Storia di una famiglia criminale vista dall'interno, negli aspetti più emotivi e contraddittori, che si spingono fino agli archetipi della tragedia greca. In una dimensione sospesa tra l'arcaico e il moderno, si svolge il racconto di tre fratelli che, dal Sudamerica e dalla Milano della finanza, sono costretti a tornare nel paese natale sulle vette selvagge della Calabria per affrontare i nodi irrisolti del passato.
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Nere sono le anime dei fratelli Carbone, che per uno strano scherzo del destino già dal cognome richiamano tonalità oscure. Rocco e Luigi abitano a Milano, si sono arricchiti col traffico di droga e nel capoluogo lombardo mandano avanti affari milionari attraverso coperture concernenti imprese edili. Luciano invece è rimasto al paese, non vuole avere a che fare con la malavita, alleva capre e si scontra con il figlio Leo desideroso di seguire le orme degli zii. Modernità e rituali arcaici sono il contrasto sul quale Munzi costruisce la sua storia di vendetta e dissapori vetusti. Faide pronte ad esplodere dopo che il bisogno di sangue è rimasto anestetizzato per tanto tempo, eppure ancora vivo e vegeto, tanto da riemergere dai meandri della memoria a causa di una stupidaggine giovanile. Dopo gli interessanti "Saimir" e "L'odore della notte" il regista romano scala un altro gradino verso la maturità autoriale, tratteggiando un dramma famigliare senza alcun barlume d'amore nell'ambito di una socialità basata su leggi sorde ai richiami del governo centrale, sostituito da quello locale del paesino arroccato sull'Aspromonte e regolato da pallottole e coltellate. Le luci di Milano coi suoi grattaceli e gli interni lindi, dall'algida accoglienza, contrastano con la vitalità primitiva dell'entroterra calabrese sfregiato da un'edilizia dissennata. La fotogarfia assume toni sempre più tenebrosi mentre l'effetto domino è in atto, si viene quasi fagocitati dai cromatismi melmosi in cui sembrano sprofondare i vari personaggi raccontanti da uno sguardo esterno pudico, mai particolarmente critico o accusatore, ma efficace nel centrare certe dinamiche in cui l'appartenenza è fattore al quale non si può sfuggire. E mentre gli uomini decidono, anche future alleanze con metodi tribali, le donne vivono ai margini, frutto delle lune altrui, ipocritamente non vedenti anche nell'emancipazione milanese. Recitato (ottimamente) in dialetto calabrese (sottotitolato), "Anime nere" trova negli aspetti culturali di natura barbarica le ragioni della tragedia, mentre regole stabilite in tempi ormai lontani influiscono ancora, in maniera radicale, su un capitalismo criminale gestito da anime nere, ingranaggi perfetti per mandare avanti il massacro senza fine.