Greta Garbo, 'La Divina', ma anche 'La Sfinge' e 'La Donna fatale': in queste definizioni è racchiusa la vera essenza della donna che fece innamorare di sè, uomini e donne di tutto il mondo, e della diva che, più di chiunque altra, con i suoi gesti solenni e persino estremi, seppe rappresentare ritratti di tragiche eroine, restando sempre e comunque persona e personaggio.
A quale altra donna è toccato il privilegio di rappresentare il mistero, di rappresentare l'irraggiungibile, il mito? A nessuna, nè prima e nè dopo di lei.
Mistero e irraggiungibilità, ma anche estrema riservatezza con la quale ha protetto la sua vita privata e la sua bellezza senza tempo, che ha fatto nascere la 'leggenda Garbo'.
Forse è proprio per questo che l'hanno chiamata 'La Divina', perchè donne così difficilmente esistono e perchè l'alone di mistero che l'avvolgeva la rendeva lontana e irraggiungibile, ed insieme, ogni volta, già raggiunta.
Come scrisse Cecil Beaton, fotografo delle stelle di Hollywood, '... non si sono mai visti occhi più profondi ed espressivi dei suoi'.
Ma la definì anche: 'infelice e nevrastenica, difficile ed egoista come un'invalida incapace di vivere'.
E Cesare M. Arconada, il suo primo biografo, dichiarò: 'La Garbo è una donna che non esiste dal punto di vista vitale'.
La fortuna della Garbo attrice risiedeva tutta nella magia del suo sguardo, che riusciva a trasmettere un misto di seduzione e di innocenza, di voluttà e di tenerezza, di peccato e di redenzione.
Per questo i suoi ritratti fotografici, tanti e di fotografi eccelsi, ebbero come punto focale non il suo corpo, ma i suoi occhi e il suo volto che molti considerarono il più fotogenico e ricco di espressività che mai il cinema avesse avuto.
La Garbo portò sullo schermo il sesso come non ha più fatto nessuna: a chi tenta di baciarla offre la gola con la testa girata all'indietro; a chi la desidera esaspera la tensione prolungandone l'attesa, come se lei desiderasse solo essere desiderata.
Le sue più grandi scene d'amore le interpretò con se stessa e con gli oggetti: i fiori in "Il destino", i mobili in "LA REGINA CRISTINA"; eppure la scena in cui accarezza amorosamente Ricardo Cortez in "Il TORRENTe" trasuda erotismo piuttosto spinto, ed anche in "Orchidea selvaggia", "IL BACIO" e "Romanzo" non mancano allusioni erotiche, decisamente audaci in quegli anni.
Per questo ci si innamorava di lei, come si innamorò Mauritz Stiller, uno dei maggiori cineasti svedesi, forse l'uomo che l'amo più di ogni altro al mondo.
Questa era dunque Greta Garbo.
In principio c'era Greta Lovisa Gustafsson, una ragazza svedese di umili origini, figlia di un netturbino e di una donna delle pulizie di origini lappone, nata a Stoccolma il 18 settembre 1905.
Terza di tre fratelli (Alva e Sven), Greta era una bimba dal carattere chiuso e riservato ed anche molto malinconico che la portava, spesso, a restare appartata preferendo, al gioco con le coetanee, 'fare teatro' nella sua cucina, truccandosi, vestendosi con abiti dismessi, ed organizzare spettacoli personali.
A quattordici anni dovette abbandonare la scuola per assistere il padre che aveva contratto una grave malattia.
L'episodio che le fece scattare la molla dell'ambizione avvenne nel 1920, poco prima della morte del padre, quando, accompagnandolo all'ospedale, venne sottoposta ad una serie di umilianti domande, tendenti ad accertare se la famiglia era in grado di pagare le onerose spese di degenza.
In una conversazione con il commediografo S. N. Bherman, ammise che fu in quell'occasione che giurò a sè stessa, che si sarebbe impegnata fino all'inverosimile per guadagnare tanti soldi da non dovere mai più sottostare ad una situazione così umiliante.
Dopo la morte del padre, la famiglia Gustafsson si ritrovò in gravi ristrezze economiche, e la giovane Greta si vide costretta a cercare un lavoro, adattandosi a fare un po' di tutto.
Il suo primo impiego lo trovò in un negozio di barbiere, dove aveva il compito di insaponare il viso dei clienti prima della rasatura.
Scontenta di quel lavoro trovò impiego come commessa presso i grandi magazzini PUB di Stoccolma, in qualità di addetta al reparto per la vendita di cappelli.
La sua prima apparizione è del 1920, in un cortometraggio pubblicitari per gli stessi magazzini PUB, "HERR OCH FRU STOCKHOLM", di Ragnar Ring; la Garbo vi compare in due scene in cui si prova una serie di cappelli davanti alle clienti.
Dopo aver posato per alcune foto e girato altri due film pubblicitari, due anni dopo arriva la svolta che le cambierà il destino.
Nell'estate del 1922, infatti, il regista Erik Petschler entra nel reparto di modisteria per acquistare una serie di cappelli per il suo prossimo film.
Qui nota la grazia e i modi gentili della giovane commessa e, seduta stante, le propone di partecipare al suo film, "LUFFARPETTER".
Nonostante i risultati non siano molto incoraggianti, la giovane attrice, non ancora Garbo, non si arrende e si presenta al direttore della Regia Accademia d'Arte Drammatica di Stoccolma, dove spera di superare il difficile test d'ingresso che le consentirebbe di studiare gratis, drammaturgia e recitazione.
Superata brillantemente la prova, si aprono per lei le porte della più prestigiosa Accademia di recitazione svedese.
Fare teatro era sempre stata la sua più grande passione, sin da bambina, e quindi l'impegno per lo studio non fu per lei particolarmente gravoso e nemmeno estremamente difficoltoso.
Fu durante questo periodo che venne scelta per interpretare il ruolo della protagonista nel dramma di Ibsen 'La donna del mare', in teatro.
La sera del debutto viene presentata al regista Mauritz Stiller, che, colpito dal suo carisma, freddo e irresistibile, manifestò il desiderio di conoscerla e di sottoporla ad un provino.
Finlandese di origine, rifugiato da tempo in Svezia perchè renitente alla leva, trasgressivo, eccentrico, più anziano di lei di oltre venti anni, Stiller era il più geniale regista svedese del momento, e una vera e propria potenza in campo teatrale.
'Non si illuda di aver recitato bene' disse alla giovane attrice, alla fine del provino; 'Ma sappi che potrà farlo', aggiunse poi, Stiller, che la prese sotto la sua protezione, esercitando una profonda influenza su di lei, e da attrice di teatro decise di farla diventare una stella del cinema.
A questo periodo risale anche il cambiamento di nome dell'attrice, che, sempre sotto la spinta di Stiller, decise di abbandonare il difficile cognome, Lovisa Gustafsson, tipicamente scandinavo, per assumere definitivamente quello di Garbo (derivato dal nome del re ungherese del XVII sec., Bethlen Gabor), con cui sarebbe diventata universalmente famosa.
Il primo film della coppia fu "LA LEGGENDA DI GOSTA BERLING", del 1924, che ottenne subito un grandissimo successo.
Il film, tratto da un romanzo della connazionale Selma Lagerloff, premio Nobel per la letteratura 1909 e prima donna al mondo a vincere il prestigioso riconoscimento, è la storia dei complicati e passionali rapporti familiari che guidano le azioni dei personaggi, in un crescendo da melodramma che sfiora la tragedia.
Pensato originariamente in due parti distribuite a pochi giorni l'una dall'altra, alla morte di Stiller (1928), un suo collaboratore, Ragnar Hyltén-Cavallius, riunì in un unico film le due parti, sonorizzandole e riducendole di quasi le metà, penalizzando molto la narrazione, ma mettendo in risalto il ruolo della Garbo, divenuta nel frattempo famosissima.
Il film, dopo la prima di Stoccolma nel marzo 1924, venne presentato a Berlino, dove raccolse unanimi consensi e dove l'attrice venne apprezzata da Georg Wilhelm Pabst, che la volle nel suo film, "LA VITA SENZA GIOIA", a fianco di una grande del cinema muto, la danese Asta Nielsen, in cui ha un piccolo ruolo un'ancora sconosciuta MARLENE DIETRICH.
Nel film la Garbo ha il ruolo della dattilografa Greta Rumford che, irretita da un macellaio e da una mezzana, unitamente ad un'altra povera ragazza, sfiora la corruzione, nella Vienna postbellica, salvandosi solo grazie all'amore di un giovane tenentino americano. La seconda ragazza, invece, scenderà i gradini della prostituzione e, omicida per gelosia, si redimerà per amore del suo fatuo amante, confessando la sua colpa.
Il film all'epoca venne accusato di eccessivo realismo scandaloso e fu variamente sforbiciato dalla censura. Oggi rimane un classico esempio di film moraleggiante piccolo borghese.
Catturata rapidamente da Hollywood, anzi dalla Metro Goldwyn Mayer, che ne fece il suo fiore all'occhiello, per stile e per classe, per oltre un ventennio, la Garbo attraversò l'Oceano e, in compagnia di Stiller, sbarcò dalla nave tenendo per mano il suo Pigmalione come se fosse il suo fidanzato.
'Vi sposerete?' chiedevano i cronisti; 'Siamo qui solo per lavorare' rispondevano all'unisono.
Sbalordì tutti per la sua goffaggine e la trascuratezza dell'abbigliamento, abituati com'erano alle stelle di Hollywood, provocanti, sofisticate, elegantissime, con ville mastodontiche sul Viale del Tramonto, dotate di piscine a forma di cuore.
Subito però si mise in moto un meccanismo perverso fatto di diete ferree, lezioni di stile e di portamento, allo scopo di raffinarla, plasmarla, farla diventare, cioè, una 'diva hollywoodiana'.
Ma Hollywood non l'amò: il potente Louis B. Mayer non sopportava il suo aristocratismo, il produttore Irving Thalbergh la odiava perchè aveva detronizzato sua moglie, la svenevole Norma Shearer, le altre dive (e divi) la rispettavano ma la detestavano perchè molto lontana da loro e dal loro stile di vita, e lo star-system si vendicò di lei negandole per ben quattro volte il premio Oscar, anche se nel 1954, tardivo e dal sapore chiaramente riparatore, l'Academy le assegnò quello 'alla carriera'.
Ma il suo pubblico l'amò, incondizionatamente e per sempre.
I primi film girati in America furono: "IL TORRENTE", "LA TENTATRICE" e "LA CARNE E IL DIAVOLO".
Di contenuto piuttosto modesto, hanno però un leit-motiv quasi sempre identico: quello di una donna perduta redenta dall'amore, ma costretta a rinunciare alla felicità terrena.
Ciò contribuì ad etichettarla come femme-fatale, a creare il mito della 'Divina' e a gettere le basi per un ventennio di gloria.
Fu due volte "ANNA KARENINA", la prima nel 1927 per Edmund Goulding, poi nel 1935 per Clarence Brown.
ANNA KARENINA, tratta dal romanzo di Tolstoj, eroina dell'amour-fou, è la nobildonna russa che lascia marito e figli per amore del fatuo conte Vronsky, il quale, però l'abbandona spingendola al suicidio,
Poi fu Tania Federova, spia russa e regina del doppio gioco, in "LA DONNA MISTERIOSA" di Fred Niblo; e Diana Merrik Furness aristocratica, viziata e suicida in "IL DESTINO", ancora di Clarence Brown.
Fu moglie infedele in "ORCHIDEA SELVAGGIA" e donna ammaliatrice in "IL BACIO", poi prostituta di marinai in "ANNE CRISTIE".
Adattato da una piece di Eugene O'Neil, quest'ultimo film è il primo sonoro della Garbo, e il primo girato in doppia versione: la prima, per la regia di Clarence Brown, destinato al circuito internazionale, fruttò all'attrice la prima nomination agli Oscar; la seconda, per il mercato tedesco ma rimasta inedita, per la regia di Jacques Feyder, con un cast differente, è considerata dai critici dell'epoca nettamente superiore al primo dal punto di vista artistico.
Lanciato con lo slogan 'Garbo speaks' (che verrà riveduto in 'Garbo laughs' per 'NINOTCHKA', il film in cui la Garbo ride sullo schermo per la prima volta), il film della Brown ci mostra l'attrice nel ruolo di un'ex prostituta che torna a casa dal padre, un vecchio pescatore, e perde la testa per un giovane naufrago scozzese, il quale, non conoscendo il suo passato vorrebbe sposarla.
Storica e indimenticabile la scena in cui la Garbo pronuncia le sue prime parole sullo schermo, 35 minuti dopo l'inizio del film, quando entrando nello squallido bar del porto dice al barista: 'Dammi un wisky, Jimmy, ginger ale a parte. E non essere tirchio, baby'.
Il sonoro nel cinema aveva fatto la sua comparsa tre anni prima, il 6 ottobre 1927, quando al Winter Garden Theatre di New York era stato proiettato "Il cantante di jazz"; ma la novità non aveva entusiasmato molto gli spettatori, tanto che i soliti profeti avevano ipotizzato una breve vita alla nuova tecnologia.
L'attrice, però, convinta delle potenzialità del sonoro, cominciò a perfezionarsi nello studio dell'inglese, per arricchire il suo vocabolario e migliorare la sua dizione e, conseguentemente, la resa artistica della sua recitazione.
E Stiller?
Amareggiato e deluso, fu lasciato da parte e dimenticato dai produttori americani.
La Garbo cercò di farlo lavorare, ma inutilmente, tanto che, a un certo punto fu lei stessa a consigliarlo di tornare in patria.
'Se vuoi vengo con te' gli disse, ma era chiaro che ciò le sarebbe costato un enorme sacrificio.
Stiller partì solo e, poco dopo, morì di un male misterioso.
Nell'ultima lettera inviata alla diva le dichiara il suo amore scrivendo: 'Non ho amato mai altra donna che te, che Dio ti benedica'.
E lei?
Bellissima, eterea, irraggiungibile, lei era diventata la prima stella del mondo.
Il sonoro invece di annientarla aggiunse fascino al fascino, valorizzando quella sua voce particolare, roca e profonda, che diverrà la voce stessa della seduzione.
Consacrata diva a livello internazionale, la Garbo continuò a dare splendite prove di recitazione, anche se i ruoli che le vengono proposti sono sempre più uguali a sè stessi: seduttrice fatale destinata al sacrificio e ad una tragica fine.
Sono di questo periodo "LA MODELLA" e "ROMANZO", entrambi di Clarence Brown.
Nel primo, infatti, è una modella dai molti uomini che rinuncia all'amore di un diplomatico per non compromettergli la carriera; mentre nel secondo, interpreta una cantante lirica italiana che vive un amore proibito, o almeno così crede, con un giovane e ingenuo seminarista.
Anche in "LA CORTIGIANA", di Robert Z. Leonard, contemporaneo dei due film della Brown, la Garbo, che ha al suo fianco un CLARK GABLE giovane e senza baffetti, resta fedele al suo clichè di donna peccatrice redenta.
Il film è la storia di una ragazza disprezzata dal patrigno che fugge di casa e si prostituisce, servendosi delle sue grazie per conquistare gli uomini, senza smettere mai, però, di pensare alla sua prima fiamma, che insegue fin nella sperduta palude del sudamerica, dove lui lavora.
Fu poi "MATA HARI", nel film omonimo di George Fitzmaurice.
Splendito ritratto di donna fatale e imprescindibile modello femminile per il cinema a venire, MATA HARI è una danzatrice e agente dello spionaggio tedesco che si innamora di un tenente russo (interpretato da Ramon Novarro) che in realtà doveva circuire. Quando il suo ex amante, un generale tedesco, per gelosia le impone di interrompere la missione, lei lo uccide e fugge. Saputo poi che l'uomo che ama è rimasto ferito, torna per assisterlo, ma viene arrestata dal controspionaggio francese e condannata a morte, che accetta impassibile pur di non tradire l'amato.
La galleria di donne provate dalla vita prosegue con il ruolo della ballerina russa in declino nel film "GRAND HOTEL", di Edmund Goulding; poi fu la sfortunata regina di Svezia in "LA REGINA CRISTINA", di Rouben Mamoulian, il suo ruolo e il suo film più bello, imposto da lei alla MGM, in cui si scelse personalmente regista e partner, John Gilbert, ottimo interprete e divo unanimamente considerato il più irresistibile al mondo, ma non in grado di offuscare la sua luce.
A seguire quattro ruoli fra i più belli della storia del cinema e quattro ritratti di donne perdute accumunate dallo stesso destino: conoscere l'amore ma essere costrette a rinunciarvi.
Comincia con "ANNA KARENINA", di Clarence Brown, la nobildonna russa suicida per amore (ruolo da lei già interpretato nel 1927): prosegue con "MARGHERITA GAUTHIER", ovvero 'La signora delle camelie', ovvero 'Violetta', ovvero 'La traviata', ovvero la cortigiana parigina innamorata del ricco Armand Duval. Preoccupato perchè la relazione compromette il buon nome della famiglia, il padre di lui supplica la donna ad abbandonare il figlio. Quando questi si renderà conto del'inganno paterno, non fa in tempo a ricongiungersi all'amata, che muore minata dalla tisi
Successivamnete fu "MARIA WALEWSKA", ancora in un film di Clarence Brown, cioè la contessa polacca che si reca da Napoleone per perorare la causa dell'indipendenza polacca. Scoppia la passione, avrà da lui un figlio, ma non il suo amore.
Infine fu "NINOTCHKA", nel film di Ernest Lubitsch, cioè la commissaria politica sovietica, disertrice per amore a Parigi
Al vertice del successo, pareva avesse davanti a sè una carriera lunghissima e luminosissima; invece dopo il fiasco del doppio ruolo (una donna trascurata dal marito e la sua finta gemella con cui spera, ingannandolo, di riconquistarlo) nel film "NON TRADIRMI CON ME", di Gerorge Cukor, inopinatamente si ritirò dalle scene e non ne volle più sapere di cinema.
Aveva appena trentasette anni ed era ancora bellissima.
Cosa la spinse ad abbandonare il set non è dato ancora sapere: forse un moto di disgusto verso un mondo che l'aveva resa ricca e famosa ma che non l'aveva realmente mai amata e, soprattutto non l'aveva resa felice o, molto più probabilmente, un lucido disegno per non far tramontare il mito che si era creato e che le avevano cucito addosso.
Visse di rendita a New York conducendo una vita qualsiasi: usciva raramente di casa, il capo coperto da un cappello a larghe tese che le copriva il volto ed enormi occhiali scuri che le nascondevano i bellissimi occhi.
Tornò ad indossare le sue famose scarpe basse dal tacco inverosimile, i suoi larghi pantaloni e i suoi camicioni dal taglio inconfondibilmente maschile.
In molti tentarono di riportarla al cinema, offrendole ruoli importantissimi, specie in Europa.
Ci riuscì quasi, Max Ophuls con un film tratto da 'La duchessa di Langeais', invece non se ne fece nulla.
Nel 1942 firmò un contratto con la MGM per il film 'The Girl from Leningrad', che non fu mai girato.
Col passare del tempo si fece sempre più scontrosa e triste, forse non era più nemmeno tanto bella, sicuramente era lontana dal mondo.
Dicono che fosse 'alla ricerca del tempo perduto', del suo tempo perduto, quando, ancora ragazzina, insaponava il viso dei clienti nel negozio di barbiere a Stoccolma, ma che non l'abbia più ritrovato.
Morì al Medical Center di Manhattan a New York, il 18 settembre 1990.
Era stata l'emblema di una stagione cinematografica straordinaria ed irripetibile, e di un certo cinema che aveva consolidato negli spettatori sogni ed illusioni, fantasia ed esotismo, cinema che la guerra aveva irrimediabilmente spazzato via e che il nuovo pubblico, più smaliziato e concreto non riconosceva più; anche se, oggi, i suoi ruoli più belli colpiscono al cuore.
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Biografia a cura di Mimmot - ultimo aggiornamento 04/04/2006
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