Voto Visitatori: | 7,01 / 10 (127 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 7,50 / 10 | ||
La distribuzione italiana, si sa, è piuttosto sciagurata, e mentre ci delizia con le infinite avventure dell'enigmista immortale, o con l'ennesimo sequel del prequel del remake, ignora tranquillamente un fatto di cui tutti, tranne noi, si sono accorti: in Europa sta rinascendo il cinema di genere.
Alexandre Aja, Neil Marshall e Jaume Balaguerò sono solo i nomi più noti all'interno di un panorama in continuo fermento, che rappresenta una vera e propria ancora di salvezza per gli appassionati di horror sparsi in tutto il mondo. Italiani esclusi, s'intende, tutti presi a dibattersi sbadigliando tra un Moccia e l'altro e ad assorbire passivamente la spazzatura di stampo televisivo che ci arriva da Hollywood.
"A' l'interieur", degli esordienti Alexandre Bustillo (anche sceneggiatore) e Julien Maury, è una delle ultime vittime di questa sconsiderata concezione della distribuzione in sala. Da noi è inedito. Forse tra qualche anno farà una fugace apparizione tra gli scaffali dei videonoleggi per cadere subito nel dimenticatoio. E magari è anche giusto così: se un film del genere uscisse da noi, scatenerebbe minimo tre o quattro family day.
L'opera prima della coppia di registi è una specie di sintesi perfetta della rinascita cinematografica dell'orrore targato Europa, soprattutto quello sviluppatosi in terra francese. Ne racchiude tutti i pregi ed i difetti, e suona quasi come una programmatica dichiarazione d'intenti.
Sia Bustillo che Maury sono appassionati di cinema horror; Bustillo è anche redattore della rivista specializzata "Mad Movies". Come molti loro colleghi americani, quindi, conoscono alla perfezione il genere ed i suoi meccanismi, e affrontano la materia trattata con lo slancio un po' folle (e demente) tipico del fan sfegatato. Non è una novità: basti pensare ad Eli Roth oppure, andando indietro nel tempo, a Kevin Williamson. Solo che "A' l'interieur" non si trova dalle parti di un "Hostel" qualsiasi; ci troviamo in un territorio completamente diverso, più oscuro, del tutto estraneo alla violenza millantata negli spot pubblicitari e, alla prova dei fatti, invisibile del cinema horror statunitense dell'ultimo decennio. Bustillo e Maury mantengono ciò che promettono: superano ogni limite consentito per approdare direttamente all'oltraggio. Anzi, oltrepassano la nozione stessa di oltraggioso e ti sbattono in faccia l'insostenibile. Erano anni che nel cinema occidentale (non amatoriale) non si assisteva ad una tale esplosione di brutalità, esibita senza freni inibitori di fronte al povero spettatore ignaro, che si aspetta di vedere il solito torture movie e invece ha a che fare con un oggetto inaudito, viscido e ripugnante e tuttavia dotato di una gelida bellezza, tale da obbligarlo a non distogliere mai lo sguardo, anche quando il suo stomaco implora di fare il contrario.
I due registi sono consapevoli di agire, sostanzialmente, sul nulla.
"A' l'interieur" si basa su una sceneggiatura molto esile, quasi inesistente, che con ogni probabilità è stata scritta su un fazzoletto di carta. Smarrito poi durante le riprese. Il film è una classica storia di invasione domestica: donna sola, incinta e da poco vedova, si trova alle prese con pazza furiosa, introdottasi non si sa come nel suo appartamento, che vuole strapparle la sua creatura dal ventre. Vari comprimari assumono la funzione di carne da macello, da massacrare a piacimento, mentre le due protagoniste se le danno di santa ragione per poco più di un'ora e venti.
Tutto qui. Ma Bustillo e Maury non sembrano porsi il problema della scarsa originalità della trama; sono consapevoli del fatto che, oggi, è difficilissimo dire qualcosa di nuovo in un genere sempre più atrofizzato e avvolto su se stesso come l'horror e non hanno alcuna pretesa di essere innovatori; hanno ben chiari i loro riferimenti e non si vergognano di mostrarli.
In più, hanno il buon gusto di non voler mascherare da ammiccamento cinefilo che strappa un sorriso compiaciuto allo spettatore consapevole, i debiti contratti con le pellicole del passato. Anche quando le citazioni da altri film sono eclatanti (come nel caso di quella dal nostro "Anthropophagus"), c'è ben poco da sorridere.
La mattanza imbastita dai due francesi non lascia un solo istante di tregua; non si ha il tempo materiale di soffermarsi sui difetti della sceneggiatura, che oltre a essere scheletrica, possiede anche dei buchi logici non indifferenti. Non appena cominciamo a chiederci il perché stiano accadendo certe cose, ecco che Bustillo e Maury aggiungono un nuovo tassello alla rappresentazione del dolore su pellicola e noi riceviamo un altro colpo, al cuore e alle viscere.
Semplice macelleria per nascondere un imbarazzante vuoto di idee? È abbastanza lecito supporre che non sia così. Gli ettolitri di emoglobina disseminati per tutto il film sono solo l'aspetto più evidente e superficiale del lavoro svolto dai due registi francesi. Il pregio maggiore di "A' l'interieur" non è infatti l'abbondante presenza di gore, ma il suo impatto emotivo, che è assolutamente devastante e dovuto soprattutto al modo in cui la carneficina è messa in scena. Allo stile, insomma; al talento indiscusso della coppia nell'utilizzare la macchina da presa.
Se vi aspettate la solita sfilza di inquadrature rapidissime e impazzite, l'uso schizofrenico del montaggio, quella patina da videoclip o da spot pubblicitario che caratterizza molte delle produzioni di genere dell'ultimo periodo, resterete delusi (o piacevolmente sorpresi). Sin dalle prime scene, ci si rende conto di trovarsi di fronte a qualcosa di diverso: il ritmo del film è lento, quasi sonnacchioso, i movimenti di macchina sono morbidi e sinuosi, anche nelle scene in cui l'azione si fa concitata e frenetica, la regia mantiene il totale controllo delle immagini, supportata in questo dall'ottimo montaggio di Baxter, già visto all'opera in "Alta Tensione".
Bustillo e Maury non si accontentano di mostrarci la violenza a livello epidermico, vanno a fondo, scavano nell'orrore e ce lo svelano in tutta la sua dirompente brutalità. Non è la semplice materia trattata a disgustare e spaventare, ma la precisione, fredda e chirurgica, con cui la macchina da presa registra l'incubo in cui sprofonda la protagonista Sarah. E noi con lei. Siamo distanti anni luce dai torture movie classici, in cui il dettaglio splatter viene affogato in un marasma velocissimo che ci impedisce di capire realmente ciò che accade sullo schermo. È per questo che un solo fotogramma di "A' l'interieur" turba e sconvolge più di tutta la saga di "Saw" messa insieme, epigoni e cloni compresi. La forza delle immagini risiede nella loro stessa lentezza, nell'insistenza con cui ogni omicidio, ogni ferita, ogni squarcio nella carne ci viene mostrato; vedere la scena della tracheotomia improvvisata con ferro da calza per credere.
Il titolo stesso del film chiarisce alla perfezione gli intenti dei due registi: "A' l'interieur". All'interno. Dentro. E questo interno è sia l'appartamento borghese in cui Sarah cerca la sua illusoria sicurezza, mentre fuori infuriano le rivolte parigine, sia il ventre materno, che dona un altrettanto illusoria protezione al suo bambino, sia l'interno del corpo, squarciato, aperto, trafitto, esposto in tutta la sua disarmante fragilità. E quando questo corpo è quello di una donna incinta al nono mese, quando vediamo le reazioni del feto che imita i movimenti della madre, e alza le braccia per proteggersi dai colpi che Sarah subisce, ci rendiamo conto di avere a che fare con qualcosa di incandescente, che infrange i tabù e si spinge oltre i limiti consentiti. Persino le pareti della casa si fanno carne, quasi si assumessero la responsabilità di assorbire con Sarah la violenza scatenata dall'invasione della donna misteriosa. I muri ricoperti di sangue, i corridoi bui disseminati di cadaveri in cui si aggira, spietata e folle, la morte incarnata che Beatrice Dalle interpreta in maniera splendida e indimenticabile. Tutto contribuisce a creare un'atmosfera di assedio e claustrofobia, che cresce fino a diventare insopportabile nei minuti finali.
"A' l'interieur" non è un film privo di difetti. Le pecche più gravi risiedono tutte nella sceneggiatura che propone situazioni al limite della credibilità e che rischia seriamente di compromettere il lavoro svolto da Bustillo e Maury sul set. Per fortuna i registi conoscono il loro punto debole e ci risparmiano le spiegazioni prolisse, riducendo i dialoghi al minimo indispensabile. Preferiscono lasciare incongruenze e interrogativi insoluti, piuttosto che far crollare il tutto sotto i colpi di una logica fallace e inconcludente. Non ci interessa sapere chi sia la donna che si introduce nell'appartamento di Sarah; intuiamo il presunto colpo di scena dopo un paio di minuti dall'inizio del film e, se siamo in grado di stare al gioco e di non farci troppe domande, diventa molto semplice farci risucchiare da questo perfido e crudele gioiellino, che si rivela essere un elegantissimo, raffinato, meccanismo autoriale di sangue e dolore.
Purtroppo, come è accaduto ad altri loro colleghi e connazionali, Bustillo e Maury sono già stati cooptati da Hollywood per dirigere (ma guarda un po') l'ennesimo remake: il film destinato allo stupro da parte di produttori e sceneggiatori americani in crisi creativa è "Hellraiser".
L'unica speranza è che la loro promettente carriera non finisca affossata e divorata dal gorgo normalizzante e censorio di marca statunitense; ma guardando ai risultati ottenuti da Aja e dai due registi del bellissimo "Ils" / "Them", durante le loro incursioni nel territorio del rifacimento, forse sperare è del tutto inutile.
Resta comunque una profonda gratitudine nei confronti di questa coppia di registi, che hanno firmato un'opera coraggiosa, sincera e in grado di spaventare e restare impressa nella mente. Si parlerà a lungo di questo "A' l'interieur". Anzi, già se ne parla dappertutto.
Tranne che in Italia, ovviamente.
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Recensione a cura di L.P. - aggiornata al 03/06/2008
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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