Durata: h 3.25 Nazionalità:
Italia, Francia1963 Genere: drammatico
Tratto dal libro "Il gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa
Al cinema nel Settembre 1963
Sicilia. La fine di un epoca e l'arrivo di nuove realtà, visto attraverso lo sguardo del principe Salina, molto peoccupato con l'arrivo dei garibaldini, di mettersi al riparo da ogni cambiamento.
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Sono quasi completamente d'accordo (e non a metà) con la recensione di Kowalsky (temo però che nel suo testo confonda il personaggio di Concetta con Mafalda): c'è molta ideologia in questo film, un po' scolastica nella sua realizzazione letterale. Forse è proprio per questo che il film viene proiettato spesso in scuole medie e licei. Non sono invece molto d'accordo riguardo la scena interminabile del ricevimento: se è vero che è lunga e tediosa, è altrettanto vero che sintetizza mirabilmente il modo di fare cinema di Visconti. Elaborato, sfarzoso, curato in ogni dettaglio, ma anche introspettivo e "artificioso", costruito e non spontaneo (dopo gli esordi neorealisti, Visconti se ne distaccò totalmente e più degli altri "padri" De Sica, De Santis e Rossellini). Può non piacere - è materia di gusto personale - ma dal punto di vista strettamente tecnico, come disse Moravia, la lunga sequenza del ricevimento è la summa dell'arte di Visconti. Ho preferito "Senso", per le tinte fortemente melodrammatiche (quasi sadiche) della storia d'amore: nel "Gattopardo" il fin troppo delicato (artificioso) triangolo Tancredi-Angelica-Concetta non riesce ad appassionare né tantomeno a sconvolgere come facevano la contessa Serpieri e il suo bell'austriaco. Insomma, se Visconti nel "Gattopardo" intende riproporre la sovrapposizione estetica fra sentimento e ideologia (presente al massimo grado in "Senso"), non ottiene gli stessi esiti del film precedente. Questo parziale insuccesso è però controbilanciato dall'eccellente prova di Lancaster e di Valli, e dalle sequenze puramente "politiche" come il confronto con l'emissario torinese Chevaller. Insomma, nel complesso un ottimo film sul piano estetico e tecnico-recitativo, che sintetizza al meglio la poetica di Visconti, pur peccando di eccessivo manierismo quando il regista calca le tinte del suo manifesto cinematografico dell'anti-spontaneità.