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Anche il primo film che ha fatto Kurosawa dopo la fine della II Guerra Mondiale risente del momento delicato che stava attraversando il Giappone. Le nuove autorità spingevano per dare l’immagine di una nazione che in qualche maniera aveva provato a combattere il militarismo e il totalitarismo, difendendo la libertà e la pace. Il problema era che in Giappone non era mai nato un movimento simile alla Resistenza italiana. Un film come “Roma città aperta” non era perciò possibile. L’unica maniera era quella di mostrare l’eroismo di alcune singole persone ed è quello che fa Kurosawa con questo film, raccontando la storia di Noge, uno studente di sinistra imprigionato per le sue idee progressiste, il quale finge poi di uniformarsi solo per poter svolgere un lavoro spionistico al fine di sabotare la guerra. Noge si viene a trovare idealmente solo. I professori preferiscono la resistenza passiva e la rinuncia. Il dovere familiare e l’esigenza di campare poi fanno sì che molti studenti scelgano la strada del compromesso. Kurosawa traduce queste due posizioni nel personaggio del maturo professor Yagihara e del mediocre studente Itokawa. Noge però va avanti lo stesso; sa che non bisogna rimpiangere nulla e che si deve sacrificare tutto per la propria idea, sperando che in futuro questo dia i suoi frutti. Il suo destino sarà proprio questo. Ci sono tutti gli ingredienti per un film retorico e celebrativo. Invece anche stavolta Kurosawa punta tutto sul lato umano della vicenda. Dell’attività pratica di Noge non sappiamo e non vediamo nulla. In compenso seguiamo per filo e per segno come ci si sente ad agire in questa maniera, quali sono le motivazioni e le grandissime difficoltà, le rinunce, i dolori, la grande forza interiore che bisogna avere. Il fatto che sia un film sulla forza d’animo, più che sulle idee in sé, lo si vede anche dal fatto che il protagonista del film non è Noge ma Yukie, la bella ed emancipata figlia del professor Yagihara. Yukie all’inizio è una giovane borghese raffinata e capricciosa, amante dell’arte fine a se stessa. Ha un carattere molto impulsivo, variabile, orgoglioso, debole e forte allo stesso tempo. Anche se sembra pensarla diversamente da Noge, in realtà è molto attratta dalla sua personalità. Finisce per innamorarsene e va a vivere con lui, pur non avendo alcuna parte nella sua attività politica. Finisce però per essere molto colpita dal sacrificio del suo uomo e dal disprezzo generale con cui è trattata la sua memoria. Questa esperienza dolorosissima la fa diventare un’altra persona. Da ragazza borghese protetta e viziata si trasforma in un’indefessa lavoratrice agricola per poter aiutare i genitori di Noge e restare fedele alla sua memoria. I sacrifici sono immensi e a questo si aggiunge il disprezzo e la cattiveria della gente. Lei però impara ad andare a testa alta, a sfidare tutto e tutti. Per un’idea, per un fine occorre mettersi in gioco completamente se si vuole ottenere qualcosa. Altro che il pavido e ipocrita Itokawa. L’ultima parte ricorda molto il film di “propaganda” sulle operaie della fabbrica di lenti e in particolare il personaggio di Watanabe. Si cambia colore ma lo spirito rimane lo stesso. Questo film però è infinitamente superiore a “Lo spirito più elevato”. Intanto i primi minuti, con la scampagnata sulle colline intorno a Kyoto, sono di grande bellezza visiva. Kurosawa ama le scene en plein air e riesce perfettamente a riprodurre tutta la bellezza e la poesia della natura. Nell’inquadratura del guado la mdp è piazzata a pelo d’acqua, comunicando il fascino dello scorrere liquido e sonoro. Segue poi una splendida scena di corsa spensierata nel bosco, qualcosa di meraviglioso e affascinante (e tecnicamente all’avanguardia). Il resto del film vede l’influenza dei maestri russi del cinema muto, come ad esempio nelle scene di massa o nella parte finale a sfondo agricolo e di esaltazione del lavoro. Le piccole perle tecniche sono comunque tante. Anche stavolta Kurosawa non rinuncia all’accoppiata fissa dei suoi primi film. Denjiro Okochi è un perfetto professore e un accorato padre, mentre Susumu Fujita è un misurato ed elegante Noge. Bravissima anche la bella e spigliata Setsuko Hara (Yukie). C’è anche Takashi Shimura nella breve parte di un poliziotto “cattivo”. Nonostante i pregi tecnici e interpretativi, il film è piuttosto disuguale e soffre di una parte centrale decisamente monotona. Non è uno dei migliori film di Kurosawa ma si lascia tranquillamente vedere.
Si tratta del secondo lungometraggio di Kurosawa, avendoli visti quasi tutti presumo sia l'unico a trattare tematiche politiche, in più, la sceneggiatura non è stata approvata totalmente dal regista ed in un certo senso è una pellicola disinteressata in parte, dall'autore, e si vede, disinteressante dal mio punto di vista, ma indubbiamente costruita in maniera notevole. Il fatto storico realmente accaduto è lo sfondo su cui costruire questa storia di una scelta di vita, che si incrocia con una storia d'amore. Notevole, come detto, registicamente, possiamo trovare il preludio di tanti polizieschi degli anni successivi, dello stesso regista, con una fotografia ad alto contrasto in certi punti, che sfiora l'espressionismo, dei bellissimi controluce, specificamente per quanto riguarda le inquadrature in carcere, delineando in maniera netta la figura del personaggio protagonista rispetto l'ambiente che la circonda, dando un perfetto senso di isolamento. In questo suo forse primo vero film inoltre, c'è già tutta la capacità di questo regista nella scelta di un linguaggio cinematografico assolutamente poco-convenzionale, o atipico, con una specifica scelta di montaggio per alcune sequenze che esula da una classica drammaturgia se si parla appunto dell'immediato dopoguerra. Peccato il regista fosse partito prevenuto già dagli inizi, come testualmente ha dichiarato, "era un regista dell'io, non del noi", poteva uscirne un film eccellente.