l'inquilino del terzo piano regia di Roman Polanski USA, Francia 1976
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l'inquilino del terzo piano (1976)

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locandina del film L'INQUILINO DEL TERZO PIANO

Titolo Originale: LE LOCATAIRE

RegiaRoman Polanski

InterpretiRoman Polanski, Isabelle Adjani, Melvyn Douglas, Jo Van Fleet, Bernard Fresson, Lila Kedrova, Rufus

Durata: h 2.05
NazionalitàUSA, Francia 1976
Generethriller
Tratto dal libro "L'inquilino del terzo piano" di Roland Topor
Al cinema nel Settembre 1976

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Trama del film L'inquilino del terzo piano

Trelkovsky, un uomo tranquillo, affitta un appartamento in Francia, la cui precedente inquilina ha commesso suicidio. Pian piano, si convince che il suo padrone di casa e i suoi vicini lo stanno trasformando nella precedente inquilina...

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Voto Visitatori:   8,08 / 10 (186 voti)8,08Grafico
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Voti e commenti su L'inquilino del terzo piano, 186 opinioni inserite

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Niko.g  @  04/10/2020 16:36:06
   6½ / 10
Addentrarsi nei sottotesti di un film è un'operazione spesso azzardata e dagli esiti incerti, ma in questo caso la tentazione è fortissima. Gli indizi sono talmente tanti che siamo spinti ad andare oltre. In realtà, non è necessario fare molta strada. Ben presto ci accorgiamo che Polanski l'ha fatta fuori dal vaso e che qualunque interpretazione troviamo, essa non riesce a spiegare il film nella sua interezza, finendo per contrastare con le altre che la annullano.
"L'inquilino del terzo piano" ha sicuramente il merito di mostrare, con grande acume registico e impatto visivo (vedi i grandangolari deformanti), l'atmosfera delirante vissuta dal protagonista, con la pecca, però, di indugiare eccessivamente su elementi esoterico/allucinatori a sfavore di quelli strettamente reali.
Comprendo bene che Polanski sia stato vittima delle lusinghe del 1968, con le sue droghe e le sue farneticazioni ideologiche che ne hanno influenzato la produzione artistica, ma nel seguire la pista dell'alterazione sensoriale, ha finito per rappresentare la deriva paranoica del protagonista in modo non progressivo, non credibile (il "difetto" di "Shining" per intenderci, con le dovute proporzioni). La regressione ad uno stato di follia non è dunque pienamente riuscita. Non che questa debba essere la chiave di lettura, perché, come accennavo all'inizio, qui di chiavi ce n'è un mazzo tanto e tra geroglifici e segni ideografici, rituali esoterici e doppelganger, gabinetti adibiti a tombe faraoniche e omosessualità latenti, è un'impresa venirne a capo.
Il cinema è un'arte che fa uso del tempo o, per meglio dire, dei tempi. Siamo disposti ad accettare un finale aperto, non un film aperto. Se da un sacco dei rifiuti (cito una scena del film) cadono a terra bucce di banana e scorze d'arancia, queste non possono sparire nel giro di qualche secondo. Il tempo appartiene alla dimensione del vissuto e tenerne conto è necessario, a meno di non essere David Lynch.

Detto questo, il film va anche inquadrato sulla scia di quel processo di propaganda esoterica e occultista gestito da gruppi perversi appartenenti alle élite, che Kubrick aveva reso protagonisti nel suo ultimo lavoro. Purtroppo la vita controversa di Roman Polanski, la tragica fine di Marilyn Monroe e Sharon Tate e delle vite che portavano in grembo, testimoniano parte di questa inquietante realtà che con l'arte cinematografica non avrebbe nulla da spartire, se non fosse che il cinema ha un potere di cui spesso ci dimentichiamo. L'idealismo e la speranza americana degli anni '50, furono venduti, drogati e manipolati ad opera di una malvagia congrega di rispettabili e ben nascosti membri della società. Forse la chiave di lettura definitiva anche di questo film.

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