In un'America sull'orlo del collasso, attraverso terre desolate e città distrutte dall’esplosione di una guerra civile, un gruppo di reporter intraprende un viaggio in condizioni estreme, mettendo a rischio le proprie vite per raccontare la verità.
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Probabilmente il miglior film di Garland e fino ad ora il miglior film americano della stagione. La critica si è divisa, giornali come il manifesto OVVIAMENTE non ne hanno capito portata e significato e il pubblico... angosciato dalla visione del regista inglese che senza fronzoli o voli pindarici và a illustrare semplicemente la fine della seconda guerra civile americana con annessi e connessi. Insomma il pubblico ha avuto PAURA e certo non ha preso d'assalto i cinema. Comunque due considerazioni prima di parlare del film: 1- A24 come casa indipendente di produzione cinematografica è oramai QUASI l'unica realtà produttrice negli Stati Uniti che cerca di rivoluzionare il concetto stesso di cinema indipendente, prendendosi dei rischi ovviamente, in questo caso il budget di 50 milioni di dollari per produrre il film, che verranno recuperati con i diritti di distribuzione in tv e streaming, senza considerare l'home video. 2- la critica ha polemizzato con Garland stupidamente perchè il regista inglese ha denotato che la visione del film serve a farsi una PROPRIA opinione, lui non si schiera, lui OSSERVA E REGISTRA, in poche parole come i reporter del film, sta a noi giudicare, è per questo che serve il pubblico. Il film è uno dei rari esempi di cinema di guerra in cui la guerra viene spogliata di tutta la sua retorica e incongruenza, mostrando semplicemente violenza e sopraffazione. L'inizio con il discorso del trumpiano sedicente presidente degli Stati Uniti è impressionante, perchè se quello che dice è fiction, le IMMAGINI di repertorio che scorrono sullo schermo sono quelle dei disordini di Capitol Hill, così come le macchie di sangue finali. I protagonisti sono in parte, se la Dunst appesantita e imbruttita testimonia il radicale cammbio di immagine che l'attrice americana ha portato a se stessa, il suo reporter, uno strepitoso Wagner Moura riesce a costruire un uomo assuefatto alla violenza semplicemente perchè beve, si droga e fuma, ma non riesce comunque a farci l'abitudine. Stephen-Sam è il giornalista vecchia scuola che li accompagna per farsi accompagnare, è la memoria di un tempo passato, quel che resta del New York Times, il più indifeso alla fine
e quello che salvando gli altri tre troverà la morte
Poi c'è LEI Cailee Spaney la giornalista in erba Jessie, che vuole diventare come la sua eroina la Dunst-Lee , una fotografa di guerra. Per lei il viaggio sarà una sorta di formazione e soprattutto la fine dell'innocenza in un paese dilaniato. Qui nel on the road Garland trascende buona parte del suo stile, non risparmiando nulla, complice una colonna sonora perfetta in antitesi con le immagini che ne amplifica il significato. L'incontro con i soldati rimasti a
seppellire i corpi dei civili uccisi durante rastrellamenti ed esecuzioni per poi roovesciarli nelle fosse comuni e coprirli con la calce come se fosse formaggio è un momento iconico, sopratttutto quando Jesse Plemens fà il soldato psicopatico, che ammazza a sangue freddo i due giornalisti asiatici solo perchè NON AMERICANI.
Insomma il film è un viaggio che ci porta alla fine del sogno americano, soprattutto quando si arriva all'assedio di Washington che diventa la catarsi della storia. Alla fine Jessie
salvata dai proiettili da Lee diventerà come lei, prendendone inevitabilmente il testimone, mentre i soldati americani delle WF trascinano il presidente degli Stati Uniti da sotto ad un tavolo, una donna soldato afro-americana gli spara due colpi al petto e il suo cadavere diventa parte della STORIA nella foto simbolo della fine della caccia al sogno americano.
Un film che comunque vada non rimarrà sullo sfondo, per chi ha la voglia e la forza di vedere la verità della storia...addio america.