un uomo in ginocchio (1979)

Seppur carente d'originalità,il soggetto,risulta,in pieno nelle corde di Damiani che riesce senza grossi problemi a tirarci fuori una pellicola interessante.
Tensione e senso di precarietà sono gli elementi che accompagnano lo spettatore per tutto il film,bene anche il cast ( unico che mi è parso un po' sopra le righe è Placido).
Buono,di un regista del calibro di Damiani se ne sente parecchio la mancanza negli ultimi anni.

L'elemento che ho apprezzato di più in questo film è ll'utilizzo di un'ottica ai confini del mondo mafioso, cioè quell'area chiaroscura tra la mafia e quel sottobosco di criminalità comune che a suo modo, nella vicenda del protagonista, si trova ad essere all'interno di un livello superiore. Nella sostanza Un uomo in ginocchio è il confronto/scontro tra due poveracci invischiati nel sistema e che lottano per uscirne fuori per non finirne risucchiati o addirittura peggio. La mafia si limita ad assistere fuori campo, mentre i suoi pupazzi sono sul palcoscenico a recitare il ruolo di marionette. Un contesto dalle poche vie d'uscita che il finale cupo lascia pochi spazi alla speranza. Un film da apprezzare nel suo complesso, anche se a volte una recitazione eccessivamente gridata, lo fa andare un po' fuori le righe.

Bel film nulla da dire,forse un po' troppo confuso nella sceneggiatura ( il finale poteva essere meno ingarbugliato e più verosimile), ma che non si scorda facilmente...
Damiani uno dei migliori registi a livello europeo.
Gemma, nei panni dell' uomo qualunque cui all ' improvviso cade il mondo addosso,e viene risucchiato in un perverso ingranaggio più grande di lui, fornisce una delle sue più belle interpretazioni.
Ma a rubare la scena a tutti e' Tano Cimarosa, un grande indimenticabile ,ma purtroppo non indimenticato.

Il miglior film su Cosa Nostra. Damiani, pace all'anima sua, costruisce un film impeccabile e avvincente, un autentico capolavoro di cui andare solennemente fieri. La sceneggiatura si presenta come l'apoteosi dei temi mafiosi, con un sottile gioco di cappio che si stringe con maestria e ottundente senso di ingiustizia intorno al collo dell'immenso protagonista (Gemma in stato di grazia). I personaggi, molti secondari, sono tratteggiati perfettamente con un senso dell'incastro magistrale, parlo di Colicchia, della splendida Lucia (la Giorgi supplisce a una scarsa performance con la sua bellezza stupefacente), del figlio, di Platamone (Placido è sicuramente stato l'ultimo grande attore italiano) e di tutti gli altri.
Questo è un film anche tecnicamente superbo: scene magistrali come l'uccisione di Fabbricante, ricalcata su alcuni campi lunghi di "Salvatore Giuliano" di Rosi e ovviamente di Leone (citato spesso attraverso il sonoro, un fischiettio che ora, dato il tema, è solo sinistro e non epico), oppure l'uccisione di Ferrara con la soggettiva di Nino che corre verso la casa e quando l'amico muore la fotografia si appanna con un effetto ottico che ricorda il venir meno della coscienza e l'arrivo della morte, contemporaneamente. Due di tante sequenze assolutamente memorabili.
Un film da non dimenticare.
Addio Damiano, perla del nostro cinema.