late bloomer regia di Go Shibata Giappone 2004
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late bloomer (2004)

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locandina del film LATE BLOOMER

Titolo Originale: OSAI HITO

RegiaGo Shibata

InterpretiMasakiyo Sumida, Toshihisa Fukunaga, Naozo Hotta, Mari Torii, Sumiko Shirai

Durata: h 1.23
NazionalitàGiappone 2004
Generedrammatico
Al cinema nel Luglio 2008

•  Altri film di Go Shibata

Trama del film Late bloomer

Sumida è un disabile limitato nei movimenti e costretto a esprimersi attraverso un computer, ma ha comunque una vivace vita sociale: amico del cantante Take, partecipa spesso alle sue feste e ai suoi concerti hardcore. Sumida è, tuttavia, insoddisfatto di come gli altri lo trattino, ovvero con compassione e pietà. Quando si invaghirà della giovane Nobuko, che si offre come aiutante di Sumida per stendere una tesi di laurea sul volontariato, le cose peggiorano. Nobuko è, infatti, infatuata di Take, scatenando in Sumida un odio verso coloro che sono "Normali", incapaci di capire il suo stato d'animo.

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Voto Visitatori:   7,38 / 10 (4 voti)7,38Grafico
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Voti e commenti su Late bloomer, 4 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

KOMMANDOARDITI  @  01/11/2011 20:47:03
   7½ / 10
--- OCCHIO AGLI EVENTUALI SPOILER! ---


Non è propriamente una visione facile e rilassante questa bizzarra pellicola del Sol Levante, tanto coraggiosa nella forma quanto aspra nel contenuto.
Il "late bloomer" del titolo ("osoi hito" in lingua giapponese) è letteralmente "colui che fiorisce tardi o che non è ancora fiorito", al di là di ogni eufemismo poetico una persona che mostra i chiari segni di un grave ritardo nello sviluppo psico-fisico, e chi ne recita il ruolo in questo film è Masakiyo Sumida, non-attore realmente affetto sin dalla nascita da una forma intermedia di tetraparesi spastica.
Sumida, che conserva il suo nome effettivo anche nel film, è un uomo sulla cinquantina pallido e scheletrico, afflitto da gravi e continue contrazioni nervose indipendenti dalla sua volontà ma che riesce per fortuna a curare assumendo giornalmente una pillola di Dantrium; dato il suo mutismo e la scarsa massa muscolare, per comunicare con gli altri utilizza un piccolo sintetizzatore vocale e per gli spostamenti urbani una carrozzina a motore. Nonostante lui sia in larga parte autosufficiente e viva da solo in una villetta monofamiliare, viene prudentemente assistito per qualche oretta della giornata da un'anziana domestica, che s'incarica anche di tenere in ordine l'appartamento. Il tempo lo trascorre quasi per intero tra sbronze colossali in compagnia di un suo amico rockettaro, serate frastornanti ai concerti della punk-band di quest'ultimo e solitarie visioni casalinghe di qualche filmettino hard in vhs.
L'improvviso e inatteso innamoramento per la sua nuova badante, una giovane studentessa entrata da poco a far parte del locale servizio di volontariato, innescherà però in lui un qualcosa di incontrollabile, un tremendo impulso distruttivo rimasto per troppi anni chiuso dentro la sua muta e contratta corazza corporea.
Go Shibata fa parte di quella cocciuta schiera di filmaker convinti che l'orrore più efficace non scaturisca dall'intangibile, dal paranormale o dal fantasmatico ma dalle piccole situazioni giornaliere, da quella micro-fenomenologia umana covo inarrivabile di assurde e ordinarie follie. Il regista sceglie di raccontare una condizione di drammatica disabilità verbale e motoria attraverso l'analogia formale di una quotidianità frammentata e sconnessa e trascina per capelli lo spettatore nella nevrosi sussultorea di una realtà patologica irriversibile e debilitante, cercando di esplorare e tirar fuori i pensieri oscuri e le emozioni recondite che si agitano dietro la maschera deforme e menzognera della Malattia.
Stilisticamente parlando si avverte indubbiamente una chiara tensione espressiva alla rudimentale frenesia industrial tipica della tradizione arthouse nipponica più sperimentale (quella per intenderci di Fukui Shozin e Shinya Tsukamoto), accentuata peraltro dalla crudità appassita di una fotografia digitale spenta e desolatamente ingrigita, ma l'artifico grafico non prende mai il sopravvento sulla narrazione vera e propria, permettendo lo sviluppo di una vicenda analogamente in linea con la perfetta articolazione intellettivo-emotiva del protagonista.
L'autore non da giudizi su nessuno dei personaggi raffigurati, concentrando tutta l'attenzione dei riflettori sull'esplosiva frustrazione di chi vive imprigionato tra le quattro mura di un handicap.
Questa sua opera pertanto non rappresenta un basso tentativo di shoxploitation pornografica Anaru-style e nemmeno un'infiorettatura autoriale da underground duro e puro; a ben guardare ha pochissimo da spartire anche con l'apologo umanistico sulla diversità in cui qualcuno potrebbe identificarlo di sfuggita.
Più semplicemente il film è uno sfogo liberatorio, una violenta bestemmia identitaria urlata al mondo intero.

4 risposte al commento
Ultima risposta 02/03/2012 22.13.31
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Nikilo  @  01/11/2011 20:46:20
   4½ / 10
"Io ti ucciderò!"


Il film parte da un'idea assai originale e piuttosto insolita:
"E se venissero abbattuti gli stereotipi classici sugli handicappati, e dietro una carrozzella si nascondesse uno spietato serial killer?".

Late Bloomer è un film difficile, assolutamente fuori dagli schemi, girato con uno stile molto grezzo, caratterizzato da un bianco e nero e da punte di cyberpunk (che tendono a stonare dato che non sono usate con moderazione), e da una ripresa cruda, al limite dell'amatoriale.
Ci viene mostrata la vita di Sumida un trentenne che a causa di una disfunzione della crescita, più lenta rispetto ai suoi coetanei, dovrà far i conti con il peso del suo handicap. Peso che nononostante tutto non riuscirà in ogni caso ad accettare, anche perchè per lui, per forza di cose è quasi impossibile essere trattato al pari di una persona normale, e quando la ragazza di cui lui si è innamorato, finisce per invaghirsi del suo amico, in lui subentra la gelosia e un profondo odio per tutto ciò che lo circonda.

Ma qui come ben sappiamo è la società che non riesce a metabolizzare il diverso sfociando nove volte su dieci in una profonda ipocrisia, esasperando un comportamento "normale" quando in realtà non lo è affatto.
Ed è qui che il regista Go Shibata, già reduce di altri due lavori altrettanto sui generis, abbatte i luoghi comuni e mostra la faccia nascosta di un mondo in cui il bigottismo e il falso moralismo ne fanno da padroni.

Assolutamente apprezzabile il messaggio di fondo, e la critica che ne consegue, ma ahimè a mio parere il suddetto tema rimane sempre molto difficile da affrontare, ed è facile cadere nel retorico; per molti spettatori sarà assai facile immedesimarsi nel protagonista, ciò non toglie però che il comportamento di Sumida non vada eccessivamente compatito, perchè si rischia di entrare in un circolo vizioso in cui solo perchè Sumida è un handiccapato merita le giuste comprensioni, rimarcando quindi il fatto che appartiene alla sfera "dei diversi", se fosse stato una persona qualunque, avrebbe avuto lo stesso tipo di riconoscimenti?
Io credo di no, ed è qui secondo me che Shibata ha fatto un passo falso, affrontando un tema troppo scottante, il rischio è proprio quello di autorizzare un comportamento simile solo perchè Sumida voleva esprimere il suo disagio, ma il punto focale è proprio questo e il rischio di finire per far crollare la propria critica è assai alto! Secondo me Shibata non ha fatto i conti con questo fattore...

Il modo con cui le persone affrontano il rapporto con gli handicappati è farcito spesso da ipocrisia ( e questa in fin dei conti è una dimostrazione), inutile che mi stia a dilungare, tendo a non apprezzare molto lavori come questo...

Persino per me è difficile scrivere su un film di questo tipo che in fin dei conti non sono riuscito per i motivi più disparati a far mio.
Ho sempre avuto difficoltà ad accertare il modo in cui le persone trattano con accondiscendenza le persone affette da qualsiasi genere di handicap, e ho sempre denunciato il fatto di rapportarsi a loro in un certo modo, illudendoli di farli sembrare normali, quando in realtà come ben sappiamo il concetto di normalità è assai relativo! Mi viene lecito citare Qualcuno volò sul nido del cuculo, che meglio di me riusciva a mettere in risalto questo concetto.

"Ma che cosa vi credete di essere, vacca *****, pazzi? Davvero? Invece no, invece no: voi non siete più pazzi della media dei ******** che vanno in giro per la strada, ve lo dico io."cit.

Forse sono io ad essere troppo spartano ma la misericordia preferisco evitarla a priori, e per chi come Sumida vive la condanna di vivere una vita in questo modo ancor più difficile di quanto già non lo sia, preferisco astenermi dal giudizio, o per lo meno affrontare il tema in maniera molto oggettiva.

Solo il suo amico anche lui disabile bloccato a letto intrappolato come dice lui in quella barriera di muri, riesce forse ad avere una visuale della realtà più oggettiva, la vita che la gente vuole proporre a queste persone si basa sulla normalità, li trattano come se fossero normali, ma la vita non è certo una fiaba, e per loro quel tipo di normalità apparente è una chimera.

2 risposte al commento
Ultima risposta 03/11/2011 15.28.43
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Invia una mail all'autore del commento INAMOTO89  @  30/05/2011 20:19:51
   7½ / 10
Veramente bella questa seconda opera di Shibata anche se non me la sento di definirla un capolavoro come il mio collega qui sotto ^^.
SE per una buona meta' del film lo spettatore è in perfetta empatia con il protagonista Sumida ( un disabile mentale capace di esprimersi solo attraverso l'ausilio di una specie di ''grillo parlante'' ,insomma il giochino che ripete le parole che scrivi che usavamo tutti da bambini ) ad un certo punto il suo comportamento efferato esce da ogni logica e comprensibilita' per noi ''normali'' e quindi perso quel senso di empatia la pellicola finisce col non coinvolgere come dovrebbe ( almeno x me è stato cosi ).
E'un film interessante comunque che ci fa immedesimare nel protagonista, che in questo caso come gia' detto è un disabile ma che a mio avviso puo' simboleggiare una qualsiasi persona che si sente inferiore al resto delle persone che lo circondano e che cerca in tutti i modi di emergere ma che inevitabilmente è destinato a fallire. Sumida E' il grido disperato dei deboli che vivono una tragedia esistenziale e invidiano quelli a cui invece è sempre andato tutto bene, di coloro che non credono piu' in niente perche' il loro destino è gia segnato in modo indelebile : essere degli outsider o nel migliore ( peggiore ? ) dei casi una mascotte, un individuo da aiutare x tenerezza o x compassione. Ed è a quel punto che sale in cattedra il lato oscuro di SUmida, quello del serial killer spietato che decide di far piazza pulita di tutti i cosi detti normali , proprio perche' non ha altre armi x ''combatterli ''alla pari. Finale ( mi riferisco alla scena dopo i titoli di coda ) che lascia spazio a varie interpretazioni.
Sicuramente un film disperato che fa riflettere tantissimo senza mai cadere nel banale o nella retorica ma lo stile registico cyberpunk lo rende a tratti troppo nervoso e ''sporco'', manca delle caratteristiche pause e silenzi classici della gran parte delle produzioni orientali e questa volte secondo me è un difetto, e in quest ottica mi sarebbe piaciuto vedere cosa ne sarebbe stato di questo film in mano ad un regista + profondo e introspettivo come Koreeda o Kim ki duk.

p.s _ colonne sonore MERAVIGLIOSE !

Ciaby  @  09/05/2011 17:44:47
   10 / 10
Seconda opera del visionario Go Shibata, "Late Bloomer" è il film che l'ha lanciato anche sotto l'interesse occidentale, soprattutto americano, con la distribuzione in homevideo di questo film devastante.
Girato con pochissimi soldi, in bianco e nero e con telecamera a mano a digitale, "Late Bloomer" è un racconto disperato e senza censure di una disperazione inconscia, destinata ad esplodere, divorando corpi ed anime.

"Late Bloomer" è un film che esce dal genere e che, rifacendosi all'estetica del cinema d'autore cyberpunk (da Tsukamoto a Ishii) e al documentarismo quasi da dogma95, diventa un pugno in pieno viso di chi guarda. Un racconto che ha radici nel quotidiano e lo stravolge.

Shibata prende un tema delicato: i disabili. Un argomento scottante e da approfondire, ma spesso raccontato banalmente e malissimo, che in mano a Shibata prende linfa vitale. Il film non si sofferma sui buonismi, assenti, o sulla compassione come puro paraculismo. Dimentica i personaggi sani che agiscono attorno ai malati, concentrandosi sul malato, che forse è l'unico sano in un mondo folle e senza ideali.

Il film ne descrive la personalità e la psicologia, il terribile disagio di essere sempre il centro dell'attenzione altrui, soffrendo comunque di solitudine. Una solitudine che non può che portare a conseguenze drammatiche e violente. Ma chi è Sumida? Da un lato pare la "mascotte" del gruppo di Take, dall'altro un terribile e perverso omicida. Ma forse non è nemmeno una delle due cose.

Sumida è un outsider, l'anti-eroe di "Late Bloomer", per il quale è impossibile non provare empatia. Nessun abbellimento, nessun colpo di scena, nessun tentativo di "imbellettare" la storia e renderla più appetibile. "Late Bloomer" è il disperato canto dei deboli che diventano forti per cercare di conoscersi, un film che sfugge dalle necessità del business, per essere finalmente cinema libero, puro e crudo. Come sempre dovrebbe essere.

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