Il rapporto teso di Martha con la madre si incrina completamente quando un malinteso le allontana. La loro amica comune Ingrid vede entrambi i lati della frattura.
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Laccato, patinato, col dress code d'ordinanza per gl'eventi mondani festivalieri. Non colgo alcuna differenza fra questo film e "Amour" dell'intoccabile Haneke (2012): l'approssimarsi al fine vita da parte del jet-set, dell'alta borghesia, dell'élite socio-economico-culturale. Almodóvar aveva dimostrato fin dall'87 ("La ley del deseo") di saper affrontare al contempo Eros e Thanatos ma con un approccio dirompente sia nel taglio stilistico anticonvenzionale sia per il contesto interno alla Movida. Qui ne parla da posizione senile ed erudita, "elegante e artefatta" (Simone Emiliani), ammantato dalla coltre nevosa dei classici artistici in cui brama esser'inserito.
L'universo femminile, una tematica forte come il fine vita, eppure il film di Almodovar non mi ha convinto. Non certo per demerito delle due attrici, pienamente all'altezza, ma sulla poca efficacia dei dialoghi più intenti a rinsaldare il rapporto fra le due donne, però rimanendo un po' superficiale nell'affrontare l'argomento del fine vita. Vero che il nucleo centrale è il rapporto da riconsolidare di queste due donne, ma la forte tematica portata sul tavole meritava maggiore approfondimento. Strano per un regista, che sia pure incamminatosi su un cinema crepuscolare, è sempre stato vitale. La frase iniziale "la morte per me innaturale" forse mi aveva creato eccessive aspettative. Mi è sembrato un Almodovar col pilota automatico (degli ultimi anni però, non proprio brillanti, a parte lo stupendo Julieta) ad uso e consumo del pubblico anglosassone, considerando che è il suo primo lungometraggio in lingua inglese.