decalogo 1 regia di Krzysztof Kieslowski Polonia, Germania 1989
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decalogo 1 (1989)

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locandina del film DECALOGO 1

Titolo Originale: DEKALOG, JEDEN

RegiaKrzysztof Kieslowski

InterpretiHenryk Baranowski, Wojciech Klata, Maja Komorowska

Durata: h 0.53
NazionalitàPolonia, Germania 1989
Generedrammatico
Al cinema nel Marzo 1989

•  Altri film di Krzysztof Kieslowski

Trama del film Decalogo 1

Krzysztof, docente universitario, e il figlio Pawel delegano alla programmazione del computer tutta la loro esistenza, venerandone ciecamente le previsioni. E' il computer a decidere anche il più insignificante atto della loro vita quotidiana. Pawel vuole andare a pattinare e affida al computer anche il calcolo dello spessore della sottile lastra di ghiaccio...

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Voto Visitatori:   8,67 / 10 (47 voti)8,67Grafico
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Voti e commenti su Decalogo 1, 47 opinioni inserite

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Gruppo STAFF, Moderatore Jellybelly  @  15/04/2021 14:46:20
   10 / 10
Primo episodio del decalogo, primo capolavoro. La fede cieca nel computer e nella tecnologia del protagonista e le sue estreme conseguenze sono lo spunto perfetto per la cavalcata verso il dramma di Kieslowski, ed una spiazzante dichiarazione di intenti per l'intero progetto del Decalogo.

VincVega  @  16/11/2020 21:15:21
   8½ / 10
Grande film ad episodi della televisione polacca, che mostra la visione pessimistica e drammatica di Kieślowski nelle dinamiche quotidiane dell'essere umano, la cui condizione viene rappresentata in varie tematiche. Emozionante, struggente, complesso, ambizioso. In quasi tutti gli episodi c'è una prima parte di costruzione e una seconda di esplosione degli eventi, talvolta intollerabile per i personaggi, talvolta duro anche per lo spettatore. Kieslowski ha il merito di far riflettere, ma senza la classica retorica. Alcuni episodi sono veramente belli e di grande impatto, altri leggermente meno, ma sempre su ottimi livelli (personalmente l'unico episodio al di sotto degli altri è l'ottavo, un po' noioso).

Il commento vale per l'opera complessiva, in quanto l'ho vista tutta di seguito in pochi giorni, invece i voti vanno per ogni singolo episodio.

LaCalamita  @  26/05/2018 06:35:34
   8 / 10
Dopo aver visto la Trilogia dei colori, continuo a scoprire questo regista guardando il primo capitolo di questo Decalogo.
Il film è bellissimo e mostra i forti limiti della scienza di fronte all'immensa complessità e potenza del caso. Solo teoricamente il caso potrebbe essere decriptato (come spiega il professore durante la lezione, parlando di un computer infititamente potente in grado di fare tutto). Ma fino ad allora, giocare a fare Dio può essere molto pericoloso.

kafka62  @  18/04/2018 14:36:13
   9½ / 10
IL CASO

L'attrazione esercitata su Kieslowski dalle imperscrutabili alchimie della casualità aveva già trovato, diversi anni prima del Decalogo, una forma artisticamente compiuta e matura in un film del 1981, il quale si intitolava proprio "Przypadek", "Il caso" (altrimenti conosciuto come "Destino cieco"). In questa pellicola, Kieslowski faceva intervenire nella vita del protagonista, il giovane Witek, un evento fortuito e apparentemente insignificante (lo scontro con un ubriaco nella stazione ferroviaria), il quale però segnava profondamente il suo destino, fino a configurarlo in maniera diversa, e persino diametralmente opposta, a seconda dell'impercettibile modularsi dell'evento stesso. Il regista polacco realizzava in forma cinematografica quello di cui Borges fantasticava ne "Il giardino dei sentieri che si biforcano": seguire tutte le possibilità, le molteplici variabili che il caso e le coincidenze originano, decidersi simultaneamente per la totalità delle alternative senza essere costretti a sceglierne una e abbandonare tutte le altre. Il film analizzava pertanto tre differenti "opzioni esistenziali": nell'una Witek diventava un attivista di partito, nell'altra diveniva un oppositore del regime, nell'ultima infine decideva di sposarsi e di non impegnarsi nella politica. Nonostante la reciproca autonomia e la radicale divaricazione di questi possibili futuri, la conclusione era paradossalmente identica: Witek non riusciva in tutti e tre i casi a partire per Parigi (nell'ultimo episodio, quando sembrava avercela fatta, l'aereo esplodeva in aria).
L'apparente determinismo, il fatalismo latente da cui quell'opera sembrava essere contraddistinta non deve però trarre in inganno. Se è vero che la vita umana è pesantemente condizionata dal caso (o, a seconda del nome che gli si voglia dare, dal destino, da Dio, dalla provvidenza, ecc.), è altrettanto vero che il libero arbitrio non è del tutto privo di senso: anzi, a ben guardare, Witek appariva in fondo vittima non tanto – o non solo – dell'imponderabile fato, quanto della sua capacità di agire autonomamente e della sua mancanza di consapevolezza politica. Sotto questo specifico angolo visuale, il Decalogo si pone come un'ideale prosecuzione del discorso lasciato a metà strada da "Il caso", come un geniale ed ambizioso tentativo di riflettere (e offrire allo spettatore adeguati motivi di riflessione) su questo tema dalle potenzialità quasi infinite.
Il primo episodio, così disperatamente tragico ed emblematicamente chiuso alla speranza, sembrerebbe irridere la presunzione dell'uomo di essere l'artefice del proprio destino. L'illuministica fiducia nella scienza e nella ragione, l'illusione di poter programmare in tutti i suoi aspetti la propria esistenza, sono infatti destinate a scontrarsi irreparabilmente contro la cieca e imprevedibile arbitrarietà del caso. Krzysztof e suo figlio Pawel possono sì calcolare con infinitesimale precisione, scientificamente, il peso che il ghiaccio formatosi sul laghetto potrà reggere, ma non possono umanamente tenere conto delle infinite sfaccettature della realtà: come un minuscolo granello di sabbia che si insinua in un complicato meccanismo di precisione, il caso, sotto forma di un fuoco acceso nella notte sulle sponde del lago, manderà all'aria tutte le loro infallibili elaborazioni, provocando l'atroce morte del piccolo protagonista. Se la scienza appare impotente a corrispondere alle legittime aspettative dell'uomo, non meno inadeguata risulta essere la religione. L'episodio scorre incerto tra questi due poli antitetici: da una parte il padre, fautore di un razionalistico positivismo che ha nel computer il suo simbolo (in una lezione universitaria egli auspica non a caso l'avvento di una macchina che possa avere "gusti propri, preferenze estetiche, individualità"); dall'altra la zia Irena, fervida credente, per la quale "tutto diventa semplice, se si ha la fede" (se cioè si è disposti ad accantonare la pretesa di dare una risposta esaustiva e inconfutabile alle tante domande che si affacciano alla mente umana: perché si vive? perché si muore? esiste l'anima?). Tra i due poli c'è Pawel, i cui infantili tentativi di farsi dire dal computer cosa stia sognando la madre lontana e di scoprire attraverso la zia il senso ultimo dell'esistenza esprimono il naturalissimo bisogno di schierarsi da una parte o dall'altra.
Ci sono, come si può vedere, tutti gli estremi per un cinema neo-manicheo, per mezzo del quale avvalorare una determinata posizione ideologica, laica o al contrario confessionale. Ma Kieslowski non ama gli schematismi didascalici, si rifiuta di piegare le storie alla sua privata visione del mondo e, anziché semplificare, preferisce introdurre un terzo polo, rappresentato dal caso. Il caso può essere inteso come infinito e inesauribile prodursi di virtualità, in sé né buone né cattive, oppure come negazione totale di ogni aspirazione dell'uomo all'autodeterminazione, può essere identificato con Dio (come sosteneva provocatoriamente Anatole France quando diceva che "il caso è lo pseudonimo di Dio quando non vuole firmarsi di persona") o al contrario sanzionarne l'inesistenza. Deposto il ruolo di onnipotente demiurgo, di inappellabile giudice delle vicende narrate, Kieslowski non ci concede alcuna conferma. Egli è un osservatore esterno e distante, avvicinabile forse a quell'enigmatico personaggio interpretato da Artur Barcis che compare in otto episodi su dieci, vero e proprio comune denominatore di quella elaborata costruzione narrativa che è il Decalogo nel suo complesso. Al pari degli angeli di Wenders, che soffrono al fianco degli uomini senza essere in grado di influire sui loro drammi privati, l'Osservatore di Kieslowski attraversa come un malinconico fantasma i vari episodi, incrociando i personaggi principali nei momenti cruciali della loro vita, senza però poter mai intervenire sulle loro decisioni. In Decalogo 5, ad esempio, egli incrocia lo sguardo di Jacek pochi minuti prima che questi uccida il tassista, dà a vedere di essere consapevole di quello che sta per succedere, ma solo un'ombra di compassione nei suoi occhi, un leggero movimento della testa, un impercettibile segno di diniego riescono a trapelare dalla sua persona. Egli non può impedire che il male avvenga, ma al massimo far scaturire un barlume di coscienza, come nel quarto episodio in cui Anka, dopo l'incontro in riva al fiume col canoista, rinuncia ad aprire la lettera proibita.
La sospensione del giudizio e l'assenza di una morale unica ed irrefutabile sono quindi due costanti del Decalogo kieslowskiano. Il caso moltiplica le alternative di scelta dei personaggi, e così le spiegazioni dei fenomeni e le opzioni etiche a disposizione dello spettatore. Il cinema di Kieslowski è in fondo, proprio in virtù del fatto di non aver mai la pretesa di voler raggiungere conclusioni definitive e assolutizzanti, un cinema da confutare, discutere e dibattere, come avviene in quell'aula universitaria dell'ottavo episodio in cui l'insegnante e gli studenti analizzano appassionatamente le complesse e tutt'altro che univoche implicazioni morali della storia parallela di Dorota e del dottore già vista in precedenza nel secondo episodio. Così, tornando all'episodio di apertura, si può parteggiare per Irena o per Krzysztof, o assumere delle posizioni intermedie, ma in ogni caso non si può rimanere indifferenti. Kieslowski ha infatti il coraggio di rappresentare il dolore dell'esistenza allo stato puro (sia che si tratti della morte di un bambino o di un'esecuzione capitale), un dolore anti-spettacolare e spogliato di ogni sentimentalismo, un dolore che va direttamente alla radice dell'essere e fa sentire la irrisoria precarietà dell'uomo nel cosmo, ma anche la sua tragica e prometeica grandezza. Il primo episodio potrebbe rappresentare un punto fermo e risolutivo nel cinema di Kieslowski, un pessimistico e nichilistico tirare le somme della propria filosofia, ed invece è solo un punto di partenza.


FINZIONI

Con la sua amorale imperscrutabilità, il caso trasforma la vita umana in un labirinto in cui la ragione è destinata a perdersi, in un gioco di scatole cinesi dove la verità si sottrae beffardamente ad ogni tentativo di afferrarla. Nell'episodio più enigmatico e psicologicamente complesso del Decalogo, il quarto, esso assume le sembianze di una busta contenuta in un'altra busta. Il rapporto tra Anka e Michal, figlia e genitore, viene sconvolto improvvisamente dalla casuale scoperta di una lettera indirizzata dalla madre, morta subito dopo il parto, alla ragazza, nella quale viene confessato che l'uomo non è il suo vero padre. Ecco che un'altra realtà (la ramificata realtà borgesiana) viene prepotentemente fuori, insieme a tutti i sospetti sepolti, alle paure segrete e ai desideri inconfessati di tanti anni di codificata convivenza familiare. Saltati i tabù edipici e gli interdetti morali, è possibile giungere persino ad ammettere di amare quella che fino a ieri era considerata la propria figlia. Ma l'accettazione delle proprie pulsioni naturali, in quello che diventa ben presto un pericoloso gioco della verità, simile alla fassbinderiana "roulette cinese", non è meno traumatica delle autocensure e delle dissimulazioni precedenti la rivelazione: l'impossibilità di recuperare il passato, l'irrevocabile consolidamento dei ruoli familiari, la progressiva divaricazione delle singole esistenze, non rendono infatti più possibile un diverso rapporto tra i due.
Alla fine però, dopo una schermaglia psicologica durata quasi tutta la notte, scopriamo con sorpresa che la figlia ha inventato tutto, che la lettera è ancora intatta, che Anka ha semplicemente riprodotto, inventandola, una delle tante possibili realtà a sua disposizione. Nell'ultima sequenza dell'episodio, la lettera viene consensualmente bruciata dai due protagonisti. Forse essa contiene proprio le parole simulate dalla ragazza, forse (come ne "Il caso") alla fine di tutto c'è sempre e comunque una sola realtà, una sola verità, una sola conclusione. Ma non è questa la cosa importante. Quello che mi sembra davvero rilevante è invece che, contro la provvisorietà della vita e l'arbitrarietà del caso, Anka scelga la messa in scena, la finzione, l'illusione teatrale se vogliamo (non è un caso che ella segua un corso di recitazione). In fondo a questa decisione si intravede il desiderio di essere il vero artefice del proprio destino, di essere in grado cioè non solo di seguire fino in fondo il filo d'Arianna del proprio futuro, ma anche di srotolare quel filo a propria discrezione. Trovatasi di fronte a un bivio (aprire o non aprire la lettera), Anka ha simulato una sorta di realtà virtuale, ne ha sperimentato le conseguenze, valutando alla fine se fosse preferibile togliere l'ultimo velo all'apparenza oppure ritornare alla realtà precedente. Ella ha cioè fatto autonomamente quello che il caso (l'impercettibile modificarsi di un accadimento) provocava nell'esistenza di Witek: percorrere contemporaneamente due o più itinerari esistenziali alternativi, i quali si escludano a vicenda. L'episodio diventa allora una riflessione sulla scommessa dell'uomo di sostituirsi a Dio e di contrastare il ruolo del caso nella propria vita, in contrapposizione ad un atteggiamento di rassegnata e supina sottomissione alle alterne oscillazioni della sorte.
Il nodo cruciale da sciogliere è il dissidio tra ciò che è e ciò che avrebbe potuto essere e invece non è stato. Jacek, il protagonista del quinto episodio, non avrebbe probabilmente lasciato il paese natale se la sorella non fosse accidentalmente morta per causa sua, e di conseguenza non sarebbe mai arrivato a compiere quell'assurdo omicidio che lo ha condotto alla forca. La consapevolezza di tutto quanto è stato sprecato nel corso dell'esistenza, per aver dovuto seguire una sola tra le tante alternative che il caso gli ha presentato davanti, è la tantalica, dolorosissima condanna dell'uomo. Nel finale cinematografico del sesto episodio, sicuramente più bello e poetico di quello televisivo, Magda vede (immagina di vedere) al cannocchiale la scena in cui piange tenendosi la testa tra le mani, vede (immagina di vedere) Tomek che giunge a consolarla, ha per un attimo la percezione di una felicità buttata stupidamente via, ma la presenza del ragazzo convalescente nella stanza connota la sequenza di un senso di nostalgica impossibilità.
In quest'ottica si capiscono meglio la scelta di Anka o quella di Ewa, la donna che nel terzo episodio costringe l'ex amante a passare con lei la notte di Natale con il pretesto, inventato di sana pianta, della scomparsa del marito. Forzare il proprio destino per sottrarsi al flusso casuale e incontrollabile degli eventi diventa allora un gesto di libertà, una espressione di autonomia contro qualsiasi condizionamento che sfugga al controllo dell'uomo. Ricreare pirandellianamente la realtà è probabilmente una vana finzione, un'innocua utopia, ma indica almeno una possibilità, una strada da percorrere. Forse non c'è ancora in questa esigenza un impulso di ordine morale, ma il passo da compiere per giungere alla sfera etica è più breve di quello che si pensa.


LA SCELTA

Nel cinema di Kieslowski, agire o non agire, oppure agire in un modo anziché in un altro, non è mai indifferente: c'è sempre, in altre parole, una problematica etica che investe i personaggi. Si prenda ad esempio il secondo, emblematico episodio, Dorota è sposata con un uomo malato di cancro e aspetta un figlio dal suo amante. Se il marito morirà lei potrà tenere il bambino, ma se l'uomo dovesse guarire non le resterà che abortire, pur sapendo che non potrà più avere altre gravidanze. Dello scabroso dilemma Dorota investe il vecchio dottore che abita nello stesso condominio, il quale viene quindi chiamato a decidere della vita o della morte del nascituro. Se il Dio celeste è latitante, impotente di fronte al male nel mondo, è l'uomo in terra a dover fare le sue veci. Il dottore se ne rende conto e, pur desiderando di tenersi alla larga da questi problemi (tanto più in quanto egli è credente), pur cercando in tutti i modi di eludere la donna, alla fine capisce di non poter sottrarsi alle sue responsabilità.
Nel Decalogo le esistenze dei singoli individui appaiono strettamente interdipendenti. Ognuno si sforza di vivere isolato, egoisticamente recluso nel suo piccolo appartamento, ma il caso lo mette continuamente in contatto con altre esistenze, con altri dolori. E' come se Kieslowski dicesse: "Fate attenzione, vicino a voi vive altra gente, quello che fate riguarda anche loro, quelli che conoscete o addirittura quelli la cui presenza vi è del tutto ignota". C'è in questo atteggiamento una sorta di appello leopardiano alla solidarietà umana per combattere la cieca crudeltà del caso. E se anche Kieslowski è meno idealista dell'autore de La ginestra, se anche la ragione appare destinata a soccombere nella lotta contro il caso, tutto ciò non riduce l'importanza, la necessità di un forte atteggiamento morale.
Di fronte alla gravità e alla complessità degli interrogativi etici proposti, Kieslowski non ci dice mai se le scelte effettuate sono giuste oppure sbagliate, ma solo che è necessario scegliere. Anzi, l'obiettiva difficoltà della scelta introduce in ciascun episodio un'irrisolvibile ambiguità, che ambisce a riprodurre l'ambiguità della vita stessa. Nell'ottavo episodio, Elzbjeta racconta una storia avvenuta durante la guerra: una donna (che si scopre poi essere la stessa professoressa Zofja) doveva giurare il falso per salvare una bambina ebrea; se lo faceva trasgrediva l'ottavo comandamento ("Non dire falsa testimonianza"), se si rifiutava di farlo non violava alcun precetto religioso ma mandava a morte quasi certa un'innocente. Già con questi pochi dati, come si può vedere, ci troviamo di fronte a un aut aut di non facile soluzione. Ma la cosa risulta ancora più complessa, in quanto Kieslowski – ormai dovremmo averlo capito – non esita a mettere in gioco, abilmente inserite nella sceneggiatura, tutte quelle innumerevoli variabili che, al pari della vita reale, rendono complicatissime le decisioni e le azioni dell'uomo. Per salvare la bambina ebrea, la donna avrebbe dovuto farla adottare da un uomo che, guarda caso, era sospettato di collaborazionismo e poteva quindi, tramite la bambina stessa, fare arrestare numerosi esponenti della resistenza. Insomma, per salvare un essere umano, ella ne avrebbe condannati molti altri. Ma, come se ciò non bastasse, le informazioni sul presunto collaborazionista erano sbagliate, e il pover'uomo ne avrebbe avuto la vita irrimediabilmente rovinata. Insomma, comunque si voglia girare la storia, non c'è verso di trovare la soluzione giusta al dilemma morale. In qualsiasi modo si scelga – sembra dire Kieslowski – si deve essere umilmente disposti ad accettare ed affrontare l'alea dell'insuccesso, e i sensi di colpa, i rimorsi e le punizioni del destino che ne derivano.


AMBIGUITA' E TRASGRESSIONE

Non esiste pertanto una norma sicura per vivere moralmente. Il mondo è irrimediabilmente ambiguo e non si lascia ridurre ad un'unica dimensione, come invece pretenderebbero i comandamenti. Gli stessi comandamenti, che sembrano così semplici ed ovvi, si rivelano nell'arco dei dieci episodi (una volta tolti loro i catechistici paludamenti imposti dall'ortodossia religiosa) in una veste inedita, ambivalente e scandalosa. Il settimo dice "non rubare": ma chi è che veramente "ruba" la piccola Ania, la madre naturale Majka, oppure la madre ufficiale Ewa? e "si può rubare quel che è già tuo", come si domanda Majka durante la sua velleitaria fuga? Kieslowski affonda il bisturi della sua impietosa analisi esistenziale nei punti di sutura in cui i comandamenti mostrano insospettati segni di cedimento: Zofja non dice falsa testimonianza, ma non commette forse un peccato più grave? e il dottore che giura il falso per salvare il bambino nel grembo di Dorota? e l'omicidio legalizzato dello Stato, quello che non lascia macchie e sensi di colpa, che apparentemente non infrange leggi divine, non è forse peggiore dell'assassinio istintivo e naturale di Jacek? Questi ed altri dubbi ancora affondano progressivamente lo spettatore in un clima di incertezza e di ambiguità, in cui la mancanza di una guida morale inoppugnabile va di pari passo con la vertiginosa sensazione che trasgredire i comandamenti a volte sia addirittura necessario. Nel terzo episodio, ad esempio, Janusz non celebra in famiglia il Santo Natale, ma la tenera riesumazione notturna di un vecchio amore, che regala più gioia e speranza a Ewa di quanta ne sottragga alla moglie rimasta in casa ad attenderlo, lo riscatta da qualsiasi colpa.
Davanti a tutto questo, viene allora da chiedersi cosa significhi per un uomo che voglia agire in armonia con l'ordine dell'universo scegliere secondo coscienza. Kieslowski non lo dice mai apertamente, ma, arretrando di fronte al vacillare delle certezze acquisite, si limita a porre ardui interrogativi che pesano sulle coscienze come macigni. "Le domande – ha detto il regista in un'intervista – sono qualcosa di più nobile delle risposte", e non si può non essere d'accordo con lui, pensando alla ricchezza spirituale che pervade il Decalogo. A tratti viene addirittura il dubbio che Kieslowski non conosca neppure le risposte, che lasci vivere i suoi personaggi senza pretendere di interpretarli. La scelta del dottore nel secondo episodio, ad esempio, non è spiegata in chiave psicologica: egli decide più istintivamente che razionalmente, forse addirittura per un inconsapevole egoismo (in guerra egli aveva perso i suoi due figli); e altrettanto visceralmente, col cuore e soprattutto con la pancia, agiscono anche gli altri personaggi (si pensi ai tentativi di suicidio di Tomek nel sesto episodio e di Roman nel nono). Normalmente è difficile sapere cosa essi pensano, se mentono oppure se sono sinceri. Nel terzo episodio, noi intuiamo che il marito di Ewa non è mai scomparso solamente quando la donna sparge artatamente i suoi oggetti in giro per l'appartamento, in modo da offrire a Janusz l'impressione di una regolare vita coniugale; e nel quarto episodio non sappiamo mai con certezza, neppure alla fine, se Anka abbia aperto la lettera oppure no. Tutto è relativo nell'universo del Decalogo o, il che è lo stesso, tutto è inconoscibile, come le lacrime che nel primo episodio scendono dagli occhi della *******, le quali sono forse il ben più prosaico effetto della cera che cola dalle candele rovesciate in un impeto di rabbia da Krzysztof.


I VALORI

Dopo avere messo in evidenza la mancanza nell'universo kieslowskiano di incrollabili punti di riferimento spirituali ed il substrato di indeterminatezza etica che lo caratterizza, è del tutto naturale porsi la seguente domanda: esistono nonostante tutto dei valori in questo universo? La risposta è senz'altro affermativa, in quanto la necessità di una vita morale non può prescindere da una rete di valori "forti", primo fra tutti l'amore per la vita. I protagonisti del secondo e dell'ottavo episodio possono essere stati mossi da motivazioni contrastanti, possono aver scelto influenzati dai più disparati influssi, ma l'unico dato di fatto incontrastato è che il dottore ha agito bene e la professoressa no, per il semplice motivo che la vita, soprattutto quella di un bambino, viene prima di tutto e deve essere anteposta ad ogni calcolo e ad ogni valutazione.
Questo è forse l'unico punto fermo al quale è addivenuta la filosofia di Kieslowski. Il fatto è che, come tutto il resto, anche i valori non sono così monolitici come normalmente li si vuole considerare. Il regista polacco li relativizza, li umanizza, li porta al livello di una umanità molto imperfetta, vittima del disorientamento, della nostalgia di infinito, della solitudine. L'amore, ad esempio, il quale muove molti personaggi del Decalogo, ben raramente è un porto tranquillo cui attraccare: nel terzo episodio è un rendez-vous estorto con l'inganno, senza alcuna prospettiva, eppure miracolosamente capace di regalare ancora qualche frammento di nostalgica felicità (la scena in cui Ewa e Janusz si salutano, forse per l'ultima volta, con i riflettori delle loro automobili è un momento di sublime poesia); nel sesto episodio è una passione disinteressata e adolescenziale destinata a venire soffocata dal cinismo e dall'insensibilità dell'età adulta; nel nono, infine, viene avvelenato dalla autolesionistica gelosia di un marito che ritiene di non avere neppure più il diritto di essere geloso.
Un discorso analogo potrebbe essere fatto per altri valori, come la solidarietà o la famiglia, i quali, pur essendo fortemente sentiti da ciascuno dei personaggi, devono concretamente fare i conti con l'ignavia, con l'indifferenza, con l'egoismo, vale a dire con tutte quelle motivazioni interiori altrettanto radicate nell'animo umano che spingono vigorosamente in direzione contraria. Il risultato è che quello di Kieslowski, disilluso cantore di piccole storie di tutti i giorni, è un mondo in cui l'uomo brancola nel buio, se è fortunato o intelligente riesce a scegliere anziché essere scelto, ma non raggiunge mai la certezza di aver fatto la scelta giusta. Prendendo a prestito il titolo del seminario tenuto dalla professoressa Zofja, è un "inferno etico" in cui le contraddizioni esistenziali esplodono poco alla volta ma inesorabilmente, lasciando dietro di sé sanguinose ferite assai difficili da rimarginare.


INFELICITA' SENZA DESIDERI

Arriviamo così a quello che è uno dei tratti distintivi del cinema kieslowskiano: l'infelicità direi quasi metafisica che pervade ogni fotogramma, ogni situazione narrativa. I personaggi di Kieslowski sono spesso soli (Zofja, la madre dell'amico di Tomek, il dottore del secondo episodio) oppure separati (Krzysztof, Ewa) o ancora malati (il marito di Dorota, la cantante del nono episodio) o infine si portano dietro tragici lutti familiari (Jacek, il dottore). Si tratta di condizioni esistenziali accettate spesso con coraggioso spirito di sopportazione, altre volte con esacerbata insofferenza, ma sempre dolorosissime e disperate. L'atmosfera che ne deriva è endemicamente triste, i dialoghi sono spesso pronunciati sottovoce, le emozioni sono soverchiate da un clima narrativo uniformemente dimesso, al quale la musica di Zbigniew Preisner si adatta alla perfezione, con le sue note gravi e malinconiche, i suoi toni sfumati, persino la sua classicità un po' démodé. Il personaggio di Artur Barcis di cui si è già detto in precedenza, è, per la sua espressione triste e compassionevole, la personificazione più appropriata di questo universo costituzionalmente infelice.
Con altri registi un simile approccio alla realtà avrebbe rischiato di dare origine a una geremiade lugubre e stucchevole. Kieslowski invece, con la sua acutissima sensibilità registica, riesce a farne il suo stile più autentico, senza peraltro mai cadere nella maniera, ed esprimere al tempo stesso con accenti sinceri e per nulla artificiosi il male di vivere dei nostri anni. La scena del ritrovamento del corpo del piccolo Pawel è ad esempio così dignitosa e solenne, così lontana da ogni convenzionale rappresentazione del dolore e della morte, da imporsi come una delle più alte espressioni del sacro mai viste al cinema.
Kieslowski ci introduce nelle sue storie già in certo qual modo preparati a quello cui assisteremo, come avviene quando ci si reca ad una funzione religiosa o ad un concerto. Forse l'incomunicabilità e la solitudine che gravano sui suoi film le sentiamo come intimamente nostre, forse la matrice metafisica che, al pari della filigrana di una banconota, attraversa il coté realistico del regista rende il suo messaggio ancora più universale, fatto sta che quando Zofja, ad esempio, parla della libertà di lasciarsi Dio dietro le spalle, Kieslowski raggiunge quella purezza di accenti che solo Bergman, Tarkovskij e pochi altri autori hanno conseguito in passato.
Lo sguardo di Kieslowski è freddo, distaccato, obiettivo (memore certamente delle passate esperienze documentaristiche), ma al tempo stesso profondamente partecipe e rispettoso del dolore che attanaglia i suoi personaggi. Una conseguenza di questo atteggiamento è la programmatica, totale assenza di qualsiasi forma di giudizio. Kieslowski infatti non condanna mai nessuno, neppure chi, come lo Jacek del quinto episodio, si macchia dei crimini più efferati. In lui non c'è mai passione, ma una intensa compassione che riesce a sublimare l'apparente imperturbabilità dello stile. Anche laddove il tono è comico (come nel decimo episodio) non bisogna lasciarsi ingannare: l'ironia, per ammissione dello stesso autore, non è altro che un buon elemento da giocare contro il caso. Al di là dell'umorismo, la tragedia rimane sempre in agguato.


ETICA ED ESTETICA

I dieci episodi del Decalogo aiutano a mettere a fuoco un principio fondamentale del cinema di Kieslowski: la tragicità della condizione umana non va mai disgiunta dalle modalità della sua rappresentazione. Lo stile di Kieslowski, così inconfondibilmente polacco e al tempo stesso così poco assimilabile a quello di altri autori della sua generazione, si conforma infatti con assoluta adesione al suo oggetto. I primi piani, ad esempio, mirano a rendere con pervasiva efficacia il mondo interiore dei personaggi, accentuandone altresì il carattere di mondi reciprocamente inconciliabili. I loro visi sono come specchi che riflettono i travagli interiori che li angosciano, rendendo spesso superflue le sottolineature diegetiche della sceneggiatura, la quale può in tal modo mantenere un carattere maggiormente agile ed ellittico. E' difficile dimenticare quelle inquadrature che si condensano in un volto, in un gesto, in un particolare: il padre del primo episodio, illuminato dalla luce verdastra del computer, la mano tremante di Tomek che accarezza goffamente le cosce di Magda, o la silhouette di Dorota affacciata alla finestra.
Ecco, la finestra è un elemento fondamentale della poetica kieslowskiana, dal momento che racchiude in sé una forte componente metaforica. Come il Josef K. de Il processo, che passa lunghi periodi di tempo affacciato alla finestra dell'ufficio, solipsisticamente immerso nei propri pensieri, i personaggi del Decalogo sono spesso intenti a guardare il mondo attraverso un vetro (si potrebbe invero dire che è Kieslowski ad osservarli da dietro un vetro): protetto dall'anonimato della sua stanza, Tomek spia con il cannocchiale la vita privata della bella vicina (facendo riaffiorare echi lontani di Hitchcock), Anka nella sequenza di apertura del quarto episodio è inquadrata in penombra davanti a una finestra con le veneziane abbassate, nel terzo episodio Ewa compare alla vista di Janusz riflessa nel vetro del portone. C'è sempre un diaframma tra l'io e le cose, o tra l'io e gli altri, che tende ad affermare una esclusione (il vicino che, nel terzo episodio, getta un malinconico sguardo sulla riunione natalizia che si sta svolgendo nell'appartamento al pianterreno), a ingigantire l'impossibilità di possedere l'oggetto del proprio desiderio (Tomek e Magda) o a rivelare una realtà che si vorrebbe invece rifiutare (Roman che assiste all'incontro dei due amanti). La trasparenza del vetro infrange sì l'intimità altrui, ma non aiuta affatto a superare la solitudine e l'incomunicabilità tra le persone. Si può dire che, guardando attraverso la finestra, lo sguardo dei personaggi si spoglia della propria soggettività, identificandosi con la posizione distaccata e oggettiva del regista, il quale osserva le vicende narrate senza mai dare l'impressione di volere (o potere) intervenire, come un osservatore che si trovasse a una distanza siderale dal nostro pianeta (regista = Dio?).
La finestra non è comunque l'unica concessione che Kieslowski fa al simbolismo. Il Decalogo è infatti un film in cui gli oggetti o i gesti hanno spesso una valenza che trascende la loro originale connotazione realistica. Anche se non sempre questa dimensione metaforica è facilmente decifrabile, appare chiaro a tutti che nessun dettaglio, per quanto marginale possa sembrare (un quadro storto, un contorsionista, ecc.), risulta mai gratuito. Si prenda ad esempio quel curioso leit motiv che è costituito dal rovesciamento o dalla rottura di recipienti contenenti liquidi. Nel primo episodio la boccetta di inchiostro si spacca senza alcun motivo apparente, nel secondo Dorota fa cadere scientemente un bicchiere a terra e nel sesto Magda rovescia la bottiglia di latte sulla tavola prima di mettersi a piangere. Il contenitore che si rompe, facendo spandere tutt'intorno il suo contenuto, richiama l'idea di un ordine che irreparabilmente si altera, di un equilibrio che si sfalda per non più ricomporsi. Anche se la rottura della boccetta di inchiostro ha una funzione di parallelismo con l'inspiegabile cedimento del ghiaccio, di oscuro presagio di una tragedia imminente, la fuoriuscita del liquido è soprattutto il simbolo della precarietà dell'esistenza umana, messa quotidianamente a confronto con il mistero dell'universo.
Dove la corrispondenza tra necessità della narrazione e apparato stilistico raggiunge il suo punto artisticamente più ragguardevole, avvalorando le considerazioni fatte più sopra, è in una sequenza del secondo episodio: la macchina da presa dapprima inquadra Dorota alla finestra, quindi scende in dolly lungo la parete dell'edificio fino a riprendere, tre piani più sotto, il dottore nello stesso atteggiamento; a questo punto la camera si sposta orizzontalmente verso destra, sempre più veloce, fino a trapassare indistintamente nella stanza d'ospedale in cui è ricoverato il marito della donna; quindi, con un'allegoria stupenda e senza alcuno stacco, Kieslowski mostra nel tavolo vicino una vespa che, caduta in un bicchiere d'acqua, cerac disperatamente di uscirne; quando alla fine, dopo innumerevoli sforzi, l'insetto riesce nel suo intento, capiamo che anche l'uomo è salvo, e tutto questo senza che Kieslowski abbia mai sentito il bisogno di sprecare una sola parola di commento o una sola immagine per descrivere l'evolversi benigno della malattia. Il massimo di economia narrativa, come si può vedere, è ottenuto dal regista senza che venga mai sacrificata la componente estetica di inquadrature e sequenze. Così, il cielo plumbeo e artificiale del quinto episodio, ricavato con l'uso di filtri gialli e di grandangoli, è finalizzato alla creazione di un'atmosfera angosciosa e opprimente, che schiaccia ineluttabilmente il protagonista in una claustrofobica condizione di palpabile disagio esistenziale, senza vie d'uscita; mentre nel terzo episodio la fotografia effettistica, fatta soprattutto di luci natalizie, semafori e illuminazioni stradali, suscita opportunamente un senso di inautenticità, di teatralità, che anticipa la scoperta da parte dello spettatore della diabolica macchinazione messa in atto da Ewa.


IL CONDOMINIO DEI DESTINI INCROCIATI

Vite umane che si incrociano fortuitamente per un attimo e subito si allontanano, storie secondarie che si affacciano brevemente sulla scena principale per poi scomparire: non è un caso che in apertura di questo saggio abbia citato Jorge Luis Borges, perché la struttura narrativa di quest'opera sarebbe sicuramente piaciuta allo scrittore argentino, grande amante delle ragnatele esistenziali intrecciate dal caso. Film televisivo che rifugge dalle semplificazioni e dalle convenzioni del medium scelto, Decalogo è dominato dalla presenza di quell'elemento unificante rappresentato dalla casa-alveare da cui prendono avvio tutti gli episodi. La scelta di un unico ambiente ha una funzione sineddotica, in quanto, con un abile procedimento di mise en abyme, mira a creare un micro-universo rappresentativo di una realtà più grande, se non addirittura del mondo intero. Il falansterio del quartiere varsaviano di Stowki diventa quindi un ottimo terreno per esperimenti, un laboratorio ideale in cui far reagire i personaggi dopo averli messi a contatto con situazioni morali estreme.
Kieslowski non è un regista che privilegia la classe intellettuale piuttosto che il proletariato, o viceversa. Tutta la variegata realtà polacca trova diritto di cittadinanza nel suo film, e il fatto che nel condominio vivano fianco a fianco medici, artisti e operai, borghesi facoltosi e gente comune (mi è stato del resto assicurato che in Polonia questo non è affatto un caso-limite) fa sì che Decalogo risulti un campione adeguatamente rappresentativo del tessuto sociale contemporaneo.
Una delle novità più interessanti del Decalogo (e del cinema di Kieslowski in generale: vedi la trilogia dei colori, "La doppia vita di Veronica" o "Il caso") è costituita dal fatto che i personaggi si intersecano in continuazione, in modo che i protagonisti di un episodio diventano figure marginali in un altro: così Dorota e Andrzej compaiono fugacemente nel quinto episodio, Krzysztof nel terzo, il tassista e il dottore nel quarto, e il padre di Jerzy e Artur, che vediamo nell'ultimo episodio mentre viene inumato in cimitero, fa una breve visita a Zofja nell'ottavo). Anche qui è il caso a dirigere le varie storie e a fare, per così dire, da padrone incontrastato (del resto, Malraux sosteneva che solo "la morte trasforma la vita in destino", mentre prima è tutto una serie di caotiche e fortuite coincidenze). Meglio ancora, si potrebbe dire che sono le storie (intese come strutture diegetiche) a rimandare in continuazione all'idea del caso. Nel quinto episodio, ad esempio, il montaggio alternato permette di seguire contemporaneamente le vite dei tre personaggi, Jacek, il tassista e l'avvocato, che alla fine, per caso appunto, si intrecciano indissolubilmente, dopo essersi a lungo sfiorate (l'avvocato si trovava proprio nello stesso bar in cui aveva sostato l'omicida prima di compiere il suo delitto). Kieslowski è molto abile nello sfruttare al meglio le risorse del decoupage al fine di suscitare nello spettatore l'idea della casualità come molla insopprimibile dell'agire umano. Oltre al montaggio alternato, un altro metodo utilizzato scientemente dal regista è quello di delegare a un elemento simbolico il compito di intervenire a più riprese nella storia per ricordare che il caso è in agguato, e in qualsiasi momento può far deviare le nostre esistenze dai rigidi binari della normalità. Basti pensare al cassetto difettoso dell'automobile che, nel nono episodio, si apre all'improvviso, facendo scoprire a Roman il quaderno dell'amante di Anka, e che in seguito si aprirà ancora diverse volte facendo riaffiorare ogni volta il sospetto del tradimento della moglie. Si tratta in fondo dello stratagemma che, da Otello in poi, tutti gli autori hanno adoperato per far insorgere il dubbio dell'infedeltà coniugale e scatenare l'ossessione della gelosia, ma non c'è dubbio che Kieslowski ne faccia qui un utilizzo audacemente metanarrativo, inserendolo nella maniera più appropriata all'interno di quella che è una vera e propria metafisica della casualità.


INDIVIDUALE E SOCIALE

Quello di Decalogo è una sorta di universo in vitro, centripeto e autosufficiente, che risponde perfettamente all'esigenza pseudo-scientifica del regista di estrapolare dalla caotica frammentarietà della vita umana alcuni episodi in grado di assurgere a paradigmi di una situazione sovraindividuale, come tale generalizzabile senza difficoltà. Ecco spiegata la scelta dell'astrazione e dell'apologo, ecco perché ogni episodio vive di pochi personaggi, ed ognuno di essi viene a ricoprire una ben definita posizione morale, ecco soprattutto la ragione, già evidenziata in precedenza, della presenza di un unico ambiente, il palazzone di periferia, facilmente identificabile. La natura concentrazionaria, claustrofobica, dell'enorme condominio è comune anche agli altri ambienti diegeticamente contigui (come il carcere o l'ospedale), tanto è vero che gli episodi che funzionano meno (mi riferisco soprattutto al terzo e al settimo) sono proprio quelli che hanno una struttura in progress, centrifuga, che si sforza di uscire dal ristretto habitat di partenza.
Quanto si è detto non deve indurre a pensare che nel film la realtà sia assente. Anzi, i personaggi sono ripresi spesso mentre sono al lavoro o intenti ai loro hobby ed occupazioni (il decimo episodio è addirittura interamente incentrato sulla "mania" filatelica di Jerzy e Artur), e la cornice ambientale non è un semplice accessorio alle dieci storie, ma un qualcosa di stimolante e vitale. Tuttavia, nonostante la forte impressione di realismo che promana dal film, è altrettanto vero che la realtà non influenza più di tanto i personaggi, essendo questi soprattutto coinvolti in problematiche per così dire metafisiche e astratte, in un "a priori" che è legato ovviamente alla realtà (e come potrebbe essere altrimenti?), ma trova la sua origine e ragion d'essere principalmente in interrogativi etici ed esistenziali.
E' per questo motivo che il Decalogo è scarsamente calato nel sociale e nel politico, con l'unica, importantissima eccezione del quinto episodio (e marginalmente del terzo, per la sconvolgente sequenza notturna al Servizio per la disintossicazione). In Decalogo 5 Kieslowski, identificandosi per la prima volta in uno dei suoi personaggi, l'avvocato Piotr, si lancia in una appassionata invettiva contro la pena di morte, mostrando nella maniera più choccante l'intollerabilità di un sistema barbaro e selvaggio, indegno di un paese che si proclama democratico. "La legge – sostiene l'avvocato – non dovrebbe imitare la natura, dovrebbe correggerla… La pena è una forma di vendetta, specialmente se mira ad arrecare il male e non a prevenire il delitto… Questa funzione deterrente della condanna è solo una funzione intimidatoria,… non è che una dubbia giustificazione della severità di una pena". Sono tutte affermazioni di perentoria programmaticità, ma l'indubbio didascalismo dell'episodio è temperato dal fatto che il regista rifiuta ogni preconcetta simpatia per i personaggi (da una parte il tassista è un essere viscido e abietto, dall'altra Jacek è un ragazzo irrimediabilmente malvagio, senza alcun alone romantico o dostojevskijano da eroe maledetto) e dalla capacità di esprimere il rifiuto della pena di morte piuttosto con la minuziosa, rivoltante descrizione dei preparativi dell'esecuzione che attraverso le riflessioni deontologiche dell'avvocato. Alla fine dell'episodio, accanto alla inattesa rivelazione dell'umanità di Jacek (perché nessun uomo è davvero un mostro, in fondo ad ogni rifiuto della società si cela la nostalgica consapevolezza che la propria vita, in altre circostanze, sarebbe potuta andare diversamente), emerge la convinzione che l'enormità del suo delitto, così brutale e insensato, non è nulla in confronto all'omicidio freddo, razionale e privo di emozioni, di cui la società cosiddetta civile si macchia senza neppure soffrire di un menomo senso di colpa.
Così singolare e diverso rispetto agli altri episodi, anche Decalogo 5 è tuttavia legato ad alcune suggestioni comuni. Il sasso che Jacek fa cadere dal cavalcavia ha infatti lo stesso significato (anche se, ovviamente, non le stesse conseguenze) del bicchiere lasciato cadere da Dorota nel secondo episodio: entrambi i gesti sono in fondo espressioni dello stesso malessere esistenziale. E l'assassinio immotivato di uno sconosciuto non rivela forse la stessa disperazione della defoliazione della pianta da parte di Dorota o delle folli corse in auto di Ewa? Per non parlare, infine, della legge che Kieslowski mette spietatamente sotto accusa e che rimanda a quell'altra Legge, indecifrabile e crudele, cui tutti i personaggi del Decalogo rivolgono silenziosi appelli destinati a rimanere inascoltati.


LA SALVEZZA

Il quinto episodio tocca nel vivo, nella maniera più dolorosa che si possa immaginare, il nervo scoperto dell'"essere al mondo". Nonostante questo, non mi sento di affermare che Kieslowski sia un autore radicalmente pessimista e che nel Decalogo sia preclusa ogni forma, sia pure utopica, di salvezza. Lo sguardo entomologico del regista e l'accettazione della scabrosa problematicità dell'agire umano lasciano infatti aperta più di una porta alla speranza e all'illusione. A questo proposito vengono provvidenzialmente in soccorso gli ultimi film di Kieslowski: "La doppia vita di Veronica", che riprende una tematica appena accennata nel nono episodio del Decalogo, esalta la serena accettazione dei propri limiti (la malattia al cuore delle due protagoniste) e la scelta di una vita semplice a scapito della corsa inebriante alla fama e al successo; "Film blu" si conclude con una solenne celebrazione della forza rigeneratrice dell'amore; "Film rosso", infine, riscatta la gretta vita dell'anziano giudice per mezzo della feconda sperimentazione della solidarietà verso il prossimo. Ecco, rispetto per la vita, amore e solidarietà sono precisamente i temi che compaiono in tutti gli episodi del Decalogo. Alcune volte sono destinati a soccombere, altre volte rimangono sospesi in un avvenire incerto e pieno di incognite, ma è pur sempre in essi che Kieslowski identifica il baricentro di ogni comportamento "morale", i valori da seguire quando si vuole scegliere consapevolmente e non essere vittime delle circostanze. A queste condizioni, la casualità (quella concatenazione di cause ed effetti per cui una farfalla che sbatte le ali a Tokyo può provocare un ciclone a San Francisco) può venire ribaltata in autocoscienza, ossia nella lucida e fattiva consapevolezza di essere la minuscola rotellina di un gigantesco ingranaggio che non si potrà mai giungere a comprendere fino in fondo. Allora, accettati questi limiti, si può perfino sorridere delle proprie peripezie (come nel decimo episodio) oppure sperare fiduciosamente in un miracolo (vedi il secondo e il nono episodio). Giunto di fronte a questa soglia fatidica, Kieslowski si arresta. Egli non illude, non teologizza, non dà risposte, ma dietro quella che sostanzialmente è la sua concezione tragica dell'esistenza riesce ugualmente a fare intravedere uno spiraglio, una via d'uscita, la quale non prevede né Dio né una qualche ideologia di sorta, bensì lascia intuire un'immensa, irrazionale fiducia nei confronti del genere umano, con tutte quante le sue miserie, le sue debolezze, i suoi peccati. E noi siamo con lui.

impanicato  @  04/11/2014 01:00:21
   8½ / 10
Krzysztof é un professore universitario ed un uomo di scienza che vive con il figlio Pawel. Il padre é un fanatico dei computer e pensa che tutto sia calcolabile tramite essi al punto che affida la vita di suo figlio ad un'intelligenza e divinitá artificiale e inevitabilmente ne soffre.
Primo del progetto del "Decalogo", esamina il primo comandamento, ossia "Sono il Dio tuo. Non avrai altro Dio all'infuori di me" e lo fa piú che bene comparando ragione e irrazionalitá e trattando della vita e della morte, rappresentati dal padre e dalla zia del povero bambino. Nulla é certo e nulla é possibile da stabilire, esiste sempre l'inconveniente che rovescia le convinzioni.
Mi ha impressionato l'immagine della ******* con quelle lacrime di cera, sublime.
Tutta l'atmosfera, dai palazzi alle strade innevate mi é piaciuta. Ottimo.

leonida94  @  29/07/2013 19:54:56
   8½ / 10
Primo capitolo dell'ambiziosa serie sui 10 comandamenti.
Che dire ? Una trama perfetta che riesce a trattare svariati concetti in un tempo limitatissimo (appena 50 minuti), senza risultare meccanica e senza tralasciare nulla. Tra gli spunti che offre la visione di tale pellicola vi è la grande domanda sul senso della morte e una critica all'uomo moderno troppo tracotante e talmente attaccato alla sua "natura" razionale (fittizia) da non non considerare la potenza del caso (/Dio).
Insomma, un modo per tirare le somme sulla propria vita, ragionando su alcuni concetti che troppo spesso vengono accantonati, forse per pigrizia.
Ottima la regia.

deadkennedys  @  31/08/2012 13:32:50
   8 / 10
Primo capitolo : Non avrai altro Dio all'infuori di me.
Un professore, uomo di scienza, non crede in Dio e cerca anche di convincere il figlio dell'inutilità della preghiera. Il suo credo è la matematica, la razionalità più totale.
La grandezza di Kieslowski, quì come in altri episodi del Decalogo, è quella di portare i protagonisti e l'obbligo divino insito in ognuno dei 10 comandamente all' estreme conseguenze.
Il professore si troverà costretto a rivalutare le sue convinzioni.
Tutto il Decalogo è una vera e propria lezione di cinema.

bulldog  @  31/07/2012 08:59:09
   8 / 10
Il primo capitolo del decalogo di Kieslowski è cinematograficamente strepitoso nei suoi silenzi, nella sua gelida fotografia e nelle sue metafore.

Il messaggio metafisico di fondo rimane tuttavia in superficie e la storia si dispiega in maniera alquanto ordinaria.

The BluBus  @  03/06/2012 00:06:13
   9 / 10
Il tentativo di rendere la vita qualcosa di deterministico creandosi uno pseudo dio elettronico, scelta che verrà pagata a caro prezzo.

gemellino86  @  19/03/2012 22:57:57
   10 / 10
Kieslowski riesce a fare 53 minuti di pura poesia e questa è una dote di pochi registi. Non si può non dare il massimo al primo della serie del Decalogo. Un capolavoro su ogni punto di vista.

Gruppo COLLABORATORI Compagneros  @  16/02/2012 18:39:18
   8½ / 10
A Kieslowski basta meno di un'ora per rendere ottimamente il confronto-scontro tra scienza e religione. La scienza è la fede di Krzysztof, ad essa si affida ciecamente, fino alle tragiche conseguenze.
Ha sbagliato la scienza o lo scienziato? Sbagliano le scritture o gli esegeti? In un caso o nell'altro l'uomo è costretto a confrontarsi con la propria finitezza.

Oskarsson88  @  08/10/2011 13:05:40
   9 / 10
Un condensato di emozioni e riflessioni in una gelida atmosfera polacca. Interrasanti tutti i personaggi, dal padre che crede nel computer e quindi nella scienza, contrapposto alla zia fedele al padreterno. In mezzo ai due, un bambino intelligente e curioso alla ricerca di alcune risposte importanti. Bellissima la scena della *******. Splendide anche le tristi musiche. Applausi per Kieslowski, in questo suo primo mediometraggio.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Edgar Allan Poe  @  03/08/2011 13:14:10
   8 / 10
Il primo episodio del "Decalogo" di Kielowski si merita, secondo me, quest'otto soprattutto perchè lascia trapelare l'idea che la scienza non può essere esatta, in quanto per l'esattezza deve esserci perfezione, e il mondo non è perfetto. La perfezione è in questo caso rappresentata da Dio. Sicuramente un film interessante, anche se già dal momento in cui padre e figlio

Nascondi/Visualizza lo SPOILER SPOILER avevo già previsto tutto da lì in poi, questo forse può essere qualcosa di negativo, forse no...
Per quanto riguarda il settore tecnico (regia e tutto il resto) molti spunti positivi.
Il primo film di Kielowski che vedo, e sarà a breve seguito da "Film Blu", poi riprenderò con il "Decalogo".

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento tylerdurden73  @  26/07/2011 14:04:41
   8½ / 10
"Non avrai altro Dio all'infuori di me".
E' il primo comandamento ad ispirare Krzysztof Kieslowski in questo episodio che apre un'opera ambiziosa ed affascinante costituita da dieci mediometraggi e intitolata "Decalogo".
Il regista polacco racconta dell'appassionato legame tra un padre,stimato professore universitario e il figlio,brillante ragazzino animato da una profonda curiosità inerente i misteri dell'esistenza.Secondo il genitore attraverso l'intelligenza artificiale di un computer è possibile raggiungere risposte esaurienti senza possibilità di errore.In realtà anche alle precise elaborazioni del macchinario sfuggono gli argomenti cui il ragazzino riceve regolarmente spiegazioni di diversa natura.Approssimative da parte del padre,per contro indirizzate dalla fede, quindi concettualmente astratte, da parte della zia.Il piccolo Pawel si trova in mezzo a due correnti profondamente differenti che si intrecciano spingendo l'autore a dolorose conclusioni sull'imponderabilità della vita mediante una visione laica assolutamente in bilico tra scienza e religione.Come un calamaio che si infrange d'improvviso,come un pc che si accende senza che nessuno lo tocchi allo stesso modo alcune cose si verificano in barba ad ogni logica.La tragedia è dietro l'angolo con Kieslowski che conduce l'irremovibile razionalità alla disgregazione, osservando il tutto con pietosa indulgenza e incarnando un senso di colpa che trova uno sfogo disperatamente umano.

7219415  @  22/04/2011 14:50:59
   8½ / 10
Ottimo mediometraggio!! davvero da vedere..

dave89  @  18/07/2010 18:22:48
   8½ / 10
ottimo film...da vedere

Ciaby  @  14/07/2010 14:26:28
   10 / 10
Un meraviglioso incipit per un'opera monumentale. Sono lacrime amare che incombono in u nfinale che strappa il cuore. Capolavoro.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR elio91  @  10/09/2009 14:08:19
   9 / 10
Gruppo COLLABORATORI SENIOR Ciumi  @  05/07/2009 16:29:40
   8½ / 10
Non avrai altro Dio all'infuori di me, recita il primo dei dieci comandamenti. E alla fede in esso Kieslowski contrappone quella nella scienza esatta.
Nel cuore di un'umanità gelata, dissemina la sua storia d'indizi, d'avvertimenti, di rivelazioni mistiche, mettendo in discussione il dio-calcolatore freddo e razionale.
Soltanto nel dolore della tragedia riaffiorano chiare le tracce di quell'unico vero Dio, onnipotente, e la disperata necessità di pregarlo.

Invia una mail all'autore del commento wega  @  01/07/2009 20:30:17
   8½ / 10
"Io sono il D.io tuo. Non avrai altro D.io all' infuori di me". 'Mazza che complicato questo Decalogo, servirebbero dieci visioni e più per ogni capitolo. Una Varsavia ghiacciata e il condominio abitato da tutti i protagonisti dei dieci episodi. Il bisogno dell' Uomo di avere Fede, un finale (il bagnarsi con l' acqua Santa dopo quel che potrebbe essere un segnale di D.io, e cioè la cera che cola sulle guancie della Vergine, tra l' altro interpretabile anche razionalmente come un semplice incidente e basta) abbastanza eloquente in questo senso; il Caso (l' improvvisa malattia dell' insegnante di Inglese, il fuoco acceso dal barbone) come filo conduttore di tutte le opere di Kieslowski, e non solo il Decalogo. Forse il Decalogo 1 è il più rappresentativo, se non la summa del Cinema kieslowskiano. Il padre Kryzstof crede nell' ordine matematico delle cose, è uno di quelli che conta sul serio fino a dieci per riuscire a fare qualcosa, e crede nell' "A.I.", intelligenza che si sostituisce a D.io nell' esistenza di quest' uomo, e che gli si rivelerà una tragedia. E dopo il venir meno di tutte le certezze, che cosa resterà nella vita di questa persona? E' questo il bello del "Decalogo", K. non da' sicuramente risposte, tocca allo spettatore coglierne i simbolismi, interrogarsi o scegliere se esserne illuminati o meno. E proprio sulla scelta di una persona si snoda tutto il percorso drammatico del secondo capitolo.

Yuri Orlov  @  31/05/2009 10:55:40
   9 / 10
"Non avrai altro Dio al di fuori di me" è una riflessione sul confronto tra la razionalità di Krzysztof, un professore il cui unico credo è rappresentato dal computer - con cui riesce a calcolare tutto o quasi - e la spiritualità della sorella cattolica. Nel mezzo sta il piccolo Pawel, figlio di Krzysztof che allo stesso tempo ha ereditato dal padre la passione per il calcolatore e si interroga su concetti quali vita, morte, anima.

Nel frattempo, è sempre vigile un muto personaggio (Dio?) che osserva lo svolgimento della storia dall'esterno.


Nascondi/Visualizza lo SPOILER SPOILER

Ottimi gli interpreti, che si muovono in un ambiente squallido - un grigio casermone nella periferia di Varsavia - e ottime le loro espressioni.

luca2012  @  13/04/2009 13:23:02
   10 / 10
Tristissimo, per me il più bello dei 10.

The Passenger  @  20/08/2008 13:04:23
   9 / 10
Consiglio vivamente di vederlo a chiunque, è un pezzo del decalogo che fonde filosofia e scienza, anima e tecnologia, ponendo in risalto gli errori umani nei confronti del Fato.

davvero interessante

giax-tommy  @  24/02/2008 19:29:17
   9 / 10
Eccellente sicuramente per quantità di spunti proposti in relazione al tempo.
Ogni scena è ottimamente congeniata,essenziale e propositiva.
Mi è piaciuto moltissimo quel personaggio,particolarmente emblematico,che simboleggia il caso,da cui nemmeno la fisica può scamparsela.
La totale fiducia nel calcolo,riduce l'uomo a pensare che il calcolo si risolva da se,dimenticando che proviene da nosti presupposti,presupposti umani e quindi vittime del caso.

Gruppo COLLABORATORI julian  @  20/01/2008 01:36:39
   8½ / 10
Io sono il signore Dio tuo. Non avrai altro Dio al di fuori di me.

Si comincia con il primo e fondamentale comandamento.
Dio ci impone di non riconoscere in altri la sua autorità, ma Krzysztof è un ateo professore che si affida solo al computer, all'epoca un semplice calcolatore molto ingombrante.
A Kieslowski sarà venuto lo scrupolo di fare un film del genere anche per l'avvento sul mercato di queste macchine terribili nelle quali, forse l'aveva già capito, avremmo davvero riposto tutta la vita.
Il racconto si dipana con dolcezza, la tenera vita di padre e figlio, di tanto in tanto interrotta da domande un pò troppo complicate sulla vita, cose a cui il computer nn può rispondere.
L'armonia si spezza, il ghiaccio sul quale pattinava il bambino e che secondo il computer avrebbe dovuto sorreggere il peso, si rompe
E fa rabbrividire la metafora della boccetta d'inchiostro rotta che libera una chiazza nera su fondo bianco, proprio come una pozza di acqua scura che si intravede tra i ghiacci...
Le immagini trafiggono, i volti colpiscono, le urla soffocate agghiacciano.
E' il primo peccato infranto, eccone le conseguenze.

1 risposta al commento
Ultima risposta 04/02/2008 03.06.30
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento emans  @  19/01/2008 18:18:12
   9 / 10
un'ora davvero emozionante!
è gia stato detto tutto dagli altri...solo che io non ho ancora visto gli altri perche ho deciso di vederli secondo la giusta successione...
ottime le musiche che accompagnano una storia tristissima!
non mancano alcuni momenti di estrema lentezza ma si sa...il cinema polacco...
comunque rimane uno splendido film!

wight  @  25/12/2007 22:40:18
   10 / 10
Una bellissima riflessione su un mondo chiuso solo nella scienza, nella calcolabilità nel mito che ci sia una infallibilità raggiungibile dall'uomo con i suoi mezzi trasformati da mezzi a idoli. Drammatiche le sequenze finali.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento kubrickforever  @  13/12/2007 09:23:32
   9 / 10
Stupendo. Kieslowski ci racconta la storia di Krzysztof, docente che vede nel computer una sorta di Dio tanto da dare per certo ogni suo calcolo.
Commovente, agghiacciante. La musica si amalgama perfettamente con le immagini.

Gruppo COLLABORATORI ULTRAVIOLENCE78  @  19/09/2007 15:23:58
   9 / 10
DEI 10 CAPITOLI QUESTO E' QUELLO CHE MI HA IMPRESSIONATO DI PIU'. ELOQUENTISSIMA E MAGNIFICA L'IMMAGINE DEL CALAMAIO CHE SI SPACCA CO L'INCHIOSTRO CHE SI SPANDE: "L'IMPONDERABILE".

AKIRA KUROSAWA  @  14/09/2007 14:32:21
   9 / 10
il primo della serie.. bellissimo..tanti i temi trattati in soli 50 minuti di film..e secondo me nonostante cio riesce ad approfondirli molto bene..
davvero bellissimo, fa riflettere.. bravo kieslowski..

Gruppo COLLABORATORI Harpo  @  10/09/2007 16:37:50
   9½ / 10
A mio parere, "Decalogo 1" è sicuramente il migliore, il più completo, il più profondo episodio della serie. Kieslowski incentra la vicenda su un piccolo nucleo famigliare formato da tre persone (padre ateo, zia credente e piccolo figlio) analizzando grazie ad esso il ruolo di Dio nella vita di ognuno di noi. Davvero sconvolgente.

sestogrado  @  25/08/2007 17:23:15
   9 / 10
commovente e forte. forse uno degli episodi più intensi del meraviglioso decalogo di Kieslowsky. l'atmosfera cupa ed invernale ben riflette lo stato di tristezza dell'episodio. stupendo

Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  13/08/2007 19:16:32
   9 / 10
La bellezza del Decalogo nel suo insieme è il distacco di Kieslowski mantiene dalle storie che racconta. Non ci sono morali, non fornisce lezioni o certezze di alcun tipo. Nel primo episodio demolisce la razionalità pura di un uomo di scienza mettendolo di fronte a un qualcosa che va oltre la ragione e si scontra nell'amara realtà dell'imponderabile. Bellissimo e struggente il finale con la musica di Preisner.

Gruppo COLLABORATORI Terry Malloy  @  13/08/2007 15:11:57
   8½ / 10
bellissimo episodio sull'assenza di un vero Dio nella società moderna. l'uomo si costruisce altre certezze e non è per questo che soffriamo e soprattutto non è colpa di Dio (e nemmeno del Dio che ci costruiamo), ma di noi.

Beefheart  @  16/06/2007 19:49:51
   7½ / 10
Primo dei dieci mediometraggi, girati per la TV, dedicati agli altrettanti comandamenti cattolici. In questo "Io sono il Signore tuo Dio, non avrai altro Dio all'infuori di me", il regista sceglie un bambino di dieci anni: Pawel, immagine di fervida innocenza, per bocca del quale esporre dubbi ed interrogativi religiosi ed esistenziali, del tipo: "Dio esiste?", "Chi è Dio?", "Cos'è l'anima?"
Il padre, separato, laico e razionale, e la zia, fortemente religiosa, sono le due voci/filosofie, contrapposte, che il piccolo ascolta e dalle quali impara. Il bambino è quindi il mezzo che veicola le domande dell'individuo/spettatore di fronte al mistero della fede, alle quali, ovviamente, non viene data risposta. Se da una parte infatti Kieslowski "diffida" della razionalità totale, dall'altra non concede troppa gratificazione alla fede. In altre parole non sa, non vuole, decidersi. Visto il risvolto fortemente drammatico forse il risultato è un po eccessivo per durezza ed irrimediabilità, a monito di un Dio vendicativo ed implacabile; per il resto, direi azzeccata la fotografia fredda e spenta come il gelido inverno polacco, l'ambientazione grigia e deprimente del complesso di palazzoni tra i quali avvengono i fatti e la convincente recitazione dei protagonisti (bravissimo Wojciech Klata nel ruolo del piccolo Pawel). Molto semplice e lineare la sceneggiatura.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento agentediviaggi  @  30/04/2007 21:46:04
   8½ / 10
Non potevo non commentare il mio unico Kieslowski visto. Un piccolo grande film sull'assenza di fede e di spiritualità nell'animo umano. Il docente vive ottimisticamente questo suo agnosticismo e la fiducia assoluta nella scienza e affida la sua esistenza alle previsioni infallibile del computer fino alle tragiche conseguenze che non racconto (anche perchè lo fa la trama).
Al di la della lezione morale della punizione divina che subisce il protagonista per aver rinnegato Dio in nome della scienza, è un film che ci insegna che le cose della vita sono imprevedibili ed è meglio che lo siano, sia nel bene (fa sempre piacere che accada un qualcosa di inaspettatamente bello) sia nel male (non fa piacere a nessuno sapere quando ci accadranno cose negative tra cui la morte). Triste.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  04/02/2007 14:44:58
   8½ / 10
L'analisi spirituale/filosofica di Kieslowsky si puo' anche non condividere, ma il film reca un pathos, una suggestione, un dolore veramente sconvolgenti.
Raramente (nemmeno Moretti c'è riuscito completamente) un film ha parlato allo spettatore del dolore di una perdita e della propria rimozione/revisione di coscienza in modo tanto commovente, incisivo e profondo

2 risposte al commento
Ultima risposta 07/02/2007 07.37.05
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devis  @  06/01/2007 17:49:40
   6½ / 10
Bel filmetto di 50 minuti. Lascia comunque una tristezza infinita.
Niente è prevedibile e solo Dio può decidere della nostra fine (Non avrai altro Dio al di fuori di me e anche il computer non può sostituirsi a Lui)

la mia opinione  @  11/11/2006 13:05:24
   9 / 10
Inquietante ma straordinario un piccolo grande capolavoro veramente sulla scia di Tarkovskiy bello molto bello, per palati fini.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento Zazzauser  @  07/09/2006 02:09:38
   9 / 10
Bellissimo, il Dekalog Jeden, opera di un Kieslowski che insieme a Munk e Wajda è il migliore regista polacco di tutti i tempi. Questo primo episodio è toccantissimo, senza mezzi termini, una critica alla scienza, alla matematica, a chi con i tempi che corrono resta ancora legato a numeri e formule. Il padre ha giocato con Dio, ha dimenticato Dio, non crede nell'anima, il "Non avrai altro dio al di fuori di me" per lui non ha senso, l'unico suo Dio è la scienza ed il calcolo razionale. Ha sfidato la natura, ha affidato la vita del figlio ad un computer e Dio e la natura gli hanno dimostrato tutti i suoi sbagli.
L'uomo sfida la morte, ma la morte va oltre alla razionalità, e pensare di poterla sconfiggere affidandosi a quello che dice una macchina, che non conosce morte nè prova sentimenti (ma in questo film, secondo me li prova), è un errore madornale, ed il padre viene punito per questo.
Io non credo nella morte come destino ineluttabile, non sono d'accordo con Attila Joszef che nella sua poesia "Il postino" asserisce che "il dolore" (secondo me inteso come morte) è un postino grigio e silenzioso, col viso asciutto, che girando per le strade sparisce nei portoni recando lettere, ed a queste lettere non si può sfuggire, non ci si può rifiutare di aprirle. Però sono d'accordo sul fatto che non bisogna mai sfidare la morte perchè aspetta ogni nostro passo falso per portarci con sé.
Ultima cosa: sicuramente con questo film Kieslowski si dimostra ostile all'eccessiva razionalità, ma non so fino a che punto si dimostri a favore della religione, di Dio e dei comandamenti...

ds1hm  @  30/06/2006 11:51:17
   9½ / 10
il primo episodio del decalogo introduce lo spettatore ad un opera unica del cinema mondiale. tanti sono i difetti di quest'opera, spesso le trame troppo complicate rendono difficile la condivisione dello stile. ma l'idea di base era e resterà unica. il primo episodio è abbastanza semplice. stupendo lo stile narrativo, quel crescere di disperazione che ti lascia senza respiro. tocca al n.1 iniziare la narrazione attraverso riferimenti simbolici. le immagini si colorano di buio quando al padre del bambino gli cade l'inchiostro sul foglio, quella macchia blu che si allarga: ormai è troppo tardi, anche per i soccorsi. una delle sere più gelide che il cinema abbia mai raccontato, quell'intrusione dell'imprevisto nella vita umana che ti lascia semplicemente impotente.

Crimson  @  19/04/2006 15:59:15
   8½ / 10
'Decalogo 1' mi pone al centro di due riflessioni: da una parte quella relativa ad una società sempre più tecnologica che sostituisce gradualmente le azioni dell'uomo. Dall'altra quella che fà riferimento all'approccio dell'uomo nei confronti della vita e della morte.
Sono due temi che a mio avviso sono collegati dal personaggio del padre. Tramite la sua esperienza c'è da chiedersi fino a che punto possa arrivare la pretesa, a volte anche inconscia, di concepire l'ordine delle cose sotto un'ottica squisitamente razionale. E a tal proposito entra in gioco anche il discorso relativo alla macchina. Il padre arriva ad affidare l'incolumità, anzi diciamolo chiaramente, la vita stessa del figlio ad una macchina, senza tenere in considerazione minimamente la possibilità di errore da parte della stessa. Mi ha colpito molto il suo atteggiamento in seguito alla sparizione del figlio, e in particolare quando riferendosi al ghiaccio esclama "non si poteva rompere" come se fosse un concetto assoluto e indiscutibile, solo perchè lo aveva stabilito il computer.
E' un ottimo spunto di riflessione. In effetti l'uomo che ha un'approccio razionale alla vita cerca di tenere sotto controllo tutto spiegando la vita stessa tramite evidenze (il padre). Ma secondo me una mera razionalità non è esplicativa del senso della vita perchè ci son cose che sfuggono anche alla ragione, anche se per carità non significa che necessariamente debbano essere attribuite ad un'entità ultraterrena. Il fatto è che le due eterne posizioni rimarranno sempre distanti, basta mettere a confronto i due meravigliosi e profondissimi dialoghi padre/figlio e zia/nipote.
Otto e mezzo perchè secondo me questo capitolo nella parte finale perde qualcosina. Non mi è piaciuta molto la parte delle ricerche, alcuni elementi mi sono sembrati un pò troppo protratti ma questa impressione non ha intaccato alla fine più di tanto la mia valutazione entusiasta di questo capitolo. Uno dei miei preferiti del decalogo, di un regista che tra l'altro non mi fà impazzire.

"Lesson first: submission. We're docile servant dogs. Our leashes are your limbs computed deep within"

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Ultima risposta 21/04/2006 14.58.16
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alesfaer  @  17/10/2005 22:14:49
   2 / 10
bah.... nn capisco i vostri toni entusiastici. forse nell'89 cn gli albori della tecnologia(ma neanke tanto eh) aveva 1 altro valore....sarà! ma visto ora è 1 deforme mattone cinematografico di 50 minuti e passa. il solo pensiero ke ce ne siano altri 9 mi fa rabbrividire. noiosissimo!

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Ultima risposta 11/03/2008 18.24.48
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Dziga  @  17/10/2005 20:29:18
   10 / 10
l'ho visto ieri.una vera e propria opera d'arte...forse perchè ti fa pensare intensamente o forse ti lascia decidere o forse ci devo ancora pensare :) .mi ha colpito tanto...prossimamente mi vedro' gli altri!

viagem  @  04/10/2005 15:12:38
   8 / 10
L'ho visto a 16 anni al liceo e mi aveva impressionato già all'epoca.
Opera davvero pregievole.

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Ultima risposta 25/04/2006 14.17.20
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polbot  @  14/09/2005 13:54:24
   8 / 10
blasevic  @  12/07/2005 00:07:28
   10 / 10
un regista poco pubblicizzato ma capace di un vero capolavoro: il decalogo.
molto emozionante, profondo e intenso.


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Ultima risposta 31/07/2005 13.35.28
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