Aveva solo nove anni Rithy Panh, documentarista cambogiano, quando i Khmer Rossi entrarono a Phnom Penh, 'riformando' la sua vita e trasformando in incubo il suo sogno di bambino. Figlio di un insegnante e di una madre amorevole, Rithy Panh era parte di una famiglia numerosa e di una città piena di vita, profumi, canzoni, cinema e colori, almeno fino al 17 aprile del 1975, quando le truppe rosse di Pol Pot marciarono sulla capitale spegnendone memoria e ispirazione, deportandone gli abitanti e imponendo il socialismo reale, un impasto di utopia, violenza e ottusità burocratica. Un'ideale di liberazione degli uomini si era rovesciata nel suo contrario, impedendo la fuga in una dimensione altra e personale.
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