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Con uno spietato scavo psicologico, Bergman sviscera l’anima delle 4 protagoniste, rovistando nei loro pensieri, nei loro ricordi, fin dentro alle perversioni recondite dell’inconscio. Sceglie di rappresentare il film con toni rosso acceso (che lui intende colore dell’anima). Ma è un rosso che non scalda. Tutt’altro. I suoi gemiti, le sue urla e i suoi silenzi gelano il sangue. Lo si potrebbe definire un film sul dolore. Ma l’autore si spinge oltre. Vuole spiare la soglia dell’aldilà, vuole dare voce alla morte, la sente urlare. Poi lascia aperta una fessura di speranza: la pietà (la governante che si concede ad un abbraccio materno), concepita come sola ancora di redenzione.