Il film racconta di un amore romantico e drammatico, ostacolato da una malattia che tiene i due protagonisti lontani, privati di qualsiasi contatto fisico che possa minacciare la cura sperimentale che stanno seguendo.
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Anche gl'adolescenti (odierni e benestanti) piangono. È un bene che pure loro si liberino da oltreomistici deliri d'onnipotenza e riconoscano la propria costitutiva fragilità, vulnerabilità, infermità. È un male ch'il regista confini ciò nell'ambito d'una specifica patologia medica invece di farne un (per ora) ineluttabile discorso universale. Superflui gl'ammiccamenti alla psicologia d'Harlow e al dramedy shakespeariano; fastidioso il superficiale approccio ideologico ("la vita è breve, goditela").
Toccatevi...perchè la vita è troppo breve per sprecarne un secondo.
Far durare quasi due ore un film lento, prevedibile e poco originale come questo equivale a invitare Tafazzi a un meeting con i vostri testicoli...perciò è una cosa che andrebbe evitata. Ma una volta iniziata la visione è inutile tornare indietro o interromperla (non è nelle mie abitudini) perciò mi è toccato sorbirmi un polpettone lacrimoso di sentimento e malattia terminale, con tanto di finale irritante e poco convincente, popolato da personaggi stereotipati e situazioni volutamente caricate (e dilatate) di emozioni a buon mercato, francamente inutili e oltremodo ruffiane. La visione può piacere, non c'è dubbio, ma bisogna sapere che ci sono pellicole che trattano gli stessi argomenti con maggiore intensità, partecipazione e fluidità, lasciando soddisfatti della visione. A UN METRO DA TE invece non mi ha coinvolto abbastanza, non mi ha colpito in maniera significativa e non mi ha ispirato nessuna grande empatia con i protagonisti.