34 anni trascorsi con l'accendino in mano, 10 giorni per smettere di usarlo, 68 minuti per ridurre in cenere lo scroto dello spettatore.
Gipi porta scolpiti sul suo volto i segni del nicotinomane incallito: denti marci, pelle rugosa, colorito spento. Sbattuti orgogliosamente in primo piano a riempire lo schermo di una vendetta personale. Se la via intrapresa dal diario casalingo “Smettere di fumare fumando”, cronostoria di un'astinenza in concorso al 30° Torino Film Festival, è a tutti gli effetti quella amatoriale, la costrizione di trovarsi immersi in un contatto ravvicinato con tale aggressiva fisionomia ci trasmette una percezione molto vicina alla terza e persino quarta dimensione, lasciandoci più volte la terribile sensazione di inalare le folate di quell'alito mefitico. La rabbia e la frustrazione accumulate in una carriera non dovutamente apprezzata esplodono in una sfida frontale, uno sfogo a viso aperto per cui il fumo è solo un pretesto. I reali intenti dell'operazione infatti sono presto svelati, e le provocazioni narcisistiche che qualcuno ha definito “morettiane”, pronte a scagliarsi contro i nemici che avevano massacrato il precedente “
L'ultimo terrestre”. Il critico qui non viene tormentato nel sonno come in “
Caro diario”, ma irriso in conversazioni telefoniche che lo vorrebbero perennemente confinato in bagno, ad assegnare ai propri oggetti di analisi, nell'ossessiva/compulsiva tendenza citazionistica, metafore e riferimenti non sempre veritieri (in una scena Gipi e la compagna, seduti nel silenzio assordante di una cucina, indossano una maschera da ippopotamo, giustificato come omaggio a
Bud Spencer anziché ai “
Rabbits” di
David Lynch).
Ma il punto è capire fin dove può spingersi oggi l'uso privatistico del mezzo cinematografico, e se per certi esperimenti ormai non sia più opportuna la piattaforma di youtube, che offre visibilità planetaria e garantisce perlomeno libertà di fruizione, piuttosto che la sala di un festival che sfrutta il pubblico ponendolo in una condizione di vittima passiva, marionetta del divertimento di un singolo, complice obbligato di un gioco dispettoso. Per tornare a Lynch, “
INLAND EMPIRE” aveva già aperto il dibattito sulla mancanza di considerazione dell'utente finale, ma comunque il godimento estetico trasmesso dal maestro interveniva in favore di un'assoluzione con formula parziale. Per stessa ammissione di Gipi invece, non basta nemmeno questo a salvare “Sdff”, poiché “Il film non
ha nessuna velleità artistica, l'ho fatto solo per me, per avere un'occupazione mentale”.
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