i bassifondi regia di Akira Kurosawa Giappone 1957
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i bassifondi (1957)

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locandina del film I BASSIFONDI

Titolo Originale: DONZOKO

RegiaAkira Kurosawa

InterpretiToshiro Mifune, Isuzu Yamada, Ganjiro Nakamura, Kyoko Kagawa

Durata: h 2.17
NazionalitàGiappone 1957
Generedrammatico
Tratto dal libro "I bassifondi" di Maskim Gor'kij
Al cinema nel Novembre 1957

•  Altri film di Akira Kurosawa

Trama del film I bassifondi

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Voto Visitatori:   8,21 / 10 (12 voti)8,21Grafico
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Voti e commenti su I bassifondi, 12 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

topsecret  @  19/11/2021 14:36:49
   7½ / 10
Interessante neorealismo giapponese, tratto dal dramma teatrale omonimo di Maksim Gor'kij e diretto con la solita bravura da Kurosawa, in un unico ambiente e con piani sequenza ben calibrati.
Personaggi ben definiti, dialoghi di una certa presa e dinamiche che spaziano dal drammatico al comico (il finale alla i neri per caso), coinvolgono degnamente e lasciano allo spettatore delle sensazioni piuttosto intense di sofferenza e umanità.
Da riscoprire.

Filman  @  27/09/2016 00:40:22
   8 / 10
Tra i primi film ad adottare un unico ambiente come location scenografica e tra i primissimi a sostituire la trama con la semplice interazione tra i personaggi per tutta la durata del film, DONZOKO (The Lower Depths) ritrae i bassifondi sociali e i reietti dimenticati dalla civiltà, sepolti nella loro più profonda e triste disgrazia. Akira Kurosawa delinea la propria opera rifiutandosi ancora una volta una trascrizione ecdotica dell'opera originale, proiettando un tratto umanistico invece di quello sociale, e inietta alla pellicola la sua incontinente dose di personalità, portatrice anche di virtuosismi cinematografici che qui vedono impresso uno stile teatrale e minimalista, dove le doti del regista esaltano come sempre uno spazio visivo angusto mediante l'interpolazione di personaggi, raccolti al dialogo in campi totali molto pittorici, che spesso regalano piani sequenza statici con intere conversazioni, e riassumono il senso narrativo del film nei pensieri degli stessi interpreti, ancorati a false speranze e bugie propinate a sé stessi, probabile picco pessimistico dell'autore giapponese.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  10/06/2013 18:55:03
   7½ / 10
Analisi dell'ultima ruota sociale, immersi in una catapecchia schifosa dove la miseria fisica si accompagna alla miseria morale. E' l'abbruttimento di un'umanità senza speranza dove l'unica consolazione è la morte. Il personaggio di Korei è il collante di questo gruppo di persone, ci aiuta a scavare in profondità nell'animo perduto dei personaggi. e cercando di instillare un barlume di speranza in un luogo senza luce.
Kurosawa dirige un film corale, di impianto teatrale in cui ogni attore non prevarica mai sull'altro. ci fa scoprire i personaggi gradualmente e non lascia spazio a ruoli predominanti. Tutti hanno la loro importanza come un vero lavoro di gruppo.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR elio91  @  03/02/2011 15:26:30
   7 / 10
Preferisco altro di Kurosawa,però la sua analisi esistenziale scava nel profondo le coscenze e la psicologia dell'animo umano senza sconti per nessuno.
Tecnicamente è un film atipico,per nulla spettacolare ma altresì intimista con un impianto teatrale evidente.
Il vagabondo filosofo che porta saggezza e razionalità nelle vite di uomini e donne alla deriva è certo un'immagine non nuova al cinema del maestro giapponese ma anche il melodramma pessimistico che si respira in tutta l'opera,specie nel finale beffardo,non sono da meno e riescono a colpire, così come tutti i ritratti di un'umanità gettata nel fondo,ignorata da tutti e in cui i bassi istinti si scatenano fino a renderli (uomini e donne) subumani,nemmeno più uomini.
Fortemente pessimista,forse pure troppo ma d'altronde anche questo è Kurosawa,e anche questo è l'uomo.

Mi spiace,non sono riuscito ad appassionarmi alla vicenda come con i precedenti del regista per quanto lo stile radicale (ambientato in un solo luogo,basato principalmente sulla bravura degli attori) non ammetta sconti.
Grandiosi gli interpreti.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Tumassa84  @  04/12/2010 04:09:11
   9 / 10
Purtroppo non conosco la pièce teatrale (sono molto ignorante in materia), ma credo che non sia necessario per apprezzare e capire il film, che si rivolgeva al pubblico giapponese degli anni '50. Sapere comunque che il soggetto originale deriva dal teatro, rende più suggestive la staticità dell'azione e l'entrata e uscita di scena dai tempi, appunto, molto teatrali.

I bassifondi è ambientato interamente in una casa che funge da sistemazione a un gruppo di disperati e reietti della società. La fatiscenza della scenografia rispecchia la decadenza spirituale dei personaggi, uomini e donne dediti unicamente all'alcol che hanno perso ogni speranza, incapaci ormai di provare sentimenti (le sofferenze della moribonda lasciano tutti indifferenti, compreso il marito). Tuttavia, il ritratto di questi personaggi è maledettamente realistico e umano, al punto che lo spettatore non può fare a meno di identificarsi con essi nonostante la loro meschinità. L'avvenimento cruciale del film è l'arrivo di un vecchio, che decide di fermarsi un po' con loro. Egli appare come un agente esterno, giunto per cercare di migliorare un po' la situazione dei vari personaggi e di alleviare le loro sofferenze: per esempio, sarà l'unico ad avere parole dolci con la moribonda e a prestarle attenzione, dà all'alcolista la speranza di poter guarire, evita al ladro di uccidere il padrone di casa e di rovinarsi così la vita. Il fatto che il vecchio sia una figura particolare e unica viene ripreso dalla scelta dei costumi, in quanto egli è l'unico ad indossare un vestito bianco, mentre gli altri abitanti della casa hanno tutti vestiti scuri.

A conti fatti, però, il prodigarsi del vecchio serve a ben poco. Infatti, l'alcolista continuerà a rimanere sempre tale e non si staccherà mai dalla bottiglia. E ciò che è più grave, alla fine il ladro uccide il padrone di casa durante una lite, avvenimento che determina il definitivo fallimento della sua missione. A lui, quindi, non rimane che togliersi la vita, e la tragica notizia irromperà nella casa proprio nel momento in cui nella casa aveva preso vita una danza spontanea e liberatoria. Significative sono le ultime parole : "Stupido vecchio, ci hai rovinato la nostra danza". Quindi il vecchio non solo ha fallito nella sua missione consolatoria, ma ha addirittura rovinato uno dei pochi momenti di gioia dei personaggi, il che dà alla pellicola una connotazione fortemente pessimista e disillusa.

Come commento finale, direi che questo film di Kurosawa è pienamente riuscito: i personaggi sono molto credibili, grazie anche alla grande prova recitativa di tutti gli attori nessuno escluso, e sono più che mai vivi e umani. L'abbondanza di riprese lunghe a discapito dell'artificio del montaggio aumenta il realismo della pellicola, e anche il linguaggio molto schietto e diretto contribuisce in questo senso. Un film che probabilmente sarà costato poco, ma che vale molto.

_Hollow_  @  21/11/2010 03:21:14
   9½ / 10
Altro capolavoro di Kurosawa. Sicuramente è un film poco digeribile, soprattutto perché in fondo non si tratta di un film, ma piuttosto di teatro. In una sola stanza (con pochissime eccezioni) la pellicola inizia e termina, in quei 6mq vengono dipinti i personaggi e si assiste al loro relazionarsi fino al tragico finale, che ad un certo punto sà quasi di già annunciato (l'autunno dopo l'estate rappresentata dal vagabondo). Storica la scena finale, ultima drammatica fotografia di una degradazione in ogni ambito, indelebile nella mente.

Gruppo REDAZIONE amterme63  @  12/04/2010 23:05:47
   8 / 10
Kurosawa è un autore che ha amato molto trasporre nel cinema (grandi) opere teatrali o letterarie. Con il "Trono di Sangue" aveva fatto rivivere sullo schermo, in maniera sublime e grandiosa, l'atmosfera lugubre e rarefatta del Macbeth di Shakespere. Per una volta aveva rinunciato ai suoi personaggi terra-terra, passionali, sensibili e umani e aveva posto l'accento sulla solennità e sull'essenzialità delle scene.
Quasi a voler compensare questa rappresentazione un po' "estrema" del mondo umano, Kurosawa nello stesso anno fa uscire "I Bassifondi", un film che tocca l'altro estremo e ci porta in situazioni decisamente terra-terra (ai punti più bassi della scala sociale). Di fronte ai nobili potenti e alla loro brama di potere del Trono di Sangue abbiamo qui degli straccioni meschini e poverissimi, dei rifiuti della società, il cui problema non è il potere ma la sopravvivenza.
In comune i due film hanno il forte impianto teatrale. I Bassifondi è tratto infatti da un'opera naturalista di Gorkij. Anche qui Kurosawa azzecca perfettamente la trasposizione in chiave nipponica, molto realista e convincente (usa il gergo e il folklore degli straccioni giapponesi), ma che lascia intatto lo spirito dell'opera di Gorkij, intrisa del tipico populismo russo ottocentesco.
Anche l'ambientazione è assai azzeccata: una topaia decisamente schifosa, infossata fra alte mura, priva di aria e di luce. In pratica per tutto il film non ci muoviamo di lì e questo contribuisce a creare la sensazione di claustrofobia, di disagio, di reclusione, di "condanna" e disperazione, che angustia pure i personaggi della storia.
Qui Kurosawa ci fa proprio toccare con mano a che livelli può arrivare l'abbrutimento umano dovuto alla povertà, sia materiale che spirituale. Mettendo in scena semplicemente le banalità, i discorsi normali, la quotidianità spicciola di quella gente, ci fa capire perfettamente il loro animo, la loro psicologia, il livello sub-umano a cui sono ridotti.
Visto che l'interesse è la rappresentazione umana, interiore di come si (soprav)vive in condizioni materiali/affettive estreme, Kurosawa rinuncia a qualsiasi movimento o azione scenica e assoggetta la mdp a una visione totalmente teatrale. Infatti i personaggi parlano uno per volta, entrano ed escono sincronizzati. Le riprese sono spesso fisse e viene usato il piano sequenza. Certo non in maniera estrema come fece Hitchcock in Nodo alla gola. Ogni tanto ci sono degli stacchi in primo piano ed essendo rari e centellinati sono tutti molto suggestivi.
Essendo un film corale, la parte del leone a livello recitativo la fanno attori che in genere venivano usati come comprimari in altri film. Toshiro Mifune è un po' defilato, comunque anche stavolta fa vivere intensamente un personaggio energico, passionale, impulsivo. Non poteva mancare la figura del maestro, dell'uomo ricco di esperienze, che conosce tutti i difetti e le brutture umane ma che non si arrende e cerca in tutti i modi di salvare più gente possibile dall'autodistruzione, e sempre in maniera quasi disperata, con poche speranze di successo (da quanto la situazione è grave e compromessa). L'attore (bravissimo) che impersona questo personaggio era uno dei contadini nei 7 Samurai. Il fatto che non sia un divo, dà al personaggio ancora più realismo e naturalezza. E' proprio questo affascinante personaggio che introduce nel film splendide riflessioni, dolci e amare allo stesso tempo. E' l'unico che riesce a pensare che ci siano fiori anche nel letame.
E' un film duro, ostico da digerire a causa del suo impianto teatrale. Può risultare a volte noioso se non si è abituati. Per il resto è una specie di pugno nello stomaco, non tanto per la povertà materiale, quanto per il disfacimento umano a cui si assite.
Kurosawa è grande per questo, non ha paura di farci vedere gli aspetti più brutti e disturbanti del nostro mondo, visti soprattutto dal punto di vista di chi li vive.
La cosa che fa più male è la consapevolezza che anche nell'Italia del XXI secolo si trovano ancora situazioni simili, con tanta povertà, tanto degrado umano, tanta disperazione.

2 risposte al commento
Ultima risposta 03/12/2010 14.05.11
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Mr.619  @  08/07/2009 13:46:11
   9 / 10
Il cinema kurowasaiano ha una peculiarità importante e rilevante ai fini di un'analisi sintetizzante cine-analitica da non omettere nella sua sub-composizione universale: il ribaltamento ( quasi una sorta di rovesciamento, "role reversal") dei ruoli assegnati ai protagonisti di molte altre delle sue pellicole, i quali stanno, per così dire, ad indicare la multilateralità ( come se fosse un frattale geometrico) ed indenne e sofferente molteplicità delle forme dell'essere ( inclusi i suoi modi di contestualizzazione).Ad esempio, Toshiro MIfune, che in "Yojimbo" ha interpretato un provvidenziale samurai d'oltre-tempo, qui incarna un uomo estremamente disingannato e deluso dalla propria vita che non crede e, ancor peggio, pensa di non essere più in possesso di nulla, e per questo, al termine della pellicola, si potrebbe pure pensare che abbia avuto a ben donde ragione della sua critica alla vita umana.Ma, nonostante il finale, così come il prosieguo della vicenda, sia di stampo chiaramente pseudo-pessimista e, forse, addirittura malinconico ( il tema ricorrente del sake), è mia fortissima opinione che la verità dell'opera in sè risieda invece nella figura principale e "di mezzo" del film, presente in molti altri lavoro dello stesso regista: il messaggero, l'"anghelos" alto e spirituale ( che ha pur sempre vissuto con le esperienze di un qualsiasi uomo privato della sua stessa "presa di auto-coscienza"), pacificante e, almeno in parte, idoneo a risollevare gli animi dei poveri contadini e lavoratori disillusi della comunità, aventi fin troppa paura del mondo esterno e della realtà che potrebbero ( e dovrebbero) affrontare, andando oltre le barriere dell'indifferenza e della minorità mentale dominanti.

Invia una mail all'autore del commento wega  @  20/02/2008 10:04:49
   8 / 10
Forse il picco di Kurosawa nell'analisi esistenziale, analisi che passa attraverso le veci di non so quanti personaggi, tutti legati dalla figura solida e filosofica di un vecchio vagabondo.
Una grandissima trasposizione di una realtà contemporanea di qualsiasi epoca, anche la nostra, un'opera prolissa di dialoghi ma che sfiorano a volte la pure poesia.
Didascalico però nella raffigurazione metaforica del dormitorio come discarica comunale-discarica sociale.

Mifune sempre più tra i miei attori preferiti.

1 risposta al commento
Ultima risposta 15/08/2009 11.27.56
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Tom24  @  26/12/2007 00:11:53
   8½ / 10
Difficile commentare la bellezza di questo film. Incredibile come si riesca a girare un qualcosa di tanto significativo con pochi mezzi, quasi fosse un opera teatrale ( molte scene ricordano direttamente il teatro). La storia poi è di per sè geniale e scorre straodinariamente veloce, fino ad un finale indimenticabile. Come si può non elogiare un regista del genere.

AKIRA KUROSAWA  @  05/10/2007 09:14:09
   8½ / 10
bellissimo film del maestro akira kurosawa, il primo film della trilogia della poverta che sara poi seguito da barbarossa e dodeskaden che andranno a completare questa bellissima trilogia.
i protagonisti in questo film sono dei reietti dell umanita che vivono in un dormitorio in fondo a una voragine che serve cm discarica gestita da un usurai oe la moglie crudele..
per me un gran film veramente ben interpretato , in particolar modo da un grandissimo mifune che anche qui mette in mostra tutta la sua classe, bellissima la messinscena tt ambientata in un unico luogo ovvero il dormitorio..bellissimi poi i dialoghi in particolar modo le frasi pronunciate dal pellegrino filosofo che da una piccola speranza di salvezza di salvezza nella vita dei reietti..ma alla fine lo sconforto tornera spingendo uno dei personaggi a fare un gesto disperato..
un film davvero bellissimo, uno di quei film che fa maturare..
grazie maestro

Crimson  @  05/03/2006 10:55:10
   8 / 10
Dopo Shakespeare il '57 è l'anno in cui Kurosawa porta sul grande schermo un altro dramma: "i bassifondi" di Gorkij. Ne vien fuori un altro gran film, filmato in presa diretta in modo da rendere ancora più spontanei i dialoghi, che costituiscono l'ossatura del film.
L'azione è limitata al massimo: la vicenda si svolge esclusivamente all'interno di un asilo-dormitorio (ma è un eufemismo..in parole povere è un rudere per barboni) e del cortile adiacente. L'impressione è quella di stare a teatro e l'immobilità dei numerosi protagonisti aiuta ulteriormente lo spettatore ad addentrarsi nelle loro storie e nella loro psiche.
Credo che si tratti del film più profondo del regista; l'aspetto interessante è che le riflessioni sull'esistenza sono di personaggi ai margini della società: c'è il fabbro che non fà altro che autocommiserarsi e che crede che un giorno uscirà da lì e tornerà nella "vita" (è uno dei personaggi più negativi della vicenda - addirittura non assiste la moglie morente); c'è la prostituta sognatrice; c'è l'ex samurai (o perlomeno fà credere di esserlo) che vive di rimpianti e vanta di continuo la sua discendenza; ci sono il padrone della catapecchia e sua moglie, usurai e immorali. E poi ci sono i grandi protagonisti, alcuni sicuramente positivi, altri che pur commettendo degli errori restano (per me) comunque memorabili, e oltretutto simpatici.
Il vecchio è il personaggio-chiave. Arriva e scompare all'improvviso ma nel mezzo impiegherà tutta la propria saggezza al servizio degli altri, dispensando consigli e lasciando un segno. Egli è convinto che "dire bugie non è sempre fare del male" così come "dire la verità non sempre fà bene". Non sempre le sue parole poi di fatto modificano i comportamenti e le attitudini degli ospiti: la vicenda dell'attore-alcolista così come quella del ladro dimostrano come non si possono cambiare le persone. Eppure le sue frasi centrano sempre il bersaglio, che è quello di smuovere perlomeno degli animi affranti di persone che hanno dimenticato cosa sia la speranza. E al tempo stesso non passa inosservata la sentenza che pronuncia di fronte al padrone dell'asilo: "l'uomo deve amare. Chi non ha nessuno che lo ami ha i giorni contati". Più che una sentenza si rivela una profezia per quell'uomo perfido e solo, che ha vissuto all'insegna dell'egoismo approfittando delle disgrazie altrui.
Un'altra scena stupenda è quella in cui nell'assistere la donna morente la conforta dicendole che nel posto in cui andrà non soffrirà (poco prima aveva espresso il concetto che le bugie possono fare del bene..) e ne scaturisce un dibattito con il ladro sull'esistenza o meno del paradiso. "Ma davvero c'è il paradiso?" chiede il ladro. "C'è per chi ci crede" risponde il vecchio col suo consueto sorriso.
Un altro personaggio sopra le righe è il giocatore, sempre spensierato e col sorriso pronto per tutti. Emerge nella parte finale fino all'ultima scena straordinaria, che lascia col sorriso ma carichi di amarezza al tempo stesso (come in "vivere" ad esempio).
In definitiva, questo è un film magnifico, umano e profondo, in cui trionfano i soliti antieroi.
L'unica parte che non mi è piaciuta è quella relativa all'arresto del ladro, un pò troppo melodrammatica per i miei gusti.
Gli preferisco "dodes'ka den" anche se i due film sono molto diversi pur avendo dei punti in comune.

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