E' il 1964, Selma č emigrata con suo figlio dall'Europa dell'Est in America. Lavora notte e giorno per salvare suo figlio dalla stessa malattia che affligge lei e che la renderā cieca. Il segreto della sua energia di vivere č il suo amore per i musical. Quando la vita č troppo dura, le basta fingere di trovarsi nel meraviglioso mondo dei musical, dove riesce a trovare la felicitā che il mondo non le riesce a dare.
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La tragedia di Selma non mi ha sfiorato, è fin troppo riconoscibile il marchingegno creativo (questo sì, interessante) che vi sta dietro. In questo spettacolo di marionette i fili sono troppo visibili. Per raccontare l'improbabile è necessaria tanta passione, persino una fede smisurata. Ma Von Trier non ce l'ha, non qui. Qui, la boria autorale l'ho trovata asettica , il sadismo innocuo. Ho lasciato fermentare a lungo la visione. Ormai sono convinta della consistenza acquosa che "Dancer in the dark" ha avuto per me. Un film che mi è scivolato addosso con una facilità impressionante. Vorrei poterlo definire terribile. L' unica sensazione che ho provato è un certo disagio, come quando non si riesce proprio a ridere di una battuta, o a percepire i pungoli di una provocazione.