Durata: h 2.37 Nazionalità:
USA1956 Genere: avventura
Tratto dal libro "Il giro del mondo in ottanta giorni" di Jules Verne
Al cinema nel Novembre 1956
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Inghilterra, fine '800. Il distinto gentiluomo Phileas Fogg scommette con gli amici del suo club di poter compiere il giro del mondo in 80 giorni; in palio vi è una somma pari a tutti i suoi possedimenti. Inizia così il viaggio in compagnia con il suo fidato servitore dell'ultimo minuto Passepartout... Il romanzo più famoso dello scrittore Jules Verne ancora non era stato trasposto sul grande schermo, e il primo tentativo di riuscire nell'impresa è una colossale megaproduzione da milioni di dollari, con un esercito dei maggiori talenti del periodo sia davanti che dietro la macchina da presa, con tanto di nuove tecniche del formato panoramico a supportare il più costoso travelogue mai girato. Il risultato è spiazzante nel suo essere enormemente, tragicamente vuoto. Ad essere onesti, l'opera originale non è proprio una storia facile da adattare per il cinema: di tutti i lavori di Verne, è quello che risente di più di un formato episodico, che si dedica meno ai personaggi e più alle meraviglie in cui essi si imbattono nel corso del loro viaggio senza per forza mettere in campo temi profondi. Ma il film non solo non riesce a coprire le falle del materiale di base, finisce addirittura per peggiorarle. I soldi spesi per la produzione si vedono in ogni istante, ma è ovvio che sono stati usati tutti per la creazione di vaste scenografie, permessi di girare in location il più possibile e soprattutto per una caterba di cammei di grandi nomi
Quelli che mi sono rimasti più impressi sono quelli di Fernandel, Don Camillo, a Parigi, di Peter Lorre sulla nave e di Frank Sinatra e Marlene Dietrich nel saloon.
che spesso hanno poco o nulla a che fare con la vicenda e sono lì giusto per mostrarci la loro bella faccia, o solo per fare un favore al produttore. E' forse questo l'aspetto più irritante, che l'impegno messo nella produzione abbia finito per essere incanalato negli aspetti sbagliati: la sceneggiatura è sfilacciata e priva di mordente, mentre la regia di Michael Anderson, da pilota automatico, ha la caratteristica più unica che rara di liquidare le scene di dialogo con sorprendente fretta e allo stesso tempo di indugiare su lunghe sequenze di viaggio che durano un'eternità, accompagnate da una colonna sonora che non ha niente di speciale. Pochi tentativi di fare umorismo hanno successo e quando finalmente ci sono delle scene d'azione avventurosa a spezzare la monotonia, non generano l'eccitazione che si spera.
A tal proposito vorrei citare alcuni cambiamenti apportati rispetto al romanzo che non ho per niente gradito: innanzitutto rendere Passepartout un nuovo arrivato anziché servo di lunga data di Fogg e soprattutto ingaggiare una celebrità ispanica per interpretarlo solo per ingraziarsi quante più fette di pubblico possibile. La scena della corrida, tra le più noiose e fiacche, messa lì per lo stesso motivo. E infine la battaglia contro gli indiani.
A questo si aggiungono personaggi dallo spessore di una sottiletta, privi di qualsiasi tipo di personalità che vada oltre il carisma (o la sua mancanza) degli attori. Il cast fa quello che può, e di tanto in tanto i grandi nomi come David Niven riescono ad offrire qualcosa di lievemente divertente, ma non è sufficiente; e il montaggio confusionario peggiora solo la situazione, dando la sensazione che, nonostante la durata di ben oltre due ore e mezza, molte scene vitali per lo sviluppo della storia siano state tagliate o accorciata a favore di panoramiche e viste non così spettacolari.
Phileas Fogg dovrebbe essere un eccentrico, ma già stento a ricordare il motivo, visto che si comporta come tutti gli altri gentiluomini del suo club; in India salvano la ragazza e nel giro d'una dissolvenza, lei e Fogg sono già innamorati.
Era dai tempi de "Il più grande spettacolo del mondo" che non mi sentivo così maldisposto nei confronti di un vincitore della statuetta per Miglior Film, ma questo adattamento di Verne non merita neanche uno dei premi che si è aggiudicato. Ad altri potrà anche piacere, per ragioni a me sconosciute, ma personalmente lo ritengo un divertissement senza divertimento, una mattonata dal ritmo pachidermico senza vita né interesse, utile al massimo come cura contro l'insonnia.
E dire che i titoli di testa (anzi, di coda, visto che ci stanno solo alla fine per un qualche motivo non meglio specificato), una serie di spiritose vignette disegnate a mano, sono anche carini...