In un'America sull'orlo del collasso, attraverso terre desolate e città distrutte dall’esplosione di una guerra civile, un gruppo di reporter intraprende un viaggio in condizioni estreme, mettendo a rischio le proprie vite per raccontare la verità.
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Partiamo dalle cose belle. Abbiamo sicuramente una buona fotografia e delle belle musiche. Le interpretazioni invece non mi hanno convinto quasi per nulla, a parte la solita bravissima Dunst. La sceneggiatura non è male ma nel finale inciampa. Purtroppo non ero per niente interessato a ciò che accadeva a schermo se non per un paio di momenti nella seconda parte. Regia altalenante. Troppi, davvero troppi slow-mo che mi hanno fracassato i cosiddetti. Di Garland ho preferito nettamente Ex-machina e Men.
Non è un war-movie come ingannevolmente promettono i trailer; è piuttosto un road-movie : un viaggio introspettivo che fa riflettere sulla spietatezza della guerra, sul cinismo dell'essere umano e in cosa si trasforma quando vengono a cadere le regole sociali. Tuttavia anche apprezzando il messaggio il ritmo della storia per buona parte del film si trascina lenta fino agli ultimi 15/20 minuti dove si concentra tutta l'azione. Finale abbastanza telefonato.
Cioè, quando Jessie all'inizio del film domanda a Lee se scatterebbe una foto nel caso lei venisse sparata era chiaro di come sarebbe finita la storia, e infatti....
Pasticcio clamoroso senza capo ne coda, fantascientifico è dir poco (Texas e California alleate, giornalisti non schierati politicamente, il presidente che aspetta la fine alla White House) scene fatte malissimo (il salvataggio in auto vicino alla fossa comune) personaggi scritti e interpretati peggio. Tra tutti i film che raccontano guerre civili future americane decisamente il peggiore di tutti.
Ancor'un film sui fotoreporter di guerra? Un commentatore si lamenta ricordando giusto "Nightcrawler" (Dan Gilroy 2014). Restando nell'ultimo quindicennio: e "The Bang Bang Club" (Silver 2010) o "A Private War" (Heineman 2018)? Immagino che Garland ne sia stato consapevole e abbia cercato di correre ai ripari rimpolpando la trama con due processi reciproci e inversi, la perdita d'innocenza d'una 23enne e la riacquisizione della propria umanità da parte della sua mentore. Materia sufficiente per un blockbuster d'autore? No, affatto, pertanto il regista londinese rispolvera la distopia (post-)apocalittica di "28 Days Later", sua la sceneggiatura, e la contestualizza in qualcosa che potrebb'essere il sequel di "Leave the World Behind" (Esmail 2023). Com'il titolo, non è un McGuffin cinematografico ma un escamotage di marketing: guerra civile, panbellicismo hobbesiano, declino della civiltà occidentale, crisi della democrazia, morte d'una nazione, polarizzazione politica, le prossime presidenziali statunitensi sono men ch'accennati. Polemiche accesissime, sostanza zero. Un road movie che non sa dov'andare a parare, "Rocket U.S.A." dei Suicide dice di più e meglio nel 1977 e in 4 minuti e 16 (https://www.youtube.com/watch?v=q_W5HO8MJVQ), l'ambivalenza semantica di "shot" è già nel finale di "Der Stand der Dinge" (Wenders 1982: https://www.youtube.com/watch?v=3aOjb7TmcfY), iconiche appena un paio di scene, quella con Plemons e quella in cui la moglie Dunst e Spaeny si guardano tra fiori e piantine mentre si sono gettate a terra per schivare i proiettili.