Simon e Julien sono amici sin dall'infanzia. Da ragazzini sognavano una vita di esperienze ed espedienti, un viaggio interminabile per fuggire alla monotonia della campagna belga. Poi, come succede nelle migliori famiglie, le chimere hanno ceduto il passo ai bisogni di concretezza dettati più dagli schemi sociali preconcetti che non dalla reale volontà dell'individuo (ma del resto è così difficile riuscire a riconoscere il libero arbitrio...).
Eppure qualcosa non ha funzionato come avrebbe dovuto: Simon ha fallito i propri studi; Simon ha fallito nel lavoro; Simon ha fallito nell'amore; ed ora trentenne Simon è tornato, punto e a capo, senza futuro né obiettivi. Da dove ripartire se non dall'unica illusione ancora intatta?
Così Simon torna da Julien, torna a batter cassa dai suoi sempre-più-delusi-genitori e utilizza i soldi ottenuti per comprarsi un camper con cui iniziare un viaggio interminabile alla scoperta di sé stesso.
Parte così "Mobile Home", opera prima del belga François Pirot, con un soggetto contenente nel suo incedere un'idea di fondo che, per semplicità ed efficacia, si aggiudica un posto d'onore tra i nostri personalissimi: "Com'è che non ci ho pensato io?".
Se dovessimo imbrigliarlo in un genere non faremmo alcuna fatica: questo film è un road movie, peccato manchi il viaggio (delizioso ossimoro per immagini). Infatti, per cause di forza maggiore, il cammino si interrompe a pochi passi da casa e i due "bamboccioni" (caro ex ministro: Lei aveva ragione) si ritrovano bloccati a riflettere su una scelta impulsiva che appare sempre meno "geniale" con lo scorrere dei giorni.
Se c'è una cosa che la chimica moderna ci ha insegnato è che fisicamente impossibile realizzare un road movie senza metterci "il viaggio" e, se non si dispone dei mezzi per poterlo affrontare, allora il percorso diventa esclusivamente interiore.
Prendiamone atto: nell'oggi che condividiamo, non è più la strada ad essere metafora della vita che scorre, aggredita e divorata sotto gli pneumatici di un Chopper a stelle e strisce, ma è l'area di sosta di fronte al magazzino di un meccanico il nostro unico futuro: immobile, deprimente, irreparabile.
Siamo i figli mammoni di Thelma e Louise, i nipoti viziati di Alvin Straigh, la nostra ribellione è la minaccia incompiuta di ribellione; il nostro ruolo di "viaggiatori in seconda generazione" ci rende inadeguati di fronte al senso di competizione con i nostri padri.
Ora: sarà per l'innata affinità elettiva che ci porta a nutrire genuina simpatia verso i trentenni falliti in cerca della propria adolescenza, sarà per il bisogno fisico di trame narrative semplici atte a compensare la nostra poca voglia di sforzo critico, fatto sta che questo filmetto ci è proprio garbato assai.
Una cosa che abbiamo adorato in "Mobile Home" è la caratterizzazione dei personaggi: matematica, dettagliata sin nelle più piacevoli minuzie. L'umorismo è sottile come la lama di un rasoio ed almeno due volte più tagliente: Simon è l'unico vero protagonista della vicenda; Julien la sua spalla.
Simon non può sopravvivere senza Julien e di sicuro non può affrontare questo viaggio da solo, o almeno così sembra.
Straniante, ma solo per pochi attimi, il finale.
L'illusione di libertà interpretativa è la ciliegina sulla torta di un sadico gioco registico: la strada è solo una e all'orizzonte ci sono le nuvole.
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Recensione a cura di Aenima - aggiornata al 25/10/2012 13.18.00
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