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Viaggio nei ricordi di un assassino seriale morente, Lothar Schramm, noto come il killer del rossetto, vittima di un incidente domestico mentre cerca di ripulire il sangue derivante dal suo ultimo massacro. Dal giaciglio finale, un pavimento sporco di sangue e vernice, Jorg Buttgereit estrapola dalla mente dell'omicida sprazzi di vita e sogno, realtà e allucinazione. L'obiettivo è quello di portare a galla il disagio e la malattia mentale, le devianze sessuali e il senso di colpa, ma anche un'"umanità" insospettabile, sottolineata da ricordi infantili e dal rapporto con la vicina di casa, una prostituta, accettata (probabilmente) in quanto parte del mondo laido in cui il protagonista si è trovato emarginato. Regia, montaggio e colonna sonora sono facilmente ascrivibili al buon Jorg, efficace soprattutto nelle scene allucinatorie/oniriche ed oculato nel negare coordinate ben precise attraverso piccoli indizi: ad esempio la gamba del protagonista, prima zoppa, poi sana, quindi addirittura mancante, come a sottolineare un mosaico delirante creato da una mente instabile in cui è impossibile raccapezzarsi. Rispetto al masterpiece "Der Todesking" e al notevole "Nekromantik" il regista tedesco giunge più "impegnato" ma anche maggiormente fiacco, si impossessa con autorità del concetto ma ad essere incisivo in modo sporadico. L'approccio è sempre lo stesso, lugubre e a tratti estremo, eppure qualcosa viene mancare nello scacchiere esistenziale di "Schramm", come se ad un certo punto la pellicola si incartasse su se stessa, finendo con il reiterare concetti molto interessanti ma bloccati da un metaforico muro invalicabile, dietro al quale neppure al regista è concesso avventurarsi.