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Il dopoguerra è ancora una traccia principale per gli argomenti di Akira Kurosawa, tra cui la paranoia che segue la guerra e i suoi bombardamenti, tanto forte e concisa in IKIMONO NO KIROKU (Record of a Living Being) che il soggetto viene ideato come una satira inscenante l'assurdità di una tragica realtà, probabile colpa di un film poco ferreo e sicuro, orientato invero ad un dramma familiare tanto interessante quanto immobile, che impressiona solo raramente grazie alla presenza di un grande narratore come Kurosawa dietro la macchina da presa, il quale regala diverse ottime inquadrature statiche e gestisce in modo studiato le situazioni di massiccia presenza in piccoli spazi, ma oltre a diverse soluzioni studiate o buoni primi piani non comunica come ci aveva abituato in altre sedi.
Il Giappone è la nazione che ha vissuto l'esperienza diretta della bomba atomica. Non è la paura o il terrore di un evento distruttivo, ma il ripetersi di quello stesso evento e la sua dolorosa esperienza. La Bomba quindi non ha soltanto portato morte e dsitruzione in Hiroshima e Nagasaki, ma ha spazzato via la struttura sociale della famiglia che vive una realtà sgretolata tra l'istituzione paterna in crisi e divenuta preda delle proprie ossessioni e la nuova generazione più cinica ed egoista, pronta a cogliere l'occasione per disfarsi delle convenzioni vecchie per quelle nuove, dimenticando allo stesso tempo ciò che c'èera di buono nel vecchio. E' una spaccatura profonda che il pericolo atomico fa emergere come una cartina tornasole. Si passa quindi dalla paranoia alla noncuranza o al fatalismo. Non capisco però il perchè della scelta di Kurosawa di dare a Mifune un ruolo così lontano per età e per giunta recitato troppo sopra le righe. Sarebbe stato più ragionevole invertire i ruoli di Mifune e Shimura per ottenere più equilibrio, ma è probabile che ci siano ragioni più commerciali per tale scelta.
Film curioso e particolare, questo di Kurosawa Akira. Concordo con il commento di Anterme, anche se ritengo che quella di creare un personaggio con cui sia difficile identificarsi possa essere una scelta voluta. Per quanto irrazionale e pazzo sembri è comunque impossibile non condividere e comprendere in parte le sue paure, come infatti fa il personaggio di Shimura, che è quello con cui Kurosawa vuole che noi ci identifichiamo. Molto bella la scena finale, un'auto-citazione di Vivere con Shimura che, profondamente scosso dalla follia tutt'altro che insana del vecchio, scende esitante le scale, mentre la giovane ragazza le sale.
Anche i film cosiddetti "minori" di Kurosawa rimangono dei film molto piacevoli da vedersi e, nonostante trattino temi d'attualità dell'epoca, contengono messaggi sempre validi e richiami a istituzioni e situazioni che ci coinvolgono tutt'ora. In questo film un signore anziano (un Toshiro Mifune irriconoscibile), ricco e paternalista proprietario di una fonderia, giapponese vecchio stampo, essenziale, diretto, decisionista, cocciuto, legatissimo ai doveri, ma allo stesso tempo anticonvenziale e coraggioso; è preda di un autentico timore panico per una eventuale e data per sicura esplosione atomica. Non volendo finire arrostito come a Hiroshima (non ha paura della morte, ma non vuole morire in quella maniera) decide di vendere tutto e trasferirsi in Brasile. I problemi nascono per il fatto che vuole portare con sé la famiglia ufficiale e i vari figli seminati in relazioni extraconiugali. Lo fa per altruismo, perché vuole salvare i suoi cari e non capisce la loro opposizione. Il film si sviluppa su due piani. Il primo è quello della legittimità o no della paura nucleare che ha il protagonista (fino a che punto può diventare una fissazione o una pazzia) e se vale la pena o no di prendere contromisure. L'altro mostra lo sgretolarsi dell'istituto della famiglia a favore del proprio egoistico tornaconto. Un po' come in "Vivere", il protagonista viene tolto dalla sua routine quotidiana dall'imminenza di un evento estremo e risolutivo e in questa maniera si accorge di avere fondato la sua vita sul vuoto di valori, ritrovandosi alla fine tremendamente solo. L'approccio al tema, come solito in Kurosawa, è tipicamente personale e umano. In altre parole non si va ad indagare le cause politiche o generali del pericolo nucleare, si vuole mostrare piuttosto l'effetto che ha la paura nell'animo di una persona, le sofferenze, le pene, i conflitti e le lacerazioni che causa. Tutto in pratica grava sulle spalle della recitazione di Mifune, che stavolta però non è all'altezza. Un attore che ha appena 35 anni come fa a recitare un personaggio che ne ha più di 70? Tutto nel protagonista appare forzato ed estremizzato (sempre con il suo ghigno o il suo sguardo fra il terrorizzato e l'amareggiato) e a volte si riduce quasi ad una macchietta. Lo spettatore non riesce ad identificarsi nel protagonista e spesso viene proprio da considerarlo pazzo. Le ragioni dei suoi figli sono addirittura più comprensibili, anche se meno "nobili". Ma questo è tipico di Kurosawa che (giustamente) mette buono e cattivo in ogni personaggio. C'è da dire che all'epoca il problema nucleare era sentitissimo e la paura maledettamente reale. Mancando l'atmosfera del momento di uscita del film, noi attuali spettatori non riusciamo più ad entrare a dovere nello spirito del film. Dal punto di vista tecnico ci sono alcune belle scene (piani sequenza complessi, dialoghi ripresi di spalle, ecc..). La scena che rimane impressa è quella finale, la quale lascia una sottile inquietudine nello spettatore. Non è il Dottor Stranamore, ma anche questo film con la sua storia un po' paradossale e il suo approccio sentimentale ci ammonisce a dovere che la Fine (con la F maiuscola) potrebbe essere dietro l'angolo.