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Guido (Valerio Mastandrea) è un apprezzato scrittore di nicchia, finalista di un premio letterario piuttosto importante. Giulia (Valeria Golino) è la misteriosa insegnante di nuoto prima della figlia di Guido e poi di Guido stesso, che non sa nuotare, ma a cui basta galleggiare: nell'acqua come nella vita, ci si può accontentare di non andare a fondo, di essere in una posizione in cui niente può trascinarti giù.
Ma Giulia è un personaggio troppo letterario per non riaccendere l'ispirazione di Guido e con essa la voglia di rimettersi in gioco, nuotando invece di galleggiare: la sera Giulia deve rientrare in carcere, per scontare una condanna per l'omicidio volontario di un amante per il quale aveva abbandonato la famiglia diversi anni prima. Giulia è sola con il suo passato, Guido è solo con i suoi libri ed i personaggi sconclusionati dalla vita "letteraria" breve, la famiglia è un peso per entrambi, anche se in modo molto diverso.
Due solitudini che si incontrano non si annullano, la distanza che sia Guido che Giulia hanno deciso di mettere tra sè ed il resto del mondo è incolmabile. L'affinità tra i due è nella scelta, non nel suo superamento per amore dell'altro.
Difficile poi parlare di amore tra Guido e Giulia: la vita ha già preso il sopravvento, li ha già sconfitti entrambi quando si conoscono, è un rapporto consolatorio, che ognuno dei due vive più che altro per se stesso (ma non è sempre così, in fondo?). Non c'è che un accenno di movimento, una speranza che l'incontro possa avere un esito positivo, ma Piccioni sembra suggerirci che è troppo tardi, se l'unico momento che assomiglia alla felicità è quando, concentrata su respirazione, bracciate e numero di vasche completate, la mente può finalmente liberarsi di tutti i suoi pesi. E quando è troppo tardi, le conseguenze della speranza possono rivelarsi disastrose.
Ci sono diversi spunti in questo film, forse troppi. Narrativamente, ad esempio, non si capisce bene perché vengano mostrati i personaggi delle storie di Guido, all'inizio sembra un buon espediente, alla fine non se ne coglie l'intento. Anche la disgregazione del rapporto tra Guido e la moglie (Sonia Bergamasco, sempre molto affascinante) sembra ormai già avvenuta, sembra di essere arrivati con un attimo di ritardo. Guido non vuole trasferirsi nella nuova casa, e così la famiglia si divide tacitamente, senza traumi, tutti accettano la situazione senza confitto. Una gran tristezza, viene da pensare... ma anche perché narrare l'assenza del conflitto è rischioso, basta poco per trasmettere la sensazione che non si stia narrando nulla.
Annotazione a margine: casa vecchia e casa nuova, Roma oggi al cinema è fatta solo di ariosi loft da centinaia di metri quadri immersi nel verde, non c'è scampo. Solo Moretti ancora non c'è cascato.
Mastandrea è sempre la stessa (piacevole) maschera: una persona al limite delle sue capacità, che si salva con distaccata ironia da ciò che cerca di affondarlo. Un eroe mediocre, senza qualità e con molte debolezze, simbolo di questo tipo di cinema italiano eternamente ancorato alla commedia (si ride parecchio nelle scene con la figlia e il fidanzatino undicenne vecchio dentro) nei toni e nella tipologia di personaggi narrati, di cui si sceglie però di mostrare prevalentemente la gestione emotiva di sconfitte lasciate solo immaginare agli spettatori. Si galleggia, appunto, appigliandosi a qualche frase ad effetto, male che vada alle scene leggere. Valeria Golino non deve sforzarsi molto, anche lei è condannata al personaggio tormentato, fragile dentro e d'acciaio fuori. La sua Giulia si incastra perfettamente sul personaggio pusillanime di Mastandrea: lei fa muovere lui, lui dà stabilità a lei. A pensarci sembrano una coppia improbabile, ma in realtà funzionano perché rappresentano molto bene alcuni stereotipi delle dinamiche uomo/donna: indolente ma equilibrato lui, risoluta ma sfuggente lei.
E' difficile in un film utilizzare i libri come metafora o come elemento narrativo, come è difficile scrivere in maniera soddisfacente di film, o peggio, di musica. Qualcosa resta sempre fuori dalla pellicola o dalla pagina scritta e lo scarto è quasi sempre fatale. In questo caso tutta la storia del premio letterario sembra alla fine più che altro una bonaria presa in giro dell'ambiente, con le sue cene ed i suoi eventi che nulla hanno a che fare con i libri stessi, che magari non vengono neanche letti fino in fondo, mentre le storie di Guido non guidano lo spettatore attraverso i suoi pensieri come dovrebbero, rimanendo degli inserti, seppur piacevoli, fuori contesto.
Colonna sonora dei Baustelle, elegante e poco emozionante, quindi molto adatta al tono emotivo del film. Il pezzo migliore resta però la meravigliosa J'entend siffler le train di Richard Antony, che neanche l'ironia di Mastandrea riesce a smontare.
Il cinema italiano oggi non ha bisogno di questo genere di film autoindulgente e sconclusionato, di queste occasioni sprecate per raccontare davvero qualcosa, senza la pretesa autoriale di fotografare una generazione o un intero paese, ma anche solo la storia di un incontro. Giulia non esce la sera però, nonostante tutto, è un film sincero e non banale, sulla sconfitta e sui modi in cui si sceglie di affrontare la vita, sugli incontri importanti, spesso casuali, e sulle conseguenze delle proprie azioni.
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Recensione a cura di JackR - aggiornata al 03/03/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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