hakuchi - l'idiota regia di Akira Kurosawa Giappone 1951
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hakuchi - l'idiota (1951)

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locandina del film HAKUCHI - L'IDIOTA

Titolo Originale: HAKUCHI

RegiaAkira Kurosawa

InterpretiMasayuki Mori, Setsuko Hara, Yoshiko Kuga, Toshiro Mifune

Durata: h 2.46
NazionalitàGiappone 1951
Generedrammatico
Tratto dal libro "L'idiota" di Fedor Michajlovic Dostoevskij
Al cinema nel Novembre 1951

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Trama del film Hakuchi - l'idiota

Il regista sposta l'azione del romanzo dalla San Pietroburgo del 1800 al Giappone post-bellico; nel film Kameda e Akama, interpreti del tema del "doppio", rappresentano i due volti della pazzia. Quella bonaria e solare del protagonista e quella cupa e feroce del suo antagonista. I due si contendono l'affascinante Taeko. Caino e Abele moderni si divideranno l'amore e la morte della donna contesa...

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Voto Visitatori:   8,61 / 10 (9 voti)8,61Grafico
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Voti e commenti su Hakuchi - l'idiota, 9 opinioni inserite

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Filman  @  23/09/2016 22:25:23
   9½ / 10
Le possibilità di un ampliamento culturale danno i suoi frutti quando Akira Kurosawa inizia a trarre ispirazione da un immaginario collettivo più vasto, e HAKUCHI (The Idiot) è l'esempio perfetto di questo fresco cinema d'autore orientale, forte nella sua imponenza cinematografica e nell'impegno autoriale del proprio creatore, che contraddistingue questa pellicola drammatica e romantica con aspetti del tutto poco convenzionali, risiedenti nella difficile classificazione dei caratteri, genericamente limpidi in un film a tema amoroso. Nonostante l'epoca, invece, Kurosawa impone una psicologia dei personaggi fuori dal comune, ricca di sensibilità e di triste concretezza, esibendo un amore tormentato e spinoso, sentimento solo apparentemente onorevole ma privo di felicità, nonché generato da motivi confusionali, anteposti spesso da un giudizio esterno e invalicabile, elemento simbolico di una società destrutturata e anormale, in cui la messinscena la rappresenta in modo nefasto e decadente, proponendo uno dei lavori linguistici più sofisticati del maestro.

Charles Kane  @  11/06/2014 12:57:25
   8 / 10
Notevole rappresentazione cinematrografica del romanzo, da parte del maestro Kurosawa. L'impresa è apparentemente difficoltosa, infatti il regista decide (giustamente) di cambiare completamente la scena in cui si svolge la vicenda, passando dalla Russia dostoevskiana alla terra del Sol levante, ma soprattutto si sposta in un contesto socio culturale completamente differente, ma nel quale riesce comunque a far rivivere i valori e il messaggio che il soggetto originale voleva trasmettere. Ottima l'interpretazione dei protagonisti, le scene in cui sono presenti i due rivali in amore (ma anche le due rivali in amore) fanno rabbrividire e ancora oggi non sentono assolutamente il peso degli anni.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR jack_torrence  @  22/11/2010 22:40:50
   9 / 10
La trasposizione di un capolavoro della letteratura mondiale è una scommessa difficilissima da vincere; ben che vada, si riesce a restituire un frammento della grandezza dell'opera originaria, in un film dignitoso. Quanto più si è fedeli, tanto maggiore è il rischio di creare un bignami recitato; quanto più ci si scosta, tanto maggiore è il rischio di deturpare la grandezza dell'opera originaria senza aggiungervi veramente qualcosa che ne giustifichi la necessità di avervi fatto ricorso.

"L'idiota" di Kurosawa è forse l'eccezione che conferma la regola.
E tanto maggiore era la sfida, quanto più si considera che questo è un romanzo praticamente anticinematografico, che ruota per intero attorno a una figura immobile, priva di un'evoluzione personale, "perfettamente bella" dall'inizio alla fine, a contatto con la quale sono gli altri ad essere messi alla prova, a uscirne costantemente turbati e stravolti.
Dopo aver visto questo film, ripenserete ai personaggi del romanzo di Dostoevski e rivedrete le scene di Kurosawa. La fedeltà al romanzo è grandissima; più che di fedeltà, forse occorrerebbe parlare di ricreazione. E' come se Kurosawa fosse entrato in possesso dello spirito del romanzo sotto forma di un calco originario; con in mano una sceneggiatura miracolosamente in grado di comprimere in tre ore circa (a seconda delle versioni) l'essenza di un romanzo di 600 pagine, senza smarrirne nulla, "L'idiota" rinasce nell'isola di Hokkaido, sotto una continua tempesta di neve.
Negli interni di queste dimore borghesi hanno luogo alcune delle estenuanti (bellissime) scene dostoevskiane fatte di dialoghi corali infinitamente protratti, vibranti, tesi al massimo dello spasimo fino al rivolgimento dei caratteri e allo svelamento di verità inaudite. Nastas'ja, Rogozin, Myskin, Aglaia. "L'idiota" probabilmente ha un intreccio di base talmente forte da non uscirne sminuito dalla riduzione alle vicende di questi quattro personaggi principali.

La neve in cui Kurosawa ha deciso di immergere la vicenda (abbandonando le caldissime estati dei suoi lavori precedenti) ben fa da correlativo oggettivo al ghiaccio che paralizza il calore del cuore e i sentimenti: ed è una scelta felice anche perché si immaginano le vicende del romanzo ambientate in analoghi inverni oltremodo gelidi, a San Pietroburgo.

L'attore che interpreta Myskin ha un particolare modo di trattenersi il bavero della giacca, con le braccia rattenute in una costante tensione che le blocca in una posizione difensiva, di continua partecipazione emozionale a ciò che avviene attorno a lui.

Un giovane Toshiro Mifune dona a Rogozin l'istintualità dei gesti e il lampo di fuoco nello sguardo che lo rendono indimenticabile in questo ruolo, forse addirittura il migliore fra tanti straordinari.

Molto felice la scelta di fare di Myskin quasi un alter ego di Dostoevski, legando a lui l'aneddoto (che appartiene alla biografia dello scrittore) di esser stato salvato in extremis dalla pena capitale.

"L'idiota" è un film molto parlato, che possiede alcuni momenti altissimi in cui a parlare sono le immagini, in quei silenzi che permettono alle evoluzioni avvenute attraverso i dialoghi di addensarsi entro l'animo dello spettatore del film; per poi riprendere a farsi svelare la vicenda dai volti sempre intensi e straordinariamente espressivi (compreso quello di Myskin, necessariamente fisso in quasi una sola espressione dominante), dei suoi interpreti assolutamente strepitosi.

Questo film è un miracolo: cammina su gambe autonome di grande opera d'arte cinematografica, pur essendo "nient'altro" che l'adattamento di un gigantesco capolavoro letterario.

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Ultima risposta 23/11/2010 23.10.08
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR elio91  @  21/05/2010 17:32:50
   7½ / 10
Ci sono due fattori da tenere in considerazione riguardo il mio voto: prima di tutto non conosco Dostoevskij nè L'idiota (prometto che prima o poi mi rifarò).
Di conseguenza non è stato semplice vedere e capire un film che probabilmente nella sua versione originale,lunga il doppio,era più comprensibile e con un ritmo più consono.
Di fatto è considerato da buona parte della critica "il più grande capolavoro mancato" e questa è una cosa molto fastidiosa se si pensa che il povero Kurosawa non centra nulla sui difetti maggiori del film,che non sono neanche imputabili al film in sè.
La produzione ridusse di metà L'idiota senza neanche avvertire il regista e per non avere ripensamenti distrussero tutti i negativi della parte tagliata.
Insomma uno degli scempi più clamorosi e squallidi della storia del Cinema.
Resta un film da molti acclamato come capolavoro nonostante tutto,personalmente è certamente un lavoro ben fatto e profondo,con attori che danno il loro meglio (specie il protagonista e Mifune).
Ma non è semplice da seguire a causa dei continui balzi temporali che sono imputabili sicuramente ai tagli,a volte "aggiustati" con delle didascalie che spiegano il carattere o le situazioni riguardanti i personaggi. Ma questo solo all'inizio.
L'idea pazza e coraggiosa di Kurosawa,ovvero quella di trasportare un romanzo che trovava la propria idea culturale e romanzesca in Russia per cambiarla in un Giappone freddo e bianco come la Russia,è resa al meglio e non ha scontentato i lettori più fedeli di Dostoevskij.
Se uno dei registi russi più grandi,Tarkovskij,disse che non avrebbe mai girato un Idiota dopo Kurosawa pur adorando Dostoevskij c'è un perché.
Al di là della maestria di alcune scene tra cui quella finale,il risultato finale non mi è sembrato entusiasmante.
Rimane la storia di un uomo buono amato da tutti e da nessuno capito,un Idiota diventato tale a causa degli Uomini e che gli stessi Uomini rimpiangeranno per la sua naturale bontà d'animo.
Mifune è il perfetto rovescio della medaglia.

Come scempio dei produttori,siamo ai livelli di Simon del deserto.

Gruppo REDAZIONE amterme63  @  21/03/2010 23:44:16
   10 / 10
L'Idiota di Dostojevskij è un capolavoro letterario immenso, uno scavo molto complesso e profondo nella natura umana; ridurlo per il grande schermo è un'impresa decisamente impossibile. Eppure Kurosawa ci è riuscito. Non ha certo espresso tutto quello che contiene il romanzo, ma l'essenziale sì e nonostante il film abbia alcuni apparenti difetti formali (è molto parlato, molto teatrale, a volte quasi forzato) ha una forza comunicativa e un fascino visivo che lascia incantati e affascinati.
Kurosawa ha avuto la grande intelligenza di variare alcuni aspetti esteriori della storia originale, proprio per comunicarne meglio il significato. Per prima cosa l'ha attualizzata ambientandola nel Giappone contemporaneo. Il lampo di genio è stato quello di darle una caratterizzazione ambientale molto netta e suggestiva. La storia si svolge infatti a Sapporo in inverno e la neve, il paesaggio immacolato, le bufere, diventano dei veri e propri protagonisti attivi. E' stata una trovata fantastica da parte di Kurosawa.
Dall'Angelo Ubriaco a Rashomon tutte le storie erano state ambientate in torride estati, con il gran caldo segnava profondamente i personaggi, rendendoli fisici e umani. Il caldo aveva anche una valenza simbolica, suggerendo l'istinto bruciante, il fuoco delle passioni umane elementari. In questi film l'ambientazione era quasi sempre popolare e degradata.
Con L'idiota siamo invece nell'ambiente formale e misurato della borghesia, che nasconde ipocrisie, opportunismi, gelosie e cattiverie. L'inautenticità dei sentimenti è simboleggiata proprio dal freddo ghiaccio che chiude come in una morsa i cuori della gente. D'altra parte la neve con il suo candore e la sua luminosità sta anche a simboleggiare l'animo del protagonista, così puro e disinteressato.
Altra modifica geniale apportata da Kurosawa è stata quella di legare "l'idiozia" di Myskin/Kameda ad una condanna a morte interrotta proprio all'ultimo istante (l'ispirazione gli è venuta dallo stesso Dostojevskij). In questa maniera rende il personaggio più comprensibile agli occhi dei contemporanei (Giappone del dopoguerra).
Per il resto il film si concentra sul tema del "darsi per gli altri" in maniera disinteressata e, perché no, autodistruttiva. Ovviamente ci si sacrifica per la persona meno considerata e più disprezzata dalla morale comune. Il fatto è che, accanto a questi nobilissimi sentimenti, ce ne sono altri (la gelosia, la bramosia di possedere, l'istinto animale) che incidono, s'intromettono, vanificano. I protagonisti assoluti sono quindi i sentimenti interiori, sono loro il motore del film.
E' naturale quindi che spesso ci siano lunghe scene dialogate e teatrali. Bisogna dire che sono tutte interessanti e soprattutto non scadono mai nel banale o nel didascalico. C'è sempre poi qualcosa che le rende speciali: una bufera di neve, un fuoco che arde, un viale alberato, un interno caratteristico, il lume delle candele. Alcune scene sono dei capolavori visivi, come il carnevale notturno sulla neve, oppure il tremendo e sconcertante finale; ma tutte le scene comunque hanno sempre qualcosa di impalpabile e magico che arriva direttamente dall'occhio al cuore.
Devo dire che mi aspettavo qualche cosina in più da parte di Masayuki Mori (Myskin/Kameda è a volte un po' rigido e legnoso e forse un pochino monoespressivo), comunque caratterizza bene il personaggio, rendondolo lo stesso molto affascinante. Anche Setsuko Hara nella parte di Nastasia/Taeko mi è parsa a volte un po' rigida e fredda, ma del resto sono parti estemamente difficili da recitare e in definitiva la splendida protagonista di "Non rimpiango la mia giovinezza" si è comportata in maniera egregia.
Toshiro Mifune in questo film è qualcosa di superlativo! Dona a Rogozin/Akama degli sguardi, delle espressioni, una scioltezza e una spontaneità di comportamento che lasciano senza parole da quanto sono intensi e naturali allo stesso tempo.
Che dire? Si tratta senz'altro di un film difficile (è in lingua originale sottotitolato), comunque è qualcosa di assolutamente originale e, visto il tema e lo svolgimento, merita senza dubbio il giudizio di capolavoro.

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Ultima risposta 24/03/2010 12.22.19
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR Ciumi  @  09/01/2010 19:36:44
   9½ / 10
Si può ben dire che l'Idiota di Dostoevskij rappresenti perfettamente la figura di quell'eroe che fu il protagonista di molto del cinema di Kurosawa: l'individuo che, attraverso la purezza imposta al proprio animo, esplora tutte le gelosie, i grandi e i piccoli conflitti, gli odi e gli inganni di cui si fanno portatori gli uomini.
Del resto, già nel medico del film "L'angelo ubriaco", erano largamente delineati quasi tutti i tratti di tale soggetto; che meglio ancora ritroveremo nella "risurrezione" di un anziano in "Vivere", o nei guerrieri che combattevano senza ricompensa in "I sette samurai", o più avanti ancora in "Dersu Uzala".

Giappone del nord, secondo dopoguerra novecentesco, specchio d'una Pietroburgo metafisica, luogo ventoso il cui manto innevato diviene il colore dell'anima del protagonista: ma anche il gelo, la tormenta, il torpore, l'ambiente deserto che l'idiota attraversa come una fiammella in lotta per avanzare, per non spegnersi, contro le folate circostanti. Passa d'ambiente ad ambiente, da interno a interno, da sguardo a sguardo.

Quella di Kurosawa è una lettura attenta, coinvolta e al tempo stesso distaccata - intenta soprattutto a valorizzare i dialoghi e le turbe amorose - eccezionale nel ritratto psicologico dei personaggi.
Sa cambiare di tono ad ogni brano; isola i volti e le conversazioni in atmosfere cariche di attesa, di pathos, di lunghi silenzi: e se alcuni degli interpreti, o se anche una folla di comparse attornia i due colloquianti, questi tacciono, simili a maschere, li circondano osservandoli e concentrando su di loro tutta l'attenzione.

Ed è tutta presente in quella scena verso la fine del film la tensione di cui ci si è caricati durante la visione - che già si accumulava dalle prime sequenze, e si riproponeva ad ogni ritrovo, che esplodeva in maniera convulsa nell'episodio dello shock subito da Kameda, e tornava vibrante nell'incontro tra le due rivali: l'idiota resta accanto al compagno assassino, vegliano in una stanza buia, vicini, quasi complici; il secondo accenna a certe allucinazione che indoviniamo nei bagliori tenui di un cero - la serenità e la turbolenza venute ad incontrarsi - che silenzioso, piano si spegne.

Inutile secondo me ripensare ai tagli subiti dalla pellicola, ai contenuti e alle parti andate perdute per sempre: così come ci perviene, "L'idiota" di Kurosawa resta un film bellissimo, e probabilmente la migliore trasposizione di un romanzo di Dostoevskij su schermo.

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Ultima risposta 15/01/2010 16.26.37
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Crimson  @  26/07/2009 19:32:48
   8 / 10
Lev N. - Moriva a ventisette anni, sano e forte; ricordava che nel salutare i compagni a uno di loro aveva posto una domanda che non c'entrava nulla, e si era anche molto interessato alla risposta. Dopo che ebbe dato l'addio ai compagni vennero i due minuti che aveva destinato a 'pensare a se stesso'; sapeva già prima a che cosa avrebbe pensato, aveva sempre desiderato figurarsi nel modo più rapido e chiaro possibile quel che sarebbe accaduto: lui adesso esisteva e viveva, ma in capo a tre minuti sarebbe stato già 'un non so che', qualcuno, qualcosa, ma chi? E dove? Pensava di risolvere tutto questo in quei due minuti! Non lontano c'era una chiesa, e il suo tetto dorato brillava sotto il sole splendente. Ricordava di aver fissato molto intensamente quella cupola, e i raggi che vi si riflettevano; non poteva staccarsi dai raggi, gli pareva che quei raggi sarebbero stati la sua nuova natura, e che tre minuti dopo sarebbe in qualche modo confluito in essi... L'incertezza e la repulsione verso quell'ignoto che sarebbe diventato e che stava proprio per giungere erano tremende; ma lui diceva che in quel momento niente era per lui più penoso dell'incessante pensiero "Oh, poter non morire! Poter far tornare indietro la vita: che eternità! E tutto questo sarebbe mio! Allora trasformerei ogni minuto in un intero secolo, non ne perderei niente, terrei in conto ogni minuto, per non sprecare invano nemmeno più un istante!". Diceva che questo pensiero alla fine gli era degenerato in una rabbia tale da fargli desiderare che gli sparassero al più presto. -
- Avete finito? - chiese Aglaja.
- Come? Sì, ho finito - disse il principe, riaffiorando da una fissità pensosa.
- Ma con che scopo ci avete raccontato questo? -
- Così... Mi era tornato in mente... a proposito della conversazione... -
- Siete molto frammentario, principe - notò Aleksandra. - Con tutta probabilità volevate concludere che non bisogna dare a nessun istante il valore solamente di una kopejka, e che a volte cinque minuti sono più preziosi di un tesoro. Tutto ciò è lodevole, ma permettete, questo vostro conoscente, che vi ha raccontato tutte quelle cose atroci... a lui avevano commutato la pena, e perciò donato quella 'vita infinita'. Bè, che ha fatto lui in seguito di questa ricchezza? Ha vissuto 'tenendo in conto' ogni attimo? -
- Oh, no, me l'ha detto lui stesso, rispondendo alle mie domande, che non aveva poi affatto vissuto così, e aveva perduto moltissimi attimi. -
(Ed. Mondadori pagg 82-83)

Unitamente a Visconti, Kurosawa è colui che ha saputo trasporre con più incisività Dostoevskij sul grande schermo.
Tra i suoi primi film 'L'Idiota' è sicuramente il più pretenzioso: un'opera mastodontica realizzata con grandi mezzi a disposizione, ma mutilata dalla casa di produzione (la Shochiku) addirittura quasi della metà rispetto alla durata totale, che inizialmente superava le quattro ore. Le parti tagliate sono andate perdute per sempre. Un vero scempio a cui consegue una visione parziale di ciò che il regista aveva intenzione di comunicare.
Di conseguenza ci troviamo dinanzi ad un dato di fatto obiettivo, al quale se ne aggiunge un secondo, prettamente soggettivo.
Il primo è che, malinconicamente, della visione di ciò che era negli intenti del regista non ci perviene che un frammento. Ciò penalizza notevolmente il risultato finale con cui dobbiamo confrontarci.
Il secondo, come scritto soggettivo e che accomuna chi ha affrontato questa prova esistenziale, è la consapevolezza che il romanzo è intraducibile; nella fattispecie, che esso custodisce un segreto che alcun linguaggio cinematografico potrà mai essere capace di cogliere.
Il tentativo di Kurosawa tuttavia, per quel che possiamo verificare ovviamente, risulta eccellente, encomiabile. Traspone gli ambienti del romanzo (essenzialmente -San- Pietroburgo, Pavlovsk e Mosca) nel Giappone del primo dopoguerra (Sapporo, principalmente). Snellisce gli ambienti di ogni connotazione aristocratica, fino ad eliminare ogni scontro dialettico politico e sociologico del romanzo. Tutto ciò in favore di una uniformità di scenari accomunati da paesaggi innevati negli esterni e locali spogli negli interni. Il bianco e nero profonde una sensazione forte e suggestiva di contrasto, l'ambiguità degli intenti e dei personaggi. La capacità di scavare all'interno dei protagonisti è in alcuni casi perfino superlativa: Akama/Rogozin è il personaggio più fedele, non solo per merito dello straordinario Toshiro Mifune. Il suo profilo è dettagliato, il suo ghigno e i suoi occhi (che Kameda/Myskin coglie su di sè dappertutto) sono particolari non di poco conto su cui Kurosawa fa giustamente affidamento, assieme a molte altre sfumature di altri personaggi e situazioni che arricchiscono il quadro generale e su cui evidentemente è stato svolto un lavoro maniacale. Descriverli tutti sarebbe impossibile e superfluo.
Viceversa è il personaggio di Taeko/Nastas'ja Filippovna (la deliziosa Setsuko Hara) a risultare meno "potente" e influente di quel che realmente è nell'economia dello svolgimento dei fatti e del fascino maliardo (dovuto alla sua -presunta?- follia nel romanzo, che qui viene alquanto sminuita) che produce su tutti i personaggi. Questo è uno dei tanti particolari che fanno riferimento a quella sfera di 'intraducibilità' che pervade il romanzo, a cui evidentemente i tagli corposi della casa di produzione sul risultato finale hanno contribuito nella resa finale.
La dilatazione mostruosa dei passaggi temporali, altra caratteristica di importanza capitale, è un'altra dimensione invalutabile, sempre sia per via della decurtazione di pellicola che per la loro resa effettiva su celluloide. Kurosawa cambia molte carte in tavola nelle situazioni (un esempio su tutti è la rottura del vaso: ma quella scena, mancando del tutto i riferimenti ad ambienti borghesi nel film, non sarebbe potuta essere raccontata in altro modo) ma realizza, nella sua aderenza accanita alla teatralità delle 'scene madri', sequenze riuscitissime, emozionanti: l'attacco epilettico di Myskin, oppure il confronto tra Nastas'ja e Aglaja davanti agli occhi impietriti di Myskin e Parfen Rogozin, che nel romanzo è commovente. Kurosawa aveva a disposizione una squadra di attori di altissimo livello, in grado di adattarsi di pari passo alla versatilità delle sue opere.
Alla fine l'Imperatore riesce nell'impresa faticosissima, al di là di tutti i problemi, di realizzare un film degnissimo di nota, mettendo in mostra molti temi importanti e adeguandosi nel migliore dei modi ad un testo di partenza quasi proibitivo. Questo film è un esempio ulteriore della capacità di questo regista eccelso di costruire ritratti psicologici magistrali e di profondere emozioni con una sensibilità rara. Resta tutto in quella scena appena citata, o negli sguardi del principe e Rogozin nella nottata di veglia: la disperazione della solitudine, nella sua forma più agghiacciante.

Lev N. - E' mai possibile?... Ma non vedete com'è infelice? -
Fece a malapena in tempo a pronunciare queste parole, poi ammutolì sotto lo sguardo terribile di Aglaja. Quello sguardo esprimeva un dolore così atroce e nello stesso tempo un odio così infinito, che egli giunse le mani, gridò e si slanciò verso di lei, ma era troppo tardi!
(Ed. Mondadori pag. 781)

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Ultima risposta 03/08/2009 00.02.48
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  24/07/2009 23:43:54
   8 / 10
Ottimo adattamento dell'omonimo romanzo di Dostoevskij, purtroppo massacrato senza rimedio dall'ottusità dei produttori. Coraggiosa ma premiante la scelta di trasporre il romanzo dello scrittore russo al Giappone del dopoguerra, un'epoca dove alla perdita dei valori emergeva la figura di un uomo dal cuore puro che provava odio e dotato della capacità di leggere in profondità l'animo umano. Straordinario il lavoro sui personaggi da parte di tutto il cast, bellissima la fotografia.

Invia una mail all'autore del commento wega  @  08/10/2008 22:55:40
   8 / 10
"Non farò mai "L'Idiota" dopo Kurosawa.." A.Tarkovskji
Ostico da commentare almeno tanto quanto da guardare. Sotto un onnipresente e magnifico manto nevoso, la pellicola del Maestro giapponese più tendente al barocco tra le sue, e l' ultima parte, fotografata ad alto contrasto espressionista con il buio che rende indefinibile il confine tra i primissimi piani e lo sfondo -tipicamente del linguaggio barocco- è un piccolo capolavoro di sequenze, per una storia di due personalità così diverse, che si complementano l'un l'altra tanto da annullarsi e morire insieme. Kurosawa ha voluto raccontare la storia di un ragazzo fondamentalmente buono, mosso solo dalla purezza in seguito ad un incidente bellico che l' ha reso demente, un ragazzo che non è in grado di cogliere l' ipocrisia della società, che non ha interesse per il denaro, un ragazzo che desta compassione alla società che lo circonda. Ma lo amano.
Ottimo il cast, gran parte de "I 7 Samurai" riuniti, manco a dirlo grandioso Toshiro Mifune, e perfetto per il ruolo, Setsuko Hara nelle parti di Kamede, l' idiota, capace di commuovere sul serio. Bellissima anche la fotografia, gli esterni sembrano disegnati tutti a carboncino; molto probabilmente l' avrei apprezzato di più con il doppiaggio italiano, i sottotitoli non mi vanno a genio.

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