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Dopo il grande successo del primo film "Il diario di Bridget Jones" ecco il sequel con le nuove avventure della simpatica "single" inglese (interpretata però da una texana) dalle forme un po' generose con lo stesso cast dell'edizione precedente e un cambio alla regia (Beeban Kidron al posto di Sharon Maguire).
Come in tutti i sequels però anche in questo film la delusione trionfa imperiosa sin dalle prime battute.
Il ritmo brioso della prima pellicola è sostituito da battute stentate, situazioni misere e tirate per i capelli mentre gli interpreti che erano riusciti tanto bene ne "Il diario.." non sembrano più tanto convinti.
Colin Firth nel ruolo dell'aristocratico Mark Darcy -neofidanzato di Bridget- è più rigido e freddo che mai (un vero peccato perché nel primo film il ruolo pareva stare a pennello al suo interprete) e Hugh Grant (Daniel Cleaver -l'ex capo di Bridget- donnaiolo e "simpatica canaglia") prosegue stancamente a recitare un ruolo già visto anche se forse è il migliore tra i tre interpreti principali; persino la Zellweger che aveva attirato le simpatie di tutte le post-trentenni in carne nonostante la faticosa dieta al contrario non riesce a bissare il successo precedente anzi in alcune (piuttosto rare) scene più coinvolgenti suscita una serpeggiante antipatia.
L'azione è lenta, la colonna sonora zeppa di brani di successo interrotti e rimontati grezzamente che si susseguono uno dietro l'altro senza un fine né un metodo e lo spettatore assiste stancamente in attesa di vedere una scena più simpatica delle altre o una battuta degna di nota invece, niente di tutto questo.
Forse il problema di fondo può essere attribuito alla regista non troppo nota che ha scelto di seguire fedelmente il romanzo di Helen Fielding senza però dare un ritmo valido, elemento necessario per far funzionare l'intreccio cinematografico.
Se la prima parte può sia pur lontanamente ricordare il film precedente, nella seconda l'azione si sgretola del tutto per scadere nello scontato più ovvio nelle scene ambientate in Thailandia.
Qui l'estro della regista si spegne descrivendo il paese solo come attrattiva turistica e persino una possibile denuncia sociale (Bridget è in una gremitissima cella con una pesante accusa sulle spalle) si perde nel nulla con le detenute che si comportano come allegre collegiali in vacanza e Bridget che sfoga il suo "impegno sociale" regalando cosmetici e reggiseni.
La smania di fare qualcosa "politically correct" fa vedere verso la fine anche un bacio saffico e così tutti sono stati accontentati in attesa di una eventuale ma evitabilissima terza parte.
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 17/01/2005
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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