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Nelle buie notti di Gannon si consuma il crimine. Ma il buio afferra solo chi è disperato, l'odio, il razzismo, il colore della pelle sono le uniche cose senza sfumatura. Un caso di cronaca nera. Nel ghetto nero del New Jersey dove lavora, una donna bianca, Brenda Martin, arriva in ospedale implorando aiuto: l'hanno ferita e rubato la macchina col figlio Cody dentro. Rapimento. Caos. Incessanti ricerche. Ma qual è la verita?
Parte forte il film di Joe Roth, nel suo turbinio di lampeggianti della polizia, che accompagnano gli sguardi del detective (papà) Council, passando dalle mani insanguinate della donna, agli sguardi serpeggianti e carichi di sospetto e paura della comunità di Gannon. Ma poi si arena sul più bello, le indagini rallentano, il colpo di scena manca e per più di un'ora si assiste al progressivo smontaggio dell'apparato poliziesco. Si entra a ritmo blandissimo nello squallido mondo della xenofobia, dell'odio razziale e del colore della pelle.
Argomenti delicati ancora nell'anno domini 2006, segno che di strada in quel senso se ne è fatta ancor troppo poca.
Il plot, tratto dall'avvincente bestseller di Richard Price, assume i canoni di una vera e propria maratona nelle incomprensioni di tali "civiltà" urbane, pronte ad unirsi per la ricerca (piuttosto forzata dal punto di vista semantico) di un bimbo scomparso, quanto a dividersi e provocare la scintilla della rivolta e degli scontri che sono l'inutile culmine delle intolleranze. Le buone interpretazioni di Samuel L. Jackson e di Julianne Moore da sole non bastano a salvare dal tedio e dalla mancanza di un proprio significato una sceneggiatura che presenta molti buchi. Non giovano al film nemmeno una messa in scena troppo ricercata ed un montaggio nervoso e sincopato.
"Freedomland" spinge l'acceleratore sul dramma, per poi arenarsi in racconti strappalacrime di rapimenti, omicidi e bambini scomparsi. Roth non riesce a dare spessore alla storia e ai personaggi, perdendo di vista il messaggio che questa potrebbe comunicare, senza approfondirlo, ma piuttosto integrando le riflessioni razziali nel flusso narrativo, che getta alla rinfusa nell'intreccio rendendole piuttosto retoriche.
Il potenziale del film, che si avvale di un cast tecnico di tutto rispetto, in sostanza, si esaurisce nei primi minuti, non dando il tempo allo spettatore di comprendere il genere di storia che il film vuole raccontare.
Predicando nel vuoto un messaggio di tolleranza e fraternità che anche nella vita reale si vorrebbe vedere, l'opera esibisce tutti gli stereotipi del caso, la violenza della polizia, il menefreghismo degli abitanti (non cittadini!) del complesso di case popolari di Armstrong, il disprezzo gratuito, dove anche chi pensa il buono scova il marcio in fondo al proprio piatto. Council è colui che rimane nella via di mezzo riuscendo ad aiutare poco sia una che gli altri, proprio come la pellicola, incerta sul da farsi, che alla fine, scontenta tutti quelli che trovano in essa un unico piano di lettura.
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Recensione a cura di Simone Bracci - aggiornata al 27/07/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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