenzio, lo svenimento, la dipartita tra altre camicie e lenzuola bianche come la luce. È un surplace struggente e lontano come un satellite da questa terra; il mondo aspetta uno scatto ma anche imbambolarsi nella luce e nel buio è una gran cosa.

2 risposte al commento
Ultima risposta 01/10/2006 22.20.24
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  14/10/2005 01:27:01
   6 / 10
Devo confessarlo: alla mostra del cinema ho lasciato la sala prima della fine. Non era la serata giusta eppure ero predisposto verso Garrel. Anni or sono "sauvage innocence" mi colpì sulla via di Damasco davanti a una delle opere più straordinarie che io abbia visto negli ultimi anni: un'operazione tipo "la sera della prima" , una pozione densa tra Cassavetes e Truffaut. Idem per "il vento della notte", "j'entends plus la guitarre" (splendida rievocazione del mito e della vita di Nico, compagna di Garrel ed ex-musa di Warhol).

Per Les amants reguliers (che magnifico titolo) il discorso è diverso: in verità potrei strappare un 10 all'istante perchè è probabilmente il film piu' "punk" visto alla rassegna di Venezia insieme all'ultimo Park-Wook.
Per "punk" intendo anche qualcosa di essenziale, di "povero", di ostinatamente anticlassista, e proprio per questo più cinematografico che mai. Non staro' lì a elogiare "la bellezza che si riscontra nel cinema di Garrel" (cfr. Godard, Maestro di vita e fonte d'ispirazione) - lo sapevo già - nè a unirmi al coro di osanna a questo film di una critica che ne ribadisce l'assoluta peculiarietà e la grandezza visiva davanti al nulla che si respira altrove.
Cerchero' di formulare la mia tesi: questo film non è insostenibile perchè (semplicemente) "noioso" ma per la spocchia di Garrel di voler ad ogni costo preservare una purezza istintiva e tecnica girando (paradossalmente) tre ore di nastro: con quale licenza questo "capolavoro" ("Sauvage innocence" sì lo era e lo resta tuttora, anche se nessuno l'ha visto) presume di condannare il principio del cinema classico finendo per ambire al traguardo massimo di tre ore tre? Il vero cinema sperimentale non accetta mai di venire a patti con la presunzione dell'amor proprio.
Beh i temi di Garrel li conosco, e sono ricorrenti: parti dalla "chinoise" di Godard e ti ritrovi il Maggio Parigino che non è proprio la licenza sessuale di Bertolucci (ma il passaggio alle consegne c'è, il figlio Louis ritorna sulle barricate): un film sulla proprietà in antitesi con l'idealismo marxista.
Tutto bene? Sì ma solo quando il b/n filma una fuga sui tetti dalla polizia, o quando nelle dimore volutamente spoglie e disadorne un party ritrova la voce di Nico, splendidamente lucida e affascinante come allora.

Molto meno il resto: concentrando tutta l'attenzione possibile (ma una re-visione è opportuna) questi sessantottini sembrano usciti piu' dalle pagine di Boris Vian che da quelle di Ferlinghetti. C'è di tutto, il tradimento, l'amicizia, la gelosia, l'amore, l'accusa rivolta dal protagonista all'amico di "perdita della purezza", di essere (udite udite) diventato un "borghese".
Tutte cose che ha mandato la critica in visibilio e la giuria di Venezia in estasi. La stessa che ignoro' un capolavoro degno del Leone d'oro come "sauvage innocence"? No, un'altra, ovviamente.
Massima stima a Garrel per il suo film piu' compiuto, ma preferisco congedarmi tiepidamente, stavolta.
Ammetto comunque che il passo autodistruttivo della coscienza è uno dei temi dominanti del suo cinema. "Fuori orario" gli ha reso giustizia, ma io stavolta non ci riesco

4 risposte al commento
Ultima risposta 16/10/2005 22.18.31
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