Sei un blogger e vuoi inserire un riferimento a questo film nel tuo blog? Ti basta fare un copia/incolla del codice che trovi nel campo Codice per inserire il box che vedi qui sotto ;-)
Anche se alla fine di un percorso diventato ormai prolisso e verboso intento alla comunicazione di un preciso discorso cinematografico, DODESUKADEN rimane un interessante lavoro di Akira Kurosawa, che per quanto perda in riflessione diventando maggiormente didascalico e quasi unicamente emotivo, si presenta come il primo film a colori del regista (con un ritorno all' "aspect ratio" ridotto), che può accentuare la propria pittorica proposizione dell'immagine e progredire nel suo stile rappresentativo, non solo con uno specifico utilizzo dei colori. La coralità dei personaggi, tutti reietti o disadattati, e degli avvenimenti che li vedono protagonisti sullo sfondo della stessa baraccopoli, propone qualcosa di ramificato nella stessa filmografia dell'autore e contiguo alle sue tematiche sociali e veriste, poderose nel definire quella povertà che ha caratterizzato il Giappone nel dopoguerra.
Non ho mai amato eccessivamente Dodes'ka-den, aggiornamento in chiave contemporanea dei Bassifondi di qualche anno prima, in cui viene descritta attraverso piccole microstorie quotidiane una condizione umana che non è affatto cambiata dall'epoca della precedente pellicola. Molta bella l'ambientazione, pressochè un mondo a parte rispetto ad ogni contesto cosidetto civile, ma non tutte le storie ed i personaggi hanno al stessa forza della pellicola precedente non certo favorita da un ritmo eccessivamente lento e personalmente da una messa in scena emotivamente fredda e distaccata.
Kurosawa aveva ragione... il film che si rivelò un flop e lo portò ad un passo dalla morte per suicidio in realtà è una delle massime espressioni artistiche del regista; tra le opere che indagano a fondo l'animo umano nella miseria è la punta più alta mai toccata dal nipponico e se Kurosawa voleva omaggiare Dostojevskij e riprenderne i temi bastavano le ottime prove precedenti ma questo film è la conferma di come si possa toccare lo stesso tema più volte restando sempre originali o addirittura migliorandosi. Assurdo come possa essere stato alla sua uscita un fallimento,e comprendo benissimo la depressione di Kurosawa che lo porterà a tentare il gesto estremo: in Dodes'ka-den c'è davvero la sua anima.
è il primo film a colori per il regista e ne sfrutta appieno i cromatismi: indimenticabili le scene di fantasia del vagabondo padre che racconta al figlio disgraziato la casa che costruirà un giorno; qui i toni sono variopinti e gioiosi e vanno a cozzare con lo sporco e la decadenza trasandata degli ambienti in cui provano a vivere i due,per poi arrivare ad una trasfigurazione fisica impressionante ed abominevole quando la morte si avvicinerà (il colorito del figlioletto asumerà sempre di più un colorito bluastro impressionante). è anche il primo film senza Mifune,compagno di un sodalizio indimenticabile. Spiace quasi dirlo ma la sua mancanza non si sente e Kurosawa ha dalla sua un cast di attori meravigliosi.
Non è da tutti raccontare così la miseria e l'umanità che si nasconde in essa. Il film non ha una sola storia ma tante che messe insieme ci offrono varie sfaccettature di vite disperate che tentano di affermarsi all'interno di un ambiente desolato e dimenticato da tutto. E se inizialmente tutto assume i caratteri grotteschi e tragicomici di una commedia dell'assurdo con il ragazzo che guida un treno che non c'è o il marito di famiglia sommerso da tic assurdi o gli ubriaconi che si scambiano le mogli,via via il significato delle cose cambia e tutto diventa più chiaro e struggente. Ogni storia è perfetta e per quanto su alcune ci si soffermi di più rispetto ad altre ognuna riesce a comunicare un desiderio di vivere nonostante tutto che colpisce. Come dimenticare il padre di 5 figli non suoi che racconta che cosa significa essere padre? E lo stoicismo e la rettitudine di un vecchietto che tenta di fare ciò che è giusto con l'arma della gentilezza? Ci sono ovviamente anche storie di squallore e violenze ma la pietà di Kurosawa e la sua capacità di aver trovato lirismo nelle situazioni più impensabili colpisce oggi come quarant'anni fa,anche se all'epoca fu certo frainteso molto di questo lavoro se non tutto. Ed ecco che si arriva al finale dopo che abbiamo conosciuto e salutato (in alcuni casi con la morte) una galleria di personaggi indimenticabili e da quel sentimento di riderci su che si aveva all'inizio,tutto cambia nel finale e il sorriso beffardo si trasforma in quello di una persona che ha capito. Sul ritmo ossessivo di "Dodeskaden-Dodeskaden" il ragazzo torna a casa sua col suo treno immaginario,forse l'unico ad aver realizzato davvero i propri sogni dato che ci vive dentro. I disegni alle pareti coloratissimi e infantili ora hanno un significato di speranza,magari una speranza inutile ma è l'unica che rimane per chi è buttato in un angolino del Giappone e lasciato da parte perché pensato come una cosa senza valore. Uno dei capolavori del regista senza dubbio.
Si tratta probabilmente del più bel film-omaggio a Dostojevskij che sia mai stato girato. A dire la verità non è una trasposizione di opere del grande scrittore (la sceneggiatura è tratta da una serie di racconti di Yamamoto del 1962) ma è piena dello spirito di dolore-solidarietà-ammirazione etica per i deboli-poveri-sfortunati-emarginati che anima intensamente gli scritti del grande scrittore russo. E’ inoltre un omaggio allo spirito di Fabrizio De Andrè, anche lui convinto che dal “letame nascono i fiori”. C’è poi in tutto il film un’atmosfera disincantata e irreale che fa apparire il film quasi come una trasposizione su schermo di un’opera tipo “Aspettando Godot”. Oltre al forte pathos umano e all’immediatezza del sentire, c’è anche lo stimolo ad astrarre e riflettere sulla condizione umana universale. E’ quindi un film molto ricco di stimoli etici e sentimentali, quasi assente invece il livello “spettacolare”. La cesura con i film precedenti di Kurosawa è nettissima. Forte forse del contemporaneo cinema intellettuale francese e italiano (la Nouvelle Vague e Antonioni), Kurosawa azzarda la scelta di privilegiare il contenuto sullo spettacolo, evitando qualsiasi compromesso con l’industria del cinema. Solo che chi si è fatto una certa “etichetta” è difficile scrollarsela di dosso. Cambiare improvvisamente campo estetico è un’operazione estremamente rischiosa (vedi “La donna di Parigi” di Chaplin) e anche in questo caso si è risolta in un fallimento. In effetti si rimane sconcertati fin dalle prime scene, in cui non si capisce per niente dove il film voglia andare a parare. Un ragazzino che si identifica in un tram e percorre un paesaggio fatto di rifiuti e baracche è qualcosa che lascia interdetti. Poi piano piano il film prende quota e si evidenzia la struttura filmica molto originale inventata da Kurosawa. In pratica con Dodes’ka-den Kurosawa ha creato il sistema di racconto a episodi di vita banale e insignificante (ma con valore universale) inframezzati fra di loro in maniera apparentemente casaule. In pratica ha anticipato l’Altman di Nashville e America Oggi. Il film si svolge esclusivamente in mezzo a queste baracche cadenti e poverissime (con rare puntate nel mondo “civile”) come se questo fosse il “vero” mondo. In questo ambiente estremo di degrado e abbrutimento si trova un’umanità molto ricca e varia, dagli ubriachi alle prostitute, dai caratteri imperiosi e cattivi alle persone umilissime e altruiste, chi sfrutta e chi si sacrifica. E’ un quadro umano veramente intenso, che colpisce tantissimo. Ci sono scene che trafiggono letteralmente l’animo e rimangono molto impresse. Anche questo film sfrutta la grande perizia visuale “teatrale” di Kurosawa. La disposizione dei personaggi, la loro espressione, il punto di vista della cinepresa, il gioco di luci e ombre è studiato in maniera maniacale. A questo si aggiunge il colore, che Kurosawa tratta come un oggetto da plasmare e creare. Quindi non è una proprietà intrinseca dell’immagine ma una creazione artistica. Molto bella anche la colonna sonora. Questo è il punto di vista dell’amante dell’arte. C’è da rivelare che il ritmo è molto lento e prevale la contemplazione sull’azione. Quindi l’attenzione è un fatto di volontà più che di istinto. Questo può ingenerare noia e rifiuto (io stesso ogni tanto ho provato lo stimolo allo sbadiglio). Capisco quindi il fatto che questo film si sia risolto in un grande insuccesso. Detto questo, però, c’è da dire che se preso per quello che è (uno stimolo a riflettere sui veri valori dell’esistenza umana) è un’opera che regala belle emozioni.
Meraviglioso capolavoro del maestro, che ricorda per molti aspetti I Bassifondi ma ne capovolge lo stile narrativo. Splendido affresco della miseria e dell'infelicità di vivere, dell'impossibilità di vivere nel reale. Caratteristico ed esemplare come sempre il lirismo di Kurosawa.
Bello anche questo film di Kurosawa che strizza l''occhio al nostro neorealismo, non nella forma ma nella scenografia in particolar modo a "Miracolo a Milano". Prima fotografia a colori per il maestro ovviamente a toni spenti, in questa pellicola il regista contrappone l''agio con il disagio, la città con la baraccopoli, contrappone musiche ad intensissimi silenzi e l''uomo (un pò tòcco), forse speranzoso che guida un tram immaginario, è un chiaro riferimento alla condizione sociale ed alle aspettative dell''immediato dopoguerra nipponico e di tutte le comunità ai margini sociali in generale. Anche in questo film si possono notare le riprese a più telecamere in contemporanea che permettono anche montaggi di sequenze prive di errori di continuità.
Un film che offre del Giappone un'immagine non convenzionale. Coraggioso averlo girato in un periodo in cui tutta la nazione era proiettata verso il trionfo economico e commerciale. I commenti che precedono hanno detto molto del film, che a me ha ricordato molto le atmosfere del neorealismo italiano; K. si rivela maestro dell'immagine e della inquadratura: la villa solo immaginata dal padre vagabondo, con colori che contrastano vivacemente con quelli, cupi, della sordida baraccopoli in cui vive è un capolavoro di immaginazione cinematografica. Certo l'opera è tutt'altro che leggera, priva di un vero e proprio svolgimento narrativo, ma la fatica dello spettatore, alla fine, è premiata.
Il primo film a colori del regista giapponese fu la sua opera più sofferta, un tale insuccesso da spingerlo al tentativo di suicidio. Sarebbe tornato dietro la macchina da presa dopo cinque anni. Forse incompreso da un pubblico di massa, 'Dodes'ka-den" mi è parso uno spaccato (in questo caso la parola non mi sembra fuori luogo) dei reietti nella società nipponica moderna. Queste baraccopoli ai margini di Tokyo mi hanno ricordato le ambientazioni di alcuni film italiani più o meno coevi ("Accattone", "Brutti sporchi e cativi"...), che mostravano sacche di povertà ancora esistenti nonostante il progresso economico. Un film poetico che può aiutare a capire qualcosa di un paese misconosciuto a noi occidentali.
è incredibile che kurosawa abbia tentato il suicidio per l insuccesso di questo film, il pubblico davvero nn capisce niente.questo film chiude la cosidetta trilogia dei poveri iniziata con bassifondi e proseguita con barbarossa.forse questo è il migliore sopratutto per i bellissimi colori che ci sono.da manuale il finale
Film che ha portato Kurosawa al fallimento ed ad un passo dal suicidio. E' stato un vero flop... ma il film è bellissimo, ha ragione Crimson quando dice che ritorna al crudo realismo dei primi film. Un film toccante come solo un grande poeta sa fare
A distanza di anni Kurosawa con questo film è tornato al crudo realismo dei suoi primi film (su tutti "l'angelo ubriaco"). Una scelta impopolare che da quel che mi risulta gli valse solo noie con la casa di distribuzione..guai che lo portarono al tentato suicidio. Questo film, senza troppi giri di parole, è semplicemente stupendo! si svolge tutto in una baraccopoli, in cui vengono narrate diverse vicende, che hanno come tema di fondo il potere dell'immaginazione, del sogno. Questo è tutto ciò che hanno a disposizione i protagonisti per sfuggire quotidianamente alla loro realtà di degrado e povertà. Desideri incarnati in misura maggiore dal ragazzo che appare all'inizio e alla fine del film in particolare, e a tratti nel mezzo. Un ragazzo ossessionato dal treno, ne ripropone il movimento con una mimica straordinaria e cammina tutto il giorno con in testa sempre e solo la propria voglia di libertà, di correre e fantasticare. Tra le storie, spiccano a mio avviso quella con protagonisti padre e figlio e quella della ragazza che vive con lo zio. Padre e figlio vivono in un'auto semidistrutta, e tramite l'immaginazione costruiscono la casa dei propri sogni. In realtà è il padre il vero artefice di tutto. E' talmente immerso nell' idealizzazione del proprio mondo che prende distacco dalla realtà. Il figlio pende dalle sue parole, sì per lui costruire con l'immaginazione una bellissima casa sfarzosa è divertente, ma è ancora ancorato ad una visione della vita come sacrifici e lotte per ottenere da mangiare (mendicando nei ristoranti). Pende dalle labbra del padre a tal punto da morire per un'intossicazione da pesce che il padre consiglia di non cuicnare ritenendo (erroneamente) che si tratti di merluzzo già marinato. L'altra storia che mi preme sottolineare è appunto quella della ragazza timidissima, che vive con il proprio zio adottivo che abusa di lei. Ella è perennemente una persona imprigionata dalla propria realtà. Non immagina, non scappa. E' talmente assuefatta dal proprio vortice vizioso di faccendine domestiche e nulla più da non riuscire a ricambiare le attenzioni del giovane lattaio verso il quale in fondo prova qualcosa. Sembra volergli comunicare "non posso scappare dalla mia esistenza". Così prova ad ucciderlo sfogando verso di lui la rabbia provata per lo zio (un gran bastardone vigliacco): spostamento inconscio dell'oggetto della propria profonda rabbia verso il proprio amore nascosto. Il vero antieroe è il vecchio saggio: una persona di una positività inaudita, capace ad esempio di dire ad un uomo ubriaco che semina il panico tra la gente con una katana "dammela a me..tu sarai stanco..prendo il tuo posto". O di perdonare un ladro che ruba in casa sua dicendogli "ruba pure i miei soldi ma non i miei attrezzi da lavoro". La solita grandissima umanità dell'Imperatore.