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Proprio quando mi ero ripromesso che, in un futuro forse molto lontano, avrei provato almeno a girare una trasposizione cinematografica di "Storia Dell'Occhio" di Bataille, ecco che scopro che un film tratto dal romanzo esiste già. Un film italiano per giunta e con una scelta infelice di titolo e locandina che lasciano presagire uno di quei filmacci italiani erotici anni '70.
Ora. Trasporre Bataille è difficilissimo, se non impossibile: al di là del suo immaginario malato, carnale, vertiginoso, profondamente colto e volgare allo stesso tempo, il problema risiede anche nell'inimitabile scrittura dell'autore francese. Come riproporre "Storia Dell'Occhio", un capolavoro della letteratura, senza cadere in facili e umilianti trappole? Un romanzo secco, volgare, provocatorio, animalesco e selvaggio, ma allo stesso tempo dolce, giovanile, fresco. La bellezza di quel romanzo risiede nell'estremo equilibrio tra gli opposti, ruotando attorno al delirante simbolismo uovo-occhio.
Simbolismo che non compare nel film "Simona", preferendo concentrarsi sulla narrazione. Eppure Longchamps si è impegnato. Il film parte molto bene immergendoci subito in un chiaro immaginario Bataillano: è visionario, rozzo e surreale. Promette bene sin da subito, per poi sgonfiarsi pian piano nell'inevitabile tedio. Il finale, che nel libro era pazzesco, si risolve troppo velocemente e senza minimo coinvolgimento emotivo, come se l'opera fosse monca.
Premio il coraggio del regista e la sua capacità di dirigere sequenze che avrebbe potuto girare anche Bataille stesso. Il risultato è sufficiente e poteva andare molto peggio.