Il commentatore televisivo di una grossa rete nazionale di Los Angeles, Howard Beale, stanco e sfiduciato, viene condannato all'eliminazione poichè l'indice di gradimento è sceso di troppo. Tuttavia, prima di congedarsi, senza preavviso ai colleghi e ai superiori, Beale annuncia il proprio suicidio davanti alla telecamera.
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VINCITORE DI 1 PREMIO DAVID DI DONATELLO: Miglior attrice straniera (Faye Dunaway)
VINCITORE DI 4 PREMI GOLDEN GLOBE: Miglior regista (Sidney Lumet), Miglior sceneggiatura (Paddy Chayefsky), Miglior attore in un film drammatico (Peter Finch), Miglior attrice in un film drammatico (Faye Dunaway)
Le logiche redazionali, le brame politiche e gli eccessi di un sistema in perenne conflitto tra realtà e finzione in un'opera serrata e aggressiva firmata da uno dei più ispirati cineasti degli anni '70. Un film che ha fatto epoca, perfetto nel perseguire l'esplicito intento di sbattere in faccia all'uomo comune ( o spettatore, mi verrebbe da dire ) le micidiali regole che il business mediatico impone(va), facendole andare oltre al limite dell'umana decenza con una dose di cinismo da fare accapponare la pelle. Le divagazioni amorose della coppia d'argilla Diana Christensen / Max Shumacher rendono bene l'alienazione di lei per il lavoro, ma sono tante, ed infatti il racconto ne risente. Impeccabile la direzione degli attori, da sempre uno dei punti di forza di Lumet, con l'istrionico Peter Finch e l'iperattiva Faye Dunaway sugli scudi.