Questa č la storia di un uomo in caduta libera. Sulla strada verso la redenzione, l'oscuritŕ illumina la sua via. In comunicazione con la vita nell'aldilŕ, Uxbal č un eroe tragico e padre di due figli che sente il pericolo della morte, lotta contro una realtŕ corrotta e un destino che lavora contro di lui per perdonare, per amare e per sempre.
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EUROPA ANNO ZERO. Prendete i Dardenne, il loro stile; prendete quel gran capolavoro che č cinematograficamente parlando "Gomorra" del nostro maggior giovane talento, Garrone. Seguite le metamorfosi piů recenti del cinema "appiccicato alla realtŕ", a partire da quel big bang che fu il neorealismo italiano. "Biutiful" di Inarritu aggiunge un tassello magnifico a questo cinema, al Cinema.
Europa anno zero. In questo silenzioso disastro siamo tutti dentro: un mondo che cerca l'ultimo fiato a pelo di soffitto, mentre l'acqua sta invadendo la stanza. Inarritu descrive l'entropia sociale in una metropoli dell'occidente. Una Barcellona tutt'altro che irriconoscibile... Una Barcellona che non č, certo, quella dei turisti: ma una cittŕ di sangue e viscere calde. Inarritu ci fa aprire gli occhi, con sapienza di sguardo: lui spazza via le cartoline e ci fa guardare nel profondo del pozzo. Inarritu cortocircuita l'urgenza del tirare avanti, mantenere l'ordine mentre tutto intorno esplode (entropia), con l'urgenza del confronto ultimo: quello con la morte.
"Biutiful" č un film incentrato sulle rimozioni. Ci sbatte in faccia tutto ciň che quotidianamente rimuoviamo dal nostro orizzonte, ciň che non vogliamo vedere eppure sta lě, appena affianco a noi sul marciapiede. E soprattutto fa i conti con la piů grande rimozione della contemporaneitŕ: la morte. Cadaveri e cimiteri, contigui agli appartamenti (una scena formidabile il dolly zoomato che scende sul cimitero a partire dai condomini sovrastanti). La fisicitŕ della morte. La morte come limite prossimo: scoglio insuperabile lě dove si argina la nostra possibilitŕ di frenare l'entropia del nostro universo personale.
Il faccia a faccia con il padre piů giovane (e non mi riferisco all'epilogo, ma alla scena magistrale del crematorio) č una pagina di altissimo cinema. Le suggestioni che lascia sono potenti, tanto dense che non le si possono enunciare a parole.
Ho piuttosto perplessitŕ sulla reale necessitŕ dell'epilogo, che bello č pure bello, ma mi pare stoni senza aggiungere davvero qualcosa.
La regia č portentosa. Il livello artistico di un film, il salto di qualitŕ dato dallo stile e dall'ispirazione lo si vede nei dettagli. Per esempio, quando notiamo che Inarritu, in una concitata scena di fuga per le vie urbane, ha ritenuto importante inserire un'inquadratura di un secondo su di una di quelle persone che si mascherano da statue e se ne stanno lě immobili. Ecco: in mezzo a tutto quel macello, Inarritu si sofferma - un secondo, non di piů - su quella finta-statua perplessa e attonita, che resta immobile e preoccupata mentre intorno si scatena il finimondo. Non se l'č trovata lě per caso: ha voluto una comparsa per quel ruolo. E ancora: altro contesto: il protagonista cammina da solo su un ponte, al crepuscolo. Questa volta il montaggio non č concitato, la macchina da presa non stacca: in un'unica inquadratuta passa dal suo volto a uno stormo che si compatta e si dilata nel cielo. Poi torna sul protagonista. Intuizioni visive. Suggestioni. E sono solo due momenti: il film č tutto girato con tale continua ispirazione visiva.
Detto questo della regia, va riconosciuto che la sceneggiatura, anche senza Arriaga (ma sempre con Santaolalla alle musiche), č di gran valore. Anzi: abbandonata l'ambizione di parlare della babele dell'universo congiungendo i quattro angoli del mondo, Inarritu -senza intrecci paralleli- si chiude nei recessi di una metropoli, dentro l'animo di un uomo, nel sottoscala del mondo. E da lě lo fa esplodere, il mondo.
Il suo film piů maturo. Sinora, il suo capolavoro.
(Il voto č 9. Ma questo č uno di quei film che quando li rivedi si dischiudono...).