cobra verde regia di Werner Herzog Germania 1987
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cobra verde (1987)

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locandina del film COBRA VERDE

Titolo Originale: COBRA VERDE

RegiaWerner Herzog

InterpretiKlaus Kinski, King Ampaw, José Lewgoy, Salvatore Basile

Durata: h 1.50
NazionalitàGermania 1987
Genereavventura
Al cinema nel Giugno 1987

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Trama del film Cobra verde

Il colonnello Coutinho chiama a dirigere le sue piantagioni di canna da zucchero il bandito Manoel Garcia da Silva, conosciuto come ""Cobra Verde"". Il colonnello prende a ben volere Manoel perché si dimostra capace di farsi ubbidire dagli schiavi. Ma il bandito, entrato da ospite in casa dell'ufficiale, seduce e mette incinte tutte e tre le figlie. Coutinho, furibondo, si vendica mandandolo in Africa con il compito di dare nuovo impulso alla tratta degli schiavi, messa in pericolo da re Leopardo. Il colonnello spera che Manoel non torni più dall'Africa, vittima dell'odio che il re nutre nei confronti dei bianchi...

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Voto Visitatori:   7,60 / 10 (20 voti)7,60Grafico
Voto Recensore:   8,50 / 10  8,50
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Voti e commenti su Cobra verde, 20 opinioni inserite

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Gruppo COLLABORATORI ULTRAVIOLENCE78  @  06/05/2009 22:09:48
   7 / 10
Il progetto più ambizioso della produzione di Werner Herzog è un film imponente, maestoso, ma anche eccessivo, ridondante e, dal punto di vista narrativo, lacunoso. Pur ricorrendo tutti i “topoi” del cinema “herzoghiano”, “Cobra Verde” si presenta come un film frammentario e poco compatto, in cui quel fascino visionario, tipico delle opere del regista tedesco, è relegato soltanto a sporadici momenti. E’ debordante e “tracotante” come lo stesso attore, i cui numerosissimi primi piani ne rivelano una cifra recitativa che spesso e volentieri tende ad andare sopra le righe per imporre l’uomo-Kinski più che la dimensione psicologica del personaggio stesso (è risaputo che Kinski avesse osteggiato molto il lavoro di Herzog, dettando legge su vari fronti, persino nella scelta del direttore della fotografia). L’ambizione sfrenata dell’uomo, che in “Aguirre” e “Fitzcarraldo” è resa con un impatto e un’efficacia sorprendenti, qui si amplifica fino all’eccesso, deformando il personaggio più che informarlo alle intenzioni. Anche in “Cobra Verde” si assiste al declino dell’anti-eroe -“il più solitario tra i solitari”come pronuncia, all’esordio, il cantore- attanagliato dalla sua inveterata condizione di sfruttato-sfruttatore: quella schiavitù che, nella meticolosa messinscena, assurge a metaforica essenza dell’animo umano. La barbarie, perpetrata tanto dai popoli civilizzati quanto da quelli ancora incagliati a una dimensione tribale, è l’emblema dell’inclinazione alla sopraffazione radicata nel soggetto e della miseria della sua condizione, di cui lo stesso protagonista prende coscienza cogliendo la tristezza e la meschinità della propria esistenza, tanto da desiderare in cuor suo di “andar via di qui verso un altro mondo”, dove tutto è candido e puro come la neve. Ma questa fuga, almeno nella realtà, è impossibile: e tale impossibilità ci viene trasmessa con una delle scene più potenti della filmografia “herzoghiana”, che vale da sola la visione di tutto il film: quella finale, in cui viene rappresentato il senso di resa attraverso due eloquentissime immagini, nella quali il Destino irrevocabile e la Natura spietata fanno dell’uomo un martire impotente. (http://www.youtube.com/watch?v=AdOmH1SgZsc). Quella brama di fuggire dalla realtà e da se stessi è destinata a rimanere insoddisfatta: non resta che continuare ad esistere facendosi travolgere dagli eventi fino alla fine, così come verrà sopraffatto dalle onde Manoel Garcia da Silva, la cui ultima immagine che lo ritrae riverso e defunto sulla battigia pare richiamare quella iniziale dell’animale agonizzante, finito e sfinito dalla siccità.
La didascalia conclusiva (“Un giorno gli schiavi venderanno i loro padroni, e voleranno via liberi”), pertanto, non allude solo alla condizione dei neri, schiavizzati e torturati dal potente di turno -a prescindere dal colore della sua pelle; ma si estende anche alla dimensione interiore del protagonista: a quella cattiveria ingovernabile, che egli si è ritrovato dentro (infusa da chissà chi) come un male di inestirpabile e dalla quale soltanto la morte lo affrancherà. Egli è consapevole di questo male: lo percepisce e tocca con mano, ma non è capace di controllarlo ed, anzi, ne è del tutto sopraffatto. La tragedia di “Cobra Verde” si consuma proprio nell’impotenza del protagonista (alla quale fa da eco quella del “freak” che, silente, ne osserva la disfatta non essendogli possibile intervenire) che non può niente contro ciò che è nella propria natura e che annichilisce, irrimediabilmente, ragione e volontà. Ecco che quindi il tentativo di fuga finale s’infrange ineluttabilmente: non esistono “loci ameni” dove approdare, perché non è dato scappare da ciò da cui origina la propria sofferenza: se stessi.

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Ultima risposta 04/12/2009 21.18.48
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