Da un romanzo di Salvator Gotta, sceneggiato dal regista con Curt Alexander e Hans Wilhelm: sotto anestesia, dopo un tentato suicidio, Gaby Doriot, diva del cinema, rivive la sua vita e i suoi amori sfortunati, seminati di morti violente.
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Se si riuscisse a soprassedere sulla recitazione enfatica dei protagonisti - che non rende minimamente servizio ad una storia già di per se un poco sopra le righe - questo film di Ophuls potrebbe davvero essere considerato un piccolo capolavoro di struggente drammaticità. Io personalmente non ci sono riuscito, ma questo non toglie nulla alla bellezza della messa in scena del dramma famigliare di una donna debole in balia dei tragici eventi della sua vita né tantomeno all'eleganza stilistica di un regista giovane eppure già sicuro dei propri mezzi. E anche alcuni dei temi cardine del suo cinema - come i meccanismi spietati dello spettacolo o la rappresentazione della donna come "merce" da esporre - sono già affrontati con grande competenza.
A seguito della tragica morte di Gaby, ormai diventata una star affermata, è memorabile la scena finale nella quale vengono fermate le rotative che stampano la sua effigie.