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Così come altri utenti nemmeno io finora sapevo che "Sanjuro" fosse il seguito di "Yojimbo", informazione appresa solo adesso leggendo alcuni commenti. A dire il vero, mentre guardavo il film, sentivo che c'era qualcosa di "familiare" nei modi del ronin (Mifune) ma lì per lì non ci ho fatto caso. Comunque, il film mi è piaciuto molto, specialmente l'ultima mezz'ora che è di altissima qualità. Poi c'è quel grandissimo attore che risponde al nome di Toshiro Mifune il quale tutto ciò che tocca trasforma in camelie, cioè in oro volevo dire.
Al galoppo della fortuna popolare reclamata dal predecessore, TSUBAKI SANJURO presenta, sviluppandoci attorno la pellicola, il già noto protagonista disinvolto ma anche dotato di grande intelligenza e di enorme destrezza nell'utilizzo della sua inseparabile katana. Tuttavia il film fa più di un passo indietro, partendo da quella che era un opera di genere innovativa. Approfondendo, l'ironia disincantata funziona sempre, così come l'impatto caratteriale del protagonista, eppure quest'ultimo, che nasce con chiari intenti demistificatori, carambola in un soggetto che riprende l'elemento ronin e lo intrappola in un semplicistico rapporto maestro-allievi, derubandogli alcune delle sue sfumature e cucendoli addosso maggior convenzionalità, in una trasformazione che va dalla dubitativa figura di aspirazione a univoco eroe di riferimento, anche poco attratto dalla violenza. Akira Kurosawa non riesce a fare di più che tessere una buona trama e dirigere sequenze in grado di intrattenere.
Stavolta il samurai vagabondo deve aiutare dei volitivi, ma sprovveduti giovani. Tra azione e umorismo un film che non risparmia momenti seri e fa riflettere anche con il finale amaro.
Sequel di Yojimbo, il protagonista è sempre il ronin Sanjuro, che armato di spada e di arguzia strategica si trova in mezzo a un guaio di difficile soluzione: un sovrintendente corrotto riesce a prendere il posto del ciambellano della contea, ingiustamente imprigionato sotto false accuse. 9 samurai alle prime armi più Sanjuro stesso, devono trovare il modo di affrontare da soli l'intero esercito del sovrintendente e liberare il ciambellano imprigionato. E' un film che si prende meno sul serio e a conti fatti è meno riuscito di Yojimbo, che era praticamente un western del sol levante mentre qua si torna nei canoni del samurai movie classico con più azione e umorismo. Immenso come sempre Mifune, forse l'unica delle 16 collaborazioni che ha avuto con Kurosawa, dove supera i meriti del regista stesso. Film importante ma non indispensabile nelle rivisitazioni di AK.
Seguito del famosissimo "la sfida del samurai", il film ha una brillante sceneggiatura ma molto sotto al suo precedente come del resto rispetto tutti gli altri film di kurosawa. Qui il samurai è buono dall'inizio ed è un film che non trasmette niente, a parte una bella storia di intrattenimento senza infamia e ne lode. Da un regista così è lecito pretendere di più, ma ci può stare che uno che ha una media numerica e realizzativa molto alta ogni tanto si rilassi per far qualcosa di meno impegnativo!!
Per me è un capolavoro, vale quanto il leggendario primo. Che sceneggiatura! Mifune semplicemente divino. Incredibile come Kurosawa riesca a raggiungere l'eccellenza qualsiasi sia il genera in cui si cimenta. Lo rivedrei all'infinito.
Una partita a scacchi appassionante tra strategie contrapposte, con mosse e contromosse, in cui un disilluso Sanjuro si assume il compito di fare da chioccia ad un gruppo di giovani e ingenui samurai contro la corruzione ed i complotti di palazzo. Raramente lo scontro diventa frontale, si agisce più per sotterfugi ed inganni. Qui con ogni probabilità è l'origine della disillusione di Sanjuro, la fine di un'epoca, dove è più difficile riconoscere il proprio nemico. Un film di samurai in apparenza, ma dove il codice ha sempre meno rilevanza. Molto amaro il finale.
Non sapevo che fosse il sequel di Yojimbo,in ogni caso inferiore solo perché alcune dinamiche ripetute non hanno più la stesa novità ma Mifune è strepitoso e Kurosawa dirige un altro film d'azione in cui riesce ad unire esigenze commerciali,regalando al pubblico cinema di puro intrattenimento mai noioso,a dei bei spunti morali ed etici ravvisabili soprattutto nel finale e dalle parole del samurai. L'intreccio di due fazioni che si combattono stavolta si divide in buoni e cattivi e Sanjuro non è tra l'incudine e il martello ma sa benissimo da che parte stare,ma i doppigiochi astuti sono gli stessi. Il protagonista è anche affascinante di suo: samurai apparentemente pigro e menefreghista ma che fa la cosa da fare,con un proprio onore da preservare. Inserire in questo tipo di film un messaggio contro la morte è scelta vincente e da un'anima propria al lavoro di Kurosawa,proprio perché i morti sono tanti anche se il sangue è poco. E,a proposito di sangue,mi ha sorpreso molto la scelta di inserire una particolare scena di violenza proprio nel finale,ad aumentare l'impatto emotivo e l'abominio che provoca una morte,ancora più grande se a subirla è un uomo che Sanjuro ritiene uguale a lui per il codice d'onore che li lega. Meglio Yojimbo,ma ottimo sequel.
Tsubaki Sanjuro è un riuscito jidaigeki firmato Kurosawa, che confeziona un'opera serrata, avvincente e concisa dove il superfluo non trova spazio: ogni elemento ha una sua precisa funzione narrativa e così i poco più di 90 minuti di proiezione risultano pieni e senza il minimo calo di ritmo. Il personaggio di Mifune è uno di quelli che ho preferito tra i numerosi che questo leggendario attore ha impersonato: come sempre è sbruffone e sicuro di sé, ma ha anche una vela malinconica che lo rende molto umano facilitando così l'empatia con lo spettatore, oltre al fascino che scaturisce dall'essere un personaggio totalmente avvolto nel mistero (anche il suo nome è fasullo: Tsubaki è la camelia, e dice di chiamarsi così solo perchè aveva visto una camelia, mentre Sanjuro vuole dire "sulla trentina"). Egli è il classico personaggio che nell'immaginario collettivo giapponese è sempre e inevitabilmente il più affascinante: in una società zeppa di regole e in cui ognuno deve stare sempre al suo posto e uniformarsi con gli altri, secondo il proverbio nipponico che "il chiodo che sporge vien battuto", quando vi è un chiodo che effettivamente decide di sporgere e non uniformarsi, come il nostro Sanjuro, ma come decine e centinaia di altri personaggi nel folklore, nel cinema, nel fumetto e nell'animazione giapponese, esso risulta brillante, attraente; e tutti inevitabilmente vi anelano, consci d'altra parte che non avranno mai la forza e il carattere per essere come lui. Impossibile poi non citare la bellissima e anticonvenzionale scena del duello finale, carica di pathos e infine anche disgustosa e scioccante, in un film che fino a quel momento non aveva praticamente fatto vedere una goccia di sangue. Ma questo disgusto serve per condividere lo stato d'animo di Sanjuro, che infatti si adira con i 9 samurai quando essi si complimentano con lui per la vittoria. Normale che uno spirito libero, anarchico e con una scala di valori lontana da quelli condivisi decida di andarsene via da solo, verso una meta e un futuro ignoti.
E' un film magnifico soprattutto per l'originalità e l'anticonvenzionalità. Formalmente è uno splendido film del genere "samurai". Ci sono lotte fra opposti schieramenti, duelli, avventure, suspense, l'eroe buono e quello cattivo, insomma tutto quello che lo spettatore è abituato a vedere e che si aspetta. Eppure Kurosawa utilizza proprio le convenzioni tipiche dei film di genere per smontarne gli stereotipi e rovesciare il messaggio che normalmente trasmettono. L'eroe in qualche maniera diventa anti-eroe e l'etica della supremazia e della violenza lascia il posto a quella del raziocinio e del rispetto per le persone. Pochi hanno avuto la capacità e il coraggio di operare questa trasformazione. Questo è ottenuto mettendo a confronto l'anziano ed esperto ronin Sanjuro con alcuni giovani aspiranti samurai, inesperti e fin troppo ligi alle "regole". Anche questo film affronta quindi il tema tipico dei film di Kurosawa, cioè il contrasto fra ragione/vita e impulso/distruzione. Sanjuro, qui più che in Yojimbo, viene presentato come un persona fuori da tutti gli schemi prefissati per il ruolo di guerriero. Non si cura esteriormente, non si dà arie, non si dà il minimo contegno, non brama la lotta o lo scontro, non deve far vedere a tutti i costi che lui è il più bravo e il più valoroso. Quello che conta per lui è arrivare nella maniera più efficace e indolore possibile alla meta prefissata. La preminenza è data quindi all'astuzia, al doppio gioco, insomma all'intelligenza più che al valore. Di fronte a Sanjuro ci sta un gruppo di 9 giovani samurai romantici. Tengono tantissimo al loro aspetto esteriore e usano pure l'apparenza come metro per giudicare le persone. Per questo finiscono sempre per farsi ingannare. Agiscono poi solo in base al loro irruento istinto idealistico di mostrare coraggio e valore ad ogni costo e finisce così tutte le volte che loro decisioni sono sempre quelle sbagliate. Kurosawa è impietoso nei loro confronti, tanto da farli passare a volte come ridicolmente ingenui. La conclusione è che il mondo umano viene compreso solo dai pochi che riescono ad andare al di là delle apparenze e che scrutano dentro i fatti e le persone. Il fine però non giustifica i mezzi o almeno i mezzi non devono mai diventare più importanti del fine. Ce lo ricorda un bellissimo personaggio, quello dell'allegra e umana moglie del ciambellano, amante dei fiori e nemica del sangue e della violenza. Lei sì che vede bene dentro le persone. Riconosce subito la vera essenza di Sanjuro: "lei è come una spada sguainata, troppo tagliente e pericoloso; le spade migliori sono quelle che rimangono dentro il fodero". E' un giudizio che coglie proprio nel segno, nell'intimo conflitto di Sanjuro. Lui si sente dentro come un eroe dei film di Ford, una persona che interviene a risolvere i conflitti ma che non è adatto a rimanere in società. Così è anche il destino di Sanjuro in questo film, non prima però di avere dato un saggio di duello finale fra i più anticonvenzionali e "artificiosi" che siano mai stati girati. Lo scopo è quello di "schifare" lo spettatore e non di esaltare le doti dell'eroe. Sanjuro stesso si sente alla fine un verme e una persona schifosa per quello che ha fatto, per un azione che in altri film sarebbe valsa l'apoteosi e la celebrazione. Bravissimo Kurosawa; ci hai fatto capire, senza voler nascondere o censurare, che c'è poco da divertirsi e da gioire con la morte delle persone.
Altro grande lavoro di Kurosawa purtroppo poco conosciuto in Italia. Grandi Interpreti (Toshiro Mifune, Tatsuya Nakadai) per un film girato e costruito alla perfezione sull'immortale figura di Sanjuro, il ronin ribelle, che sembra quasi andare a sconvolgere i valori etici del buon samurai. Indimenticabili le sue parole finali.
P.S. Ho sentito dire che in giappone ne stanno facendo un remake, sperimano ne sia degno.
Segue di un anno "la sfida del samurai" e ne riprende il personaggio principale; pur avendo dei punti in comune con il suo predecessore non si può definirlo un vero e proprio seguito. Sanjuro (il cui nome significa "camelia") questa volta si mette a capo di 9 inespertissime guardie il cui signore, il ciambellano di un villaggio, è stato fatto prigioniero dal sovrintendente, che lo ricatta. Anche stavolta Tsubaki adotta i più svariati stratagemmi frutto della propria astuzia, come fingere di schierarsi col nemico. E' un film avvincente, meno spietato e rude del predecessore. Qui Kurosawa mescola un pò di più le carte, aggiunge una nota più decisa di humour ed il risultato è ottimo, anche se globalmente inferiore rispetto a "la sfida..". Divertentissime le parti in cui il samurai, la cui indole gli richiede di "uccidere quando non può farne a meno" si "scontra" con il pacifismo della moglie del ciambellano, che gli raccomanda di non far uso di violenza, come una nonna fà col nipotino, e Sanjuro acconsente nel più grande imbarazzo. Può essere visto anche senza conoscere "la sfida del samurai".