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"L'inferno è ripetizione"
Così ha scritto una volta Stephen King.
"1408" è tratto infatti dall'omonimo racconto di Stephen King contenuto nella raccolta Tutto è Fatidico. Si tratta di un racconto che ha una genesi particolare la cui esegesi è sicuramente interessante per comprendere i pregi e i difetti del film che ne è stato tratto.
Alcuni anni fa Stephen King decise di scrivere una sorta di autobiografia in cui analizza la propria professione di scrittore (il libro in questione è "On Writing"). È in seno a questa esperienza che "1408" trova la propria origine. Le prime pagine di questo racconto, infatti, sono state scritte da King a livello esemplificativo per i lettori di On Writing con una duplice finalità: esso doveva spiegare come ogni scrittore debba prima o poi affrontare la tematica della casa infestata e doveva poi chiarire in che cosa consiste la differenza fra la prima stesura di un racconto e la sua stesura definitiva. Ma che cosa accadde? Stephen King è uno dei pochi scrittori che nella vita è stato davvero capace di coniugare felicemente la propria passione con il proprio lavoro, svolgendo la sua attività con un divertimento giocoso che pochi possono vantare. Per questo suo modo di affrontare la scrittura, il nostro si trovò affascinato da queste poche pagine che aveva scritto a mero scopo esemplificativo e, come si sa, spesso le storie vivono di vita propria e il loro autore in verità non è altro che un tramite. Fu così che King, quasi per gioco, decise di continuare la stesura del racconto.
Questa è la genesi di "1408".
È così che il breve racconto di King è stato poi affidato alle mani di tre sceneggiatori che raramente si sono cimentati con il genere horror: Matt Greenberg, Scott Alexander, Larry Karaszewski. Per essere esatti si deve dire che Matt Greenberg è il solo fra i tre che già si era cimentato con il genere horror. Sono sue infatti le sceneggiature di "L'Angelo del Male" ("The Prophecy 2", 1998), di "Halloween, 20 anni dopo" (1998), dell'episodio pilota della serie televisiva americana "The Invisible Man" e di un episodio della serie "Masters of Horror", oltre ad essere stato cosceneggiatore de "Il Regno del Fuoco" ("Reign of Fire", 2002). Questa sua pregressa esperienza chiarisce il fatto che Greenberg abbia coadiuvato il lavoro di Alexander e di Karaszewski. Questi ultimi due, che hanno quasi sempre lavorato in coppia, sono sceneggiatori più navigati ed esperti. Per esempio sono loro le sceneggiature di tutta la serie "Piccola Peste" ("Problem Child", 1990, 1991, 1995), di "Ed Wood" (1994), "Larry Flynt - oltre lo scandalo" ("People vs Larry Flynt", 1996), "Man on the Moon" (1999). Essi hanno inoltre in fase di scrittura la sceneggiatura di "Cell" (annunciato per il 2009) anche questo tratto da un romanzo di Stephen King.
Perché è così importante andare a vedere tutti gli scritti che risiedono dietro la realizzazione del film "1408"? Per il semplice fatto che si tratta di una di quelle pellicole che si fonda su due fattori: una solidissima sceneggiatura che guidi anche la mano del regista (lo svedese Mikael Håfström) e molti effetti speciali. Il regista Mikael Håfström è infatti alla sua seconda regia di una produzione statunitense (la prima era stata "Derailed", 2005) e, come ormai si sa, le Major americane accordano agli artisti europei una fiducia limitata, imbrigliando il loro lavoro di direzione artistica in seno a confini rigidissimi imposti dalla produzione attraverso l'approvazione di una sceneggiatura di ferro.
E così nasce il film "1408". Il racconto di Stephen King è rispettato assai fedelmente, tanto che i dialoghi sono mutuati da esso quasi nella loro interezza. Ma se gli sceneggiatori si fossero affidati esclusivamente ad un racconto di circa 45 pagine, in cui si crea una grande aspettativa nel lettore di tutto quello che potrebbe accadere in questa misteriosa stanza numero 1408 che poi viene liquidata brevemente (e giustamente secondo i criteri narrativi dello schema del racconto) in poche pagine, ne sarebbe uscito un film troppo breve, forse più prossimo ad un episodio di una serie televisiva come Masters Of Horror, che non a un film destinato alle sale cinematografiche.
Quindi che cosa è accaduto? Gli sceneggiatori non si sono limitati a trasferire integralmente il racconto di King nella loro sceneggiatura.
Essi hanno approfondito la storia e la psicologia del protagonista Mike Enslin (John Cusak) ed hanno enormemente ampliato la sua permanenza all'interno della stanza 1408, ingigantendo le manifestazioni paranormali. Su questo torneremo più avanti.
"1408", racconta una storia abbastanza classica e non avrebbe potuto essere diversamente dato che la sua genesi, come già detto, è quella di un racconto dimostrativo su come affrontare una storia appunto di genere.
Sono molto buone le aspettative, la tensione e la curiosità che si vengono a creare nello spettatore intorno ai misteri racchiusi nella stanza 1408.
"Le camere degli alberghi sono luoghi inquietanti per definizione. Provate a pensare quante persone hanno dormito in quel letto prima di voi. Quante di loro erano malate? E quante sono morte?"
Così dice (più o meno testualmente) Mike Enslin parlando nel microfono del proprio registratore portatile. E questo è vero. La storia sulla camera maledetta o sulla casa infestata si vende da sola. Compito degli autori è, in seno ad un cliché classico, riuscire ad attrarre ugualmente l'attenzione del pubblico e, se possibile, analizzare il cliché sotto una nuova ottica o trasmettere comunque qualcosa di nuovo, fosse anche una semplice variazione sul tema.
Non era un caso che circa l'ottanta percento del racconto di King fosse finalizzato a creare l'aspettativa di che cosa potesse mai nascondersi dietro la porta della 1408 e solo il venti percento, invece, narrasse gli accadimenti al suo interno.
Purtroppo nel film questa prospettiva e completamente invertita e da qui scaturisce il primo vero punto debole della pellicola. Circa tre quarti di essa, infatti, sono ambientati all'interno della stanza 1408. Questo ha costretto gli autori della sceneggiatura a ricorrere ad un espediente dietro l'altro nel tentativo di non far calare mai l'attenzione. E si deve riconoscere che sono stati davvero bravi e che hanno saputo creare un'atmosfera e alcuni colpi di scena di ottimo livello e di grande effetto. Tuttavia la cosa alla fine risulta essere tirata un po' troppo per le lunghe. Questo fatto danneggia irreversibilmente l'atmosfera che era stata creata e alla fine potrebbe anche arrivare ad annoiare lo spettatore. Oltre un certo limite le trovate diventano eccessive e la situazione diventa tanto estrema ed ingigantita da scadere quasi nel grottesco.
Se a questo si aggiunge che gli sceneggiatori non hanno resistito alla tentazione d'introdurre il personaggio della figlia morta di Enslin, facendo assumere ad una storia di demoni e di fantasmi una dimensione vagamente teista, di speranza in una vita dopo la morte e dell'esistenza di un'anima immortale (argomenti già intrinseci ad una storia che parla di fantasmi e che quindi non richiedono ulteriore spiegazione né maggiore enfasi), allora si possono vedere bene le pecche di questo film.
Si pensi al dialogo immaginifico fra il protagonista e Mr. Olin (Samuel L. Jackson), che appare all'interno del minibar della 1408, durante il quale il direttore dell'albergo accusa Enslin di aver ucciso nei suoi lettori la speranza in una vita dopo la morte a causa del suo scetticismo nei confronti delle storie di fantasmi.
Si aggiunge a tutto questo anche un errore di fondo, perdonabile ma comunque incoerente, derivante dalla necessità di ampliare la narrazione dei fatti all'interno della stanza. Mr. Olin dice a Enslin che il motivo per cui la 1408 ha ancora una serratura ed una chiave, anziché una tessera magnetica deriva dal fatto che gli strumenti tecnologici ed elettronici non funzionano o funzionano male all'interno di quella particolare camera.
Questa frase è mutuata pari pari dal racconto e si tratta di una considerazione ovvia. Essa rappresenta il conflitto fra la razionalità, rappresentata dalla scienza e dalle sue applicazioni, e l'irrazionalità, il desiderio umano di rifugiarsi in un mondo che conservi ancora un po' di magia e un po' di mistero, rappresentato dal sovrannaturale nelle sue varie manifestazioni e sfaccettature. In questa ottica stride la presenza della radiosveglia a cristalli liquidi e della televisione all'interno della stanza. Elementi che, naturalmente, nel racconto non ci sono o che non hanno nessuna rilevanza. È però anche vero che essi vengono monopolizzati dalla stanza stessa e diventano suoi strumenti e sue armi contro lo sventurato avventore. È per questa ragione che stiamo dicendo che trattasi di una incongruenza trascurabile, che però in certa misura va a denaturare l'impatto del contrasto fra la ragione e la fantasia.
Nonostante i sopraccitati difetti, "1408" deve reputarsi un buon prodotto per una vasta serie di ragioni.
Innanzitutto il ritmo della narrazione è serrato ed avvincente.
Eccezion fatta per una certa stanchezza derivante dalla lungaggine della permanenza del protagonista nella camera, il film crea una buona atmosfera, suggestiva ed angosciante. Naturalmente gli effetti speciali sono ottimi, fantasiosi ed inquietanti. Tuttavia e non paradossalmente, sono proprio loro, nel desiderio di mostrare troppo, a far scemare la paura, la tensione e l'angoscia di tutta la vicenda.
Samuel L. Jackson e John Cusak si dimostrano bravissimi. Il loro breve faccia a faccia è forse uno dei momenti migliori dell'intera pellicola.
Difficile invece analizzare l'opera del regista che, come si è detto, era troppo imbrigliato dai confini dettagliati della sceneggiatura. La sua direzione risulta indubbiamente buona, tuttavia resta troppo più simile al lavoro di un manovale che non a quello di un artista.
Inoltre si deve ricordare che riuscire ad adattare per il grande schermo un'opera (anche minore, come in questo caso, per non dire addirittura mediocre) di Stephen King non è per niente facile. Infatti sono molti i registi che partendo da suoi libri ottimi e di grande successo hanno dato vita a film che definire pessimi sarebbe un eufemismo. Mikael Håfström ha dato prova di saper realizzare un'ottima trasposizione, ma quanto questo possa essere merito suo o merito degli sceneggiatori è difficile dirlo.
Come accennato, la sceneggiatura è di ottimo livello, nonostante le piccole cadute di cui abbiamo parlato.
I dialoghi sono davvero ben scritti. Interessanti, rapidi e quasi mai gratuiti, potrebbero essere citati quasi allo sfinimento.
Anche la soluzione finale della vicenda è assai buona. Essa riprende solo parzialmente quella (in verità più convincente) adottata da King nel proprio racconto, e l'amplifica a livello gargantuesco.
Si deve parlare ora di un confronto necessario a causa di quanto scritto da certa parte della critica.
Il raffronto fra "Shining" e "1408".
In questa sede vorremmo dire che il raffronto non esiste e che non si riesce a capire il perché di tale associazione. Sia lo spessore psicologico, sia quello artistico, sia quello narrativo, sono lontanissimi e separati da una differenza abissale, proprio come lo sono le due opere di Stephen King. Si immagina che nessun lettore che si sia trovato fra le mani il racconto "1408" abbia mai pensato di paragonarlo ad un romanzo del calibro di Shining e questo per un semplice motivo: sono in realtà due storie completamente differenti. E non si venga a contestare che in entrambe si parla di camere maledette e che il protagonista è uno scrittore.
Un'altra differenza abissale fra i due film è costituita dalla loro dimensione spaziale. Entrambi sono sì claustrofobici, ma in "1408" abbiamo uno spazio circoscritto terribilmente limitato, una vera e propria prigione, mentre in "Shining" ci si trova prigionieri di spazi ampi e labirintici (al di là del labirinto di siepi) proprio come i meandri della follia umana.
Tuttavia da questo apparentemente inutile raffronto si può trarre uno spunto di riflessione.
Si pensi ad una della sequenze finali di "Shining": quando Wendy Torrance vede le varie presenze che albergano l'Overlook. Tutte quelle presenza hanno una propria storia nel romanzo, non ne hanno nessuna, invece, nel film. La rapidità del susseguirsi di immagini e di personaggi, senza nessuna spiegazione, crea nello spettatore inquietudine e anche un certo raccapriccio. Se in "1408" si fosse seguita questa linea di condotta, magari sforbiciando un po' le situazioni relative alla permanenza del protagonista in seno alla camera, allora il risultato sarebbe stato assai migliore.
Complessivamente "1408" mantiene in grandissima parte le promesse fatte. È divertente ed angosciante quanto basta. La qualità della messa in scena è ottima e di alto livello. Il senso di claustrofobia, quello di prigionia, quello di abbandono, quello di disperazione sono ben presentati e ben sviluppati. Essi contribuiscono a creare quell'inferno che è anche ripetizione. Metafora di quell'inferno interiore e personale che può spingere molti individui al suicidio o alla riscoperta dell'attaccamento alla vita e del desiderio di vivere, oltre che di sopravvivere.
Se non fosse per l'impatto visivo degli effetti speciali, si consiglierebbe di guardare questo film tranquillamente a casa propria.
Ma tenuto conto dell'ottima qualità visiva se ne consiglia la visione in una buona sala cinematografica.
"Anche se uscirai, non potrai mai lasciare questa stanza!"
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Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli - aggiornata al 04/12/2007
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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