Voto Visitatori: | 5,75 / 10 (10 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 8,50 / 10 | ||
Una rivoluzione in cucina: ovvero, è plausibile leggere "Marilyn ha gli occhi neri" usando l'arte culinaria come un avamposto per penetrare dentro la psiche umana?
Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Almeno di quanti hanno visto o vedranno il film di Godano. Sì, perché quello che accade al Monroe (il locale inventato a tavolino da Clara e gestito assieme a Diego, lo chef, e a Gina, Susanna, Sosia e Chip) è lo specchio della follia che accomuna i sei pazienti impegnati quotidianamente nella terapia di gruppo presso un centro diurno, ciascuno portando con sé le proprie fobie e combattendo contro i demoni che attanagliano la mente. E se quanto avviene in sala e in cucina nelle serate monotematiche – fra strepiti e scatti d'ira – è all'ordine del giorno, è soltanto un riflesso di ciò che verosimilmente accade alle persone in qualsiasi posto di lavoro. D'altro canto ce lo conferma pure il Barone di Trombonok nel rossiniano "Viaggio a Reims" che: «ognuno al mondo ha un ramo di pazzia».
Ma procediamo con ordine. La storia, narrata con una certa levità da Godano e dalla sceneggiatrice Giulia Steigerwalt, racconta di un gruppo di disadattati (quelli che definiremmo invisibili perché esclusi dalla vita sociale) ciascuno a modo suo dotato di una genialità creativa espressa in forme diverse, che dopo un periodo di rodaggio si trova a convivere e a condividere un'esperienza lavorativa. La creazione e la gestione del Monroe, sembrerebbe a prima vista produrre risultati positivi, salvo naufragare quando deve a scendere a patti con la realtà esterna, rappresentata dall'arrivo della polizia per un controllo di routine.
"Marilyn" non lascia spazio al melodramma o alle scene strazianti. E Godano è bravissimo a tenere insieme la compagine degli attori facendo interagire i personaggi come se non stessero davvero recitando ma stessero proiettando sulla scena i loro incubi. All'inizio ci aspettavamo una pellicola fra le tante, come ci ha ormai abituato da lungo tempo il cinema. Ma la maestria degli interpreti, i protagonisti come i comprimari, e una sceneggiatura impeccabile, hanno compiuto il miracolo.
Da questo momento la recensione contiene elementi di spoiler; se ne sconsiglia pertanto la lettura a chi non abbia ancora visto il film.
È doveroso in chiusura appuntare un piccolo neo, uno soltanto, che fortunatamente nulla toglie all'intensità e al pathos che per quasi due ore tengono lo spettatore incollato allo schermo: l'happy ending – più o meno improbabile – che vede Diego e Clara uscire di scena abbracciati come due perfetti innamorati. Comprensibile che questo sia il prezzo da pagare alle esigenze produttive, noi però avremmo preferito un finale aperto, un po' come accade nella vita, dove nulla mai, o quasi, va come vorremmo che andasse.
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Recensione a cura di Severino Faccin - aggiornata al 22/07/2024 11.49.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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